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La Stampa Rassegna Stampa
25.07.2008 Laici e donne contro la deriva islamista della Turchia
che l'Europa non contrasta

Testata: La Stampa
Data: 25 luglio 2008
Pagina: 17
Autore: Marina Verna
Titolo: «No al modello Iran Le turche contro l'Akp»

Da La STAMPA del 25 luglio 2008:

Ma con chi sta l’Europa? Dove siete, democrazie occidentali, adesso che avremmo bisogno di voi? Abbiamo preso da voi la parità tra uomo e donna, la libertà di pensiero, la laicità, la superiorità della legge. E voi invece appoggiate l’Akp, il partito al governo che sta islamizzando la repubblica, addirittura citato in giudizio alla Corte Costituzionale per attività antilaiche. Francamente, sono sconcertato». Mustafa Altioklar, che si definisce «un regista patriottico pronto a morire per il suo Paese», parla a pochi giornalisti stranieri invitati a Istanbul per conoscere la faccia moderna della Turchia. È sera, gli ospiti cenano sul ponte di uno yacht che va avanti e indietro sul Bosforo, tra le sponde europea e asiatica. Ci sono molte donne: la pianista Gülsin Onay, le sorelle stiliste Ayse e Ece Ege, un paio di architette, una designer. Portano gonne corte e tacchi alti, con chiome appariscenti e visi ben truccati. Tra le dita curate tengono calici di vino e cigarillos. Parlano un inglese fluente, e raccontano cose interessanti: commesse, affari, contatti, progetti, viaggi. Ma basta che Mustafa Altioklar evochi «nuvole nere e avvoltoi nel cielo» perché anche le loro fronti lisce si corrughino: sì, sentono la pressione per il velo e contro il bikini.
Evocare il velo, sulla barca che insiste sul coté europeo di Istanbul, è quasi un’offesa. «Le donne di successo non lo portano. È una faccenda che riguarda chi non ha studiato». E l’argomento è chiuso. Meglio parlare di Atatürk, il padre della repubblica e della liberazione delle donne. Loro sono le figlie riuscite della cultura, laica e progressista. L’altra - l’Islam del premier Erdogan e del 47 per cento raccolto alle ultime elezioni - la tengono lontana. Almeno finché possibile.
Sono tempi molto difficili, per la Turchia. Sette uomini importanti - tre ex generali, due giornalisti, due uomini d’affari - nelle settimane scorse sono finiti in carcere con l’accusa di aver organizzato un putsch contro Erdogan. In cella ce n’erano già 40 - scrittori, accademici, avvocati, attivisti di organizzazioni non governative, ex militari, persino mafiosi - e 38 sono indagati a piede libero per attività terroristiche e tentato colpo di Stato. Nelle 2.455 pagine del testo d’accusa presentato dalla Procura generale della Repubblica si parla di una organizzazione segreta - Ergenekon, una «Gladio» turca - che avrebbe progettato quattro putsch per difendere «la laicità» del Paese e riportare l’ordine, a suo dire «sconvolto» dal governo dell’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo al potere da 6 anni, che vuole introdurre nella vita pubblica alcuni principi musulmani.
Gli ultimi arresti - come i primi - sono avvenuti in un momento non casuale. Coincide con le fasi del processo contro l’Akp, denunciato da un magistrato per «attività antilaiche»: violerebbe i rigorosi principi laici della Costituzione. A giorni arriverà la sentenza della Corte Costituzionale che potrebbe terremotare il mondo politico: se l’accusa sarà confermata, il partito verrà messo al bando, per 71 dirigenti e 38 deputati ci sarebbe l’interdizione politica per 5 anni, premier e Presidente decadrebbero all’istante.
«In altri Paesi una situazione così incandescente avrebbe provocato tumulti» dice una delle ospiti. In Turchia, nulla. O quasi. La manifestazione del 18 luglio per la laicità, organizzata a Istanbul dall’Associazione per la difesa del pensiero di Atatürk, ha visto in piazza poche migliaio di persone. La «Marcia del buon senso» del 20 a Bursa, «contro i metodi golpisti e anti-democrazia», contava su migliaia di persone. Ne sono arrivate assai meno. Era organizzata da una piattaforma che comprende giornalisti, professori universitari, intellettuali che chiedono «uno Stato democratico, governato da una Costituzione che assegni uguaglianza a tutte le fedi e a tutti gli stili di vita». Di sicuro, una élite con poco seguito.
Mustafa Altioklar, presidente dell’Associazione Registi, ha paura di non poter più fare film: 12 anni fa, raccontando la vita di un sultano, aveva girato una scena omosessuale. E un integralista l’aveva ferito per strada con un coltello. Da allora ha paura: che lo arrestino, o che gli neghino i finanziamenti. Certo, può sempre tornare a fare il medico - la sua professione originale - ma sarebbe una sconfitta. Non vede aiuti esterni, ma ci spera ancora. «Dov’è l’Europa? Le egemonie occidentali sono democratiche solo per se stesse. Subiamo pressioni di ogni genere per impedirci di entrare nell’Unione, e poi appoggiano l’Akp, spingendoci nel Medio Evo. Sono sconcertato».

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