Processo farsa a Gaza: condannato a morte come "spia" di Israele una notizia ignorata dai media italiani
Testata: L'Opinione Data: 25 luglio 2008 Pagina: 1 Autore: Michael Sfaradi Titolo: «A Gaza la forca non fa notizia»
Da L'OPINIONE del25 luglio 2008
Negli ultimi tre giorni i media di tutto il mondo si sono occupati, fin nei minimi particolari, delle due gravi notizie che giungevano da Israele: il filmato con l’increscioso episodio del soldato israeliano che ha sparato da distanza ravvicinata un proiettile di gomma ad un piede di un ragazzo palestinese, e l’attentato terroristico che si è consumato a Gerusalemme con la tecnica del trattore “impazzito”. C’è stata però una terza notizia, a nostro avviso non meno importante, sulla quale è sceso un sospettoso silenzio. Silenzio che lascia amarezza e qualche dubbio, se ancora ce ne fosse bisogno, sulla buona fede di ciò che si racconta su Israele e sul Medio Oriente, perché anche nascondere le notizie per non danneggiare una delle parti, significa non fare buona informazione. La notizia nascosta è la seguente: Aiad Sokar, palestinese di 35 anni, è stato condannato a morte da un tribunale di Gaza per spionaggio e collaborazionismo a favore di Israele. Secondo voci bene informate il tribunale che ha celebrato il processo non era autorizzato a dibattere cause penali riguardanti la sicurezza dello Stato, il dibattimento è stato sommario e le semplici accuse, pretestuose e non supportate da fatti oggettivi, sono servite come prove a carico.
All’imputato, che ha sempre proclamato la sua innocenza ed estraneità ai fatti che gli venivano contestati, non sono stati neanche garantiti i diritti elementari di difesa. Gli atti del processo e la sentenza di morte sono stati poi inviati alla segreteria del presidente Abu Mazen per l’autorizzazione a procedere con l’esecuzione. Il dramma che Aiad Sokar sta vivendo in queste ore (Israele fra l’altro ha dichiarato di non aver mai avuto contatti con questa persona) diventa per Hamas un’occasione per mettere Abu Mazen in difficoltà. Hamas fa quello che vuole alle spese del suo popolo, sia in generale sia, come in questo caso, nei confronti dei singoli, ma rimettendo nelle mani del Presidente la decisione finale sull’esecuzione, da una parte fa vedere di riconoscere l’autorità di Abu Mazen, dall’altra ha tutto da guadagnare nel vederlo con una “patata bollente” fra le mani. E’ indubbio che qualsiasi decisione dovesse prendere lascerebbe qualcuno scontento. Se dovesse firmare la condanna a morte si troverebbe in una situazione scomoda sia nei confronti dell’Europa, che come si sa è contraria per principio alla pena di morte, sia nei confronti delle organizzazioni internazionali che al momento finanziano l’autorità palestinese. Se si rifiutasse di firmarla si ritroverebbe a doversi confrontare con una situazione interna giustizialista, diventando il fulcro delle critiche della parte fondamentalista, bravissima a cogliere ogni motivo per fomentare il popolo.
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