Tra politica estera e show elettorale l'analisi di R.A. Segre sulla visita di Barack Obama in Israele
Testata: Il Giornale Data: 25 luglio 2008 Pagina: 12 Autore: R.A Segre Titolo: «La tappa in Israele: politica estera e show elettorale»
Da Il GIORNALE del 25 luglio 2008:
Se la circoscrizione elettorale di Barack Obama fosse l'Europa, l'Africa o l'America latina egli diventerebbe presidente quasi per acclamazione. In queste parti del mondo ha tutto a suo favore: età, carisma, colore di pelle, media, e paradossalmente l'anti americanismo identificato con Bush. Ma i non americani colpiti dalla «obamania» non votano per la Casa Bianca. Non lo possono fare neppure in Israele dove il candidato democratico è stato ricevuto con onori presidenziali che non rallegrano certo il suo concorrente repubblicano McCain: proprio da qui potrebbe svilupparsi un elemento decisivo per le sorti delle elezioni più pubblicizzate della storia americana. Ed è questo che spiega perché è in Israele che Obama ha iniziato il «tour» ripetendo con lievi differenze, quanto detto all'assemblea del potente lobby pro israeliana Aipec: Gerusalemme capitale; diritto degli abitanti di Sderot bombardata di difendersi «come farebbe lui se la sua casa con le sue due bambine» fosse soggetta alla stessa sorte; no al nucleare iraniano; nessuna scusa al terrorismo. Obama non parlava tanto agli israeliani quanto agli ebrei americani che oggi si dichiarano - come notava il Guardian londinese - per il 61% in favore di un candidato afroamericano considerato solo tre mesi fa (anche dalla dirigenza di Gerusalemme) - infido, pro palestinese e circondato da uno stato maggiore noto per le sue critiche a Israele. Gli ebrei non rappresentano che il 2% dell'elettorato Usa. Ma possono diventare l'ago della bilancia in due stati chiavi per la Casa Bianca: New York e California, oltre al loro peso specifico sull'élite intellettuale. Peso importante ma forse - alla fine - meno decisivo di quanto ha detto a Gerusalemme il Capo di Stato maggiore Usa, due settimane fa e quanto sta dicendo in questi giorni a Washington il capo di Stato maggiore israeliano.
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