Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Nucleare iraniano: due non-soluzioni proposte negli articoli di Filippo Andreatta ed Emanuele Severino
Testata: Corriere della Sera Data: 28 luglio 2008 Pagina: 24 Autore: Filippo Andreatta - Emanuele Severino Titolo: «Fermare la centrifuga iraniana - La pace impossibile e l'equilibrio atomico del non terrore»
La comunità internazionale dovrebbe tovare "il modo di rassicurare sia l'Iran del fatto che non ha bisogno di armi atomiche per la propria sicurezza, sia Israele che un attacco preventivo non è l'unica strada per garantire la propria sopravvivenza", sostiene Filippo Andreatta sul CORRIERE della SERA del 28 luglio 2008. Davvero l'Iran ha bisogno di essere rassicurato sulla sua "sicurezza" ? Non è l'Iran che viene quasi quotidianamente minacciato di cancellazione dalla carta geografica e che viene bersagliato da gruppi terroristici appoggiati da stati canaglia. I fatti dimostrano che i piani nucleari di Teheran non sono difensivi, ma aggressivi. In quanto alle strade alternative all'attacco preventivo per garantire la sopravvivenza di Israele: Andreatta dovrebbe indicarle con precisione. E' una questione sulla quale, evidentemente, non si può restare sul vago, e non ci si può affidare a vaghe speranze. Se le alternative ci sono le si indichino, purché non si ripropongano vie già tentate e fallite. Se non le alternative, come sembra, non ci sono, lo si ammetta.
Ecco il testo:
N onostante stia procedendo ormai da molto tempo, e possa quindi apparire ormai metabolizzato, il braccio di ferro con l'Iran potrebbe presto degenerare. La minaccia di proliferazione iraniana, come ha scritto Vittorio Parsi sull'Avvenire, non è infatti analoga a quella nordcoreana, che sembra essere stata recentemente risolta con un accordo multilaterale. Da un lato, il regime degli ayatollah può contare su un'economia più solida e resistente alle sanzioni, soprattutto a causa del prezzo del petrolio. Dall'altro lato, il fronte internazionale si è presentato più compatto contro Pyongyang, mentre nel caso iraniano le divergenze tra le potenze hanno impedito una pressione costante e uniforme. Ma la più importante differenza è che, mentre entrambi i Paesi proliferatori avevano ragioni di prestigio per dotarsi di un arsenale nucleare, l'Iran ha anche importanti ragioni militari, dovute al fatto che il Medio Oriente (in cui negli ultimi quarant'anni si sono combattute due guerre arabo-israeliane, due invasioni del Libano, la guerra Iran-Iraq, due guerre del Golfo e due guerre in Afghanistan) è un'area molto più instabile dell'Asia nord orientale, dove non vi sono stati conflitti dagli anni 50. Nonostante gli ultimi progressi nei negoziati, la prospettiva di un imminente successo iraniano nel riarmo nucleare potrebbe quindi scatenare reazioni estremamente pericolose. E' infatti possibile, se non probabile, che Israele — vulnerabile a causa della sua posizione geopolitica e delle sue esigue dimensioni e minacciato più volte da Teheran— lanci un attacco preventivo contro le installazioni atomiche iraniane, così come fece con quelle irachene all'inizio degli anni 80. Al contrario dell'Iraq, che aveva un unico grande reattore al plutonio, l'Iran oggi ha basato il proprio riarmo su molte centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, molto più piccole e facili da nascondere o proteggere sottoterra (due giorni fa il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha annunciato che le centrifughe hanno raggiunto il numero di seimila). Questo significa che un attacco israeliano sarebbe comunque molto intenso e potrebbe persino contemplare l'uso di armi atomiche. Questa prospettiva dalle conseguenze imprevedibili dovrebbe indurre la comunità internazionale a rinnovare i propri sforzi per impedire la proliferazione iraniana prima che sia troppo tardi, trovando il modo di rassicurare sia l'Iran del fatto che non ha bisogno di armi atomiche per la propria sicurezza, sia Israele che un attacco preventivo non è l'unica strada per garantire la propria sopravvivenza.
Inserimento dell'Iran nella zona di influenza russa e logica della deterrenza. E' la soluzione proposta da Emanuele Severino. Irrealistica: perché l'Iran persegue una politica autonoma rispetto a Mosca e perché il fanatismo religioso che ispira il regime degli ayatollah non è lontanissimo dalla logica delle deterrenza. Per Ahmadinejad, ma anche per il "pragmatico" Rafsanjani, milioni di iraniani sono sacrificabili all'obiettivo della distruzione di Israele.
Ecco l'articolo:
I l Corriere ha pubblicato in questi giorni una lettera — firmata dagli onorevoli Massimo D'Alema, Gianfranco Fini, Giorgio La Malfa, Arturo Parisi e dal premio Nobel Francesco Calogero — che ripresenta qui in Italia una proposta da qualche tempo avanzata in Usa, Russia, Inghilterra, Francia, Australia e promossa da esponenti di primo piano del mondo politico (quali, oltre ai due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, George Shultz, Henry Kissinger, William Perry, già ministri dei presidenti Reagan, Nixon e Clinton). Si tratta della proposta di impegnarsi «per un mondo senza armi nucleari», basata sulla convinzione che se i Paesi che ne dispongono «e soprattutto i due principali, Stati Uniti e Russia, non prendono l'iniziativa di avviare un processo tendente alla loro eliminazione, diventerà sempre più difficile impedirne l'acquisizione da parte di altri Paesi, con il rischio che prima o poi queste armi vengano usate con esiti catastrofici per il mondo». È importante che all'estero e in Italia abbiano a concordare, su questo tema, personalità di primo piano appartenenti a opposti schieramenti politici. I grandi problemi spingono ai margini le contrapposizioni di basso profilo. Ma esiste qualche possibilità che la proposta di eliminare le armi nucleari abbia a realizzarsi? I firmatari della lettera riconoscono che «le superpotenze nucleari, Stati Uniti e Russia, detengono tuttora — nonostante le recenti riduzioni — oltre i nove decimi di tutte le armi nucleari del mondo». Il che significa, osservo, che se Usa e Russia possono distruggersi, hanno però distanziato a tal punto tutti gli altri Paesi del pianeta da essere diventati ormai, e per un tempo incalcolabile, invincibili. Tale invincibilità non esclude che altre loro torri possano essere distrutte e i loro eserciti subire sconfitte, ma significa che se ognuno di essi dovesse trovarsi con l'acqua alla gola ad opera di un nemico che non fosse l'altro dei due, ognuno avrebbe la capacità di distruggerlo; e potrebbe farlo solo mobilitando il proprio apparato nucleare. (Da tempo si sa, peraltro, che nessuna delle due superpotenze metterebbe l'altra con l'acqua alla gola perché la reazione e controreazione farebbero affogare entrambe). Oltre un certo limite, anche la crisi economica — oggi va detto soprattutto degli Usa — è acqua alla gola. In una intervista del 1975 al Business Week Kissinger dichiarava che «una cosa è usare la forza in caso di semplice litigio sui prezzi del petrolio, un'altra usarla se esistesse il pericolo di una specie di strangolamento economico del mondo industriale ». Ma che efficacia può avere una forza sprovvista di armi nucleari? Che deterrenza può avere la minaccia di usarla? Invincibili, dunque, Usa e Russia; e in forza del loro potenziale nucleare. Ma chi è diventato invincibile può rinunciare ad esserlo? Soprattutto se ha attorno a sé Paesi che tentano in ogni modo di ridurre le distanze che è riuscito a porre tra sé e tutti gli altri? Lo scopo di un Paese invincibile è di perpetuare indefinitamente le condizioni della propria invincibilità. Chiedere a Usa e Russia di distruggere il proprio potenziale nucleare equivale a chieder loro il suicidio. E anzi un doppio suicidio: quello con cui si priverebbero della loro forza invincibile; e quello che li esporrebbe alla forza di chi, dopo aver firmato tutti i trattati in favore di un mondo senza armi nucleari, si dotasse poi lui di tali armi, che gli consentirebbero di diventare lui la superpotenza capace di imporsi su Stati Uniti e Russia, e di colpirli a morte. Su che cosa è basata la convinzione di poter acquisire la forza gigantesca capace di persuadere chi è invincibile a perdere la propria invincibilità? E su che cosa è basata la convinzione che, qualora si trovasse questa inverosimile forza, e Usa e Russia rinunciassero alla propria potenza e sicurezza, non ci possa essere chi, approfittando della loro debolezza, abbia a dotarsi di un apparato nucleare, diventando lui il padrone del mondo? E ancora: è verosimile che tutto questo non sia saputo dalle élites politiche (anche italiane)? Secondo gli estensori di quella lettera, l'urgenza che il club atomico, Usa e Russia in testa, prenda l'iniziativa di togliere dal mondo le armi nucleari, è dovuta al fatto che sarà sempre più difficile impedire la loro acquisizione da parte di altri Paesi e quindi crescerà il rischio che prima o poi esse vengano usate e devastino il mondo. Ora, è indubbio che la difficoltà di impedire la proliferazione nucleare è crescente. Ma il rimedio non può essere l'irrealizzabile decisione, da parte degli Usa e della Russia, di rinunciare a se stessi. Né è verosimile che chi detiene i nove decimi di tutte le armi nucleari esistenti al mondo lasci che questa disparità si riduca fino al pareggio che, daccapo, distruggerebbe la sua invincibilità. Il rimedio è un altro. Non velleitario, perché è già in atto il processo da cui è realizzato (e di cui ho già scritto su queste colonne). È impossibile impedire la proliferazione nucleare; ma è possibile controllarla perché, nonostante tutto, Usa e Russia restano, proprio per la loro potenza nucleare, i due punti di riferimento dell'intero pianeta. La proliferazione nucleare tende cioè a prodursi, più o meno direttamente, all'interno delle loro rispettive «sfere di influenza». Una vecchia espressione, questa, ma da quando l'Urss è scomparsa, ho continuato a sostenere che non per questo il bipolarismo era un capitolo chiuso. La guerra fredda ha reso irrealizzabile lo scontro tra Usa e Urss e ha assicurato la pace in un mondo, allora privo di potenza atomica, gravitante attorno a questi due poli. Ma la guerra fredda è continuata e ora sta assumendo una forma nuova dove, se la contrapposizione ideologica delle due superpotenze non è più così marcata, esse stanno tuttavia diventando i leader di due contrapposti schieramenti nucleari (Russia, Cina, Iran da una parte; Usa, India, Inghilterra, Francia dall'altra) che sono interessati a non far prender piede a quella forma ancora diversa di proliferazione nucleare che intenda svilupparsi al di fuori della loro logica e dunque del controllo da essi esercitato. La pace assicurata dalla forma tradizionale della guerra fredda tende a perpetuarsi nella sua forma nuova e più complessa. E, con la pace, anche quello sviluppo economico il cui indebolimento coincide con gli anni in cui si è creduto che il conflitto planetario fosse ormai spento e che il destino del mondo, dopo la fine dell'Urss, fosse di esser guidato dall'unica superpotenza rimasta. Il conflitto vivo ma freddo favorisce la ripresa economica. Infine, se le élites politiche mondiali vogliono un mondo senza armi nucleari, è però inverosimile che non sappiano che chi è diventato invincibile non rinuncerà mai a questa sua prerogativa. Propongono cioè qualcosa di cui conoscono l'irrealizzabilità. E fanno bene: fanno il bene di chi è invincibile e dei suoi alleati. Infatti è indispensabile che chi è potente tenti di far credere ai non potenti di voler rinunciare alla propria potenza. Se ci riesce, alleggerisce la loro pressione.
Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante