Un articolo corretto, quello di Ivo Romano, sulla STAMPA di oggi, 27/07/2008, a pag.53, dal titolo " Israele-Palestina 2018, Mondiali oltre il muro ", nelle pagine sportive. Racconta di un film, un'ipotesi tranquillizzante, che nel 2018 ci sarà una partita di calcio Israele-Palestina, insomma, tutto secondo le regole secondo le quali lo sport affratella, quindi ..... Ma, c'è un ma. Figuriamoci se alla STAMPA si lasciavano sfuggire l'occasione per un siluro contro Israele ! Quale immagine migliore per illustrare l'articolo del " muro " di difesa. Naturalmente la scelta è caduta su quello in muratura,e, se non si dice che quello in muratura è l'8% , mentre il 92% è rappresentato da una normale divisione fatta da filo spinato che contiene dei sensori per avvisare se qualcuno si avvicina, il lettore si immagina che la barriera difensiva sia tutta come quella illustrata nell'immagine che qui accanto riproduciamo. Questa non è informazione corretta, ma disinformazione. Chiediamo ai nostri lettori di scrivere alla STAMPA per protestare vivamente, servendosi della e-mail del giornale riprodotta a fondo pagina.
Il calcio come veicolo di pace e fratellanza. Realtà, mica utopia. La storia del football è punteggiata di episodi che ne disvelano l’altro volto, dietro cui si nasconde la vorace industria mangiasoldi per lasciar spazio al catalizzatore di buoni sentimenti. Pagine significative, seppur marginali. Poi c’è chi va oltre, provando a calciare un pallone fin dentro la storia, quella con la S maiuscola. Per un attimo, provate a chiudere gli occhi e immaginare la scena: un calciatore d’azzurro vestito, uno di quelli che per ora affollano le scuole calcio, che va in gol e regala all’Italia il titolo mondiale, nello stadio di una Gerusalemme finalmente unita, dinanzi a una folla di israeliani e palestinesi che hanno smesso di guardarsi in cagnesco. Qualcuno si è messo in testa l’idea di presentare una candidatura unica per l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2018: Israele e Palestina uniti nel nome del pallone.
Una specie di visionario, Eytan Heller, regista israeliano, che pur nella diversità e nella contrapposizione riesce sempre a cercare la via della speranza: prima ha creato la AWW (Artists Without Walls), poi ha girato un corto dal titolo «Love Sum Game», che racconta la storia di due ragazzini che giocano a tennis divisi dal muro. Infine, gli si è accesa la lampadina, nell’estate di due anni fa, nei giorni del Mondiale: «L’idea mi è venuta nel 2006, durante la Coppa del Mondo, quando mi recai a Ramallah: fu impressionante vedere come dai tetti delle case pendessero le bandiere di tante nazioni europee, esattamente come in quei giorni accadeva a Tel Aviv, nel quartiere in cui vivo. Era come se due popoli così divisi si ritrovassero uniti dall’amore per il calcio».
Le fondamenta perfette per un progetto ardito. Heller l’ha preso sul serio, la OneVoice (una Ong) ha raccolto la sfida. Un Paese sotto costante attacco e un altro che ancora non esiste: insieme per fare la storia. Organizzazione divisa a metà, sei città da coinvolgere. Tre sul fronte palestinese (Ramallah, Tulkarem e Gaza), tre su quello israeliano (Tel Aviv, Haifa e Mitzpe Ramon). E la finale a suggellare l’unione, a Gerusalemme, o Al Quds (come la chiamano gli arabi), o Gerusalemme-Al Quds a sancire la ritrovata armonia. Un progetto coraggioso, che necessita passi in avanti su piani ben differenti che non quello calcistico. Come ha evidenziato pure Lilian Thuram, che per conto dell’Istituto per la Relazioni Internazionali e Strategiche ha appoggiato il progetto: «Con il raggiungimento di un accordo di pace, l’organizzazione congiunta dei Mondiali del 2018 sarebbe una fantastica opportunità». Un processo di pace che va a rilento, ma non solo. La strada è lunga e irta di ostacoli. Innanzitutto, la concorrenza di Inghilterra, Australia, Usa e forse Spagna. Poi, le fatiscenti infrastrutture del West Bank e di Gaza. Quindi, i pessimi rapporti tra le due federazioni: «La situazione non è facile, israeliani e palestinesi hanno ben altri problemi, ma siamo favorevoli a qualunque proposta vada in direzione della pace», ha spiegato Gil Levanoni, portavoce della federcalcio israeliana. Vita dura, quindi. Ma, per dirla con Eytan Heller, «anni fa chi avrebbe detto che un giorno Giappone e Corea avrebbero organizzato un Mondiale?». Già, chi l’avrebbe detto. Perché quel che oggi è utopia domani può diventare realtà.