Barack la delusione, Dennis il cattivo non sembrano antisraeliani, il quotidiano comunista li boccia
Testata: Il Manifesto Data: 24 luglio 2008 Pagina: 11 Autore: Michele Giorgio - Michelangelo Cocco Titolo: «Gerusalemme a Israele - Ross scalda i motori, sarà la guida di Barack»
Appoggio a Israele, Gerusalemme capitale dello Stato ebraico,sì a un azione militare che fermi i piani nucleari ( e genocidi) del regime iraniano ? Sono posizioni "di destra" per il quotidiano comunista. Nell'edizione del 24 luglio 2008 Michele Giorgio si duole delle dichiarazioni di Barack Obama durante la sua visita in Israele.
Ecco il testo:
Pieno e incondizionato appoggio a Israele, Gerusalemme capitale dello Stato ebraico, nessuna preclusione a un attacco militare per fermare il programma nucleare iraniano. Barack Obama ha completato ieri la sua virata verso posizioni «centriste», in realtà di destra, cominciata in Afghanistan e proseguita a Baghdad. E proprio a proposito di Gerusalemme il candidato democratico alle presidenziali Usa ha offerto ai leader israeliani un primo regalo, nella speranza di ottenere in cambio un sostegno alla sua candidatura. «Non ho cambiato opinione, Gerusalemme sarà la capitale d'Israele. È importante non dividere la città». Poi ha frenato per non deviare troppo dalla abituale linea statunitense sullo status della Città Santa, di cui i palestinesi reclamano la zona araba (Est), occupata militarmente da Israele nel 1967. «È importante non dividere la città, ma è una questione che attiene allo statuto finale. Non è compito degli Stati Uniti decidere in proposito», ha precisato. In maniche di camicia ma con l'aplomb di un presidente eletto e una coreografia curata fin nei minimi dettagli, il candidato democratico alla Casa Bianca ha pronunciato parole di fuoco contro Teheran e, a Sderot, nel sud d'Israele, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il ministro degli esteri, Tzipi Livni, si è scagliato contro il «terrorismo» e i palestinesi. «Se cadessero i razzi sulla casa dove dormono le mie due figlie, farei il possibile per difenderle. E lo stesso deve fare Israele», ha detto evitando accuratamente di pronunciare una parola sulle condizioni di vita di 1,5 milioni di palestinesi di fatto prigionieri a Gaza, che continuano a peggiorare - come ha riferito proprio ieri l'agenzia Unrwa (Onu) - nonostante da oltre un mese sia in vigore un cessate il fuoco con Hamas e sia cessato il lancio di razzi, perché Israele continua a far entrare un flusso ridotto di merci. Con l'obiettivo di impressionare positivamente l'elettorato ebraico americano, ha poi proclamato: «Difenderemo Israele sempre». Queste posizioni di Obama appaiono in linea con l'ulteriore svolta a destra che potrebbe avere presto l'esecutivo israeliano. Nei prossimi mesi, se il premier Olmert si farà da parte a causa dei suoi guai giudiziari, sulla poltrona di primo ministro prenderà posto con ogni probabilità Tzipi Livni. Ed è stato proprio il ministro degli esteri a proporsi apertamente per l'incarico durante un discorso-comizio tenuto martedì sera a Hedera. Sarà lei a guidare un futuro governo di unità nazionale, dai laburisti alla destra estrema, che dovrà affrontare le cosiddette «minacce esterne», cioè far partire il conto alla rovescia di un attacco all'Iran. Quello di Obama ieri a Gerusalemme prima e poi a Sderot è stato un continuo elogio a Israele e un perenne avvertimento all'Iran. La creazione dello Stato ebraico rappresenta «un miracolo», ha detto al presidente Shimon Peres, al quale ha ribadito più volte il suo impegno a difendere e garantire la sicurezza di Israele. «Un Iran dotato dell'arma atomica rappresenterebbe una grave minaccia, il mondo deve impedire all'Iran di ottenere l'arma nucleare», ha affermato Obama, assicurando che, se eletto, agirà velocemente per mobilitare la Comunità internazionale, perché «offra una serie di bastoni e di carote al regime iraniano per rinunciare alle armi nucleari». In ogni caso, ha poi aggiunto, «non toglierà alcuna opzione dal tavolo nell'affrontare la potenziale minaccia iraniana». In pratica un via libera alla guerra. Con queste premesse, Obama non poteva che dedicare ai palestinesi le briciole della sua visita in Medio Oriente. Durante l'incontro a Ramallah con il presidente Abu Mazen e il premier dell'Anp Salam Fayyad, ha promesso di essere «un partner costruttivo» per la pace fra israeliani e palestinesi e ha sottolineato che ogni accordo dovrà essere raggiunto fra le parti e non imposto da Washington, ovvero che non verrà fatto alcun intervento per facilitare le trattative e l'applicazione delle risoluzioni internazionali e della Road Map. «Abbiamo apprezzato molto che Obama si sia impegnato a lavorare con noi per una soluzione con due Stati», ha affermato il negoziatore palestinese Saeb Erekat. Da Gaza è giunto poco dopo il giudizio secco di Hamas: «Obama non è il benvenuto - ha detto il portavoce del movimento islamico Fawzi Barhum - è giunto qui all'unico di scopo di vincere le elezioni americane, sacrificando i diritti dei palestinesi». CON EDWARD SAID Obama a cena con l'intellettuale palestinese Edward Said. Il comitato elettorale di McCain sarebbe pronto a usare questa vecchia foto come prova dell'«estremismo» del candidato democratico alla presidenza. UN'ORA SOLA PER L'ANP Obama ieri ha dedicato ai palestinesi solo un'ora. Con Abu Mazen una rapida stretta di mano. All'Autorità palestinese (Anp) ha assicurato che gli Usa saranno «un partner di pace costruttivo».
Michelangelo Cocco analiza la composizione della squadra di consiglieri di Obama e vi individua il cattivo, quello che a differenza di Brzezinski non crede ai complotti della lobby ebraica contro i veri interessi americani e che a differenza di Robert Malley "riduce" Hamas a un'organizzazione terroristica . Si tratta di Dennis Ross. Ecco il testo:
Advisors, consiglieri. Ex ambasciatori o studiosi di relazioni internazionali, in diplomazia sono spesso figure chiave, aiutano i presidenti a compiere le scelte più difficili. Barack Obama ne ha selezionati 300: l'aspirante democratico alla Casa Bianca ha provato così ad aumentare le sue credenziali rispetto al rivale John McCain, eroe della guerra del Vietnam e considerato più esperto in politica estera. Proprio sul conflitto israelo-palestinese l'ipertrofica squadra del senatore dell'Illinois non ha mancato però di procurargli già più d'un grattacapo. Ad aprire le danze è stato Zbigniew Brzezinski, che qualche mese fa si lanciò in una difesa di «Israel lobby», il libro degli accademici statunitensi Mearsheimer e Walt. «Hanno reso un pubblico servizio iniziando un necessario dibattito sul ruolo della lobby filo-israeliana nel forgiare la politica estera statunitense» scrisse su Foreign policy il consigliere dell'ex presidente Carter. Reazioni indignate sulla stampa e nei circoli filo-israeliani. Alla fine, un portavoce della campagna fu costretto a difendere così il candidato alla presidenza: «Ci sono abbondanti testimonianze sul sostegno che Barack Obama dà alla sicurezza d'Israele e quando sarà alla Casa Bianca continuerà a favorire una stretta relazione tra Stati Uniti e Israele». E che dire di Robert Malley che (nelle sue funzioni di membro dell'International crisis group) ebbe l'ardire d'incontrare membri di Hamas, il partito islamista che Washington e Tel Aviv hanno isolato riducendolo a «organizzazione terroristica»? Per questo nel maggio scorso gli uomini della campagna di McCain lo massacrarono. La risposta di Obama? «Rob Malley ha, come centinaia di altri esperti, fornito consigli informali alla campagna in passato. Ma nella campagna non riveste alcun incarico né in futuro giocherà alcun ruolo». Nel lungo elenco di consiglieri c'è però anche Daniel Kurtzer, l'ex ambasciatore statunitense in Israele a cui è toccato correggere l'uscita di Obama che, nel corso della conferenza dell'Aipac del 4 giugno scorso aveva dichiarato: «Gerusalemme deve rimanere la capitale d'Israele e deve restare indivisa». Kurtzer precisò che «sarà impossibile fare progressi in un serio negoziato di pace senza mettere sul tavolo il futuro di Gerusalemme» beccandosi bordate di fischi da parte delle organizzazioni filo israeliane statunitensi, inclusa l'influente Conference of presidents of major american jewish organizations. Usciti di scena o ridimensionati i «ribelli», gli esperti scommettono che il suggeritore numero uno della politica israelo-palestinese di Obama sarà Dennis Ross, che ieri ha seguito il candidato nero a Gerusalemme. Sessantenne, già inviato in Medio Oriente per George Bush senior e Bill Clinton, Phyillis Bennis lo ricorda «prima di tutto come il co-fondatore del Washington institute for near east policy, un centro studi nato su iniziativa dell'Aipac», la principale lobby filo-israeliana degli Stati Uniti. Bennis, ricercatrice presso l'Institute for policy studies di Washington, considera Ross «una personalità molto brillante, che conosce la storia e gli attori politici che si muovono nell'area. Crede sinceramente che gli interessi degli Usa siano serviti meglio da un legame acritico con Israele». Un personaggio molto diverso da Elliot Abrams, il burattinaio della politica israelo-palestinese dell'attuale Amministrazione. «Ross non è un neo-conservatore come Abrams, ma un realista - continua Bennis -. Mentre il secondo considera Israele un partner nella crociata per rimodellare il Medio Oriente, per Ross lo Stato ebraico è un alleato strategico della democrazia e del capitalismo occidentale». Per molti ambiti della politica internazionale i progressisti americani sperano che Obama rappresenti una svolta. E per la Palestina? «Obama ha avuto esperienze inedite per qualsiasi altro presidente: ha subìto il razzismo; ha lavorato per quattro anni nelle comunità di base di Chicago; è stato a stretto contatto con gli arabi, i palestinesi. Queste cose fanno parte di ciò che lui è - conclude Bennis - e voglio credere disperatamente che, a un certo punto, si ricorderà di questo suo passato». Meno ottimista è Kathleen Christison, politologa statunitense autrice di numerosi studi sul conflitto israelo-palestinese. Per 16 anni analista della Cia, Christison ricorda «Rafforzare la partnership», l'ultimo rapporto del Washington institute for near east policy, firmato anche da Ross. Nel documento si consiglia al prossimo presidente degli Stati Uniti di rafforzare la relazione con lo Stato Ebraico e considerare la minaccia nucleare iraniana - da affrontare, se necessario, anche con un attacco militare preventivo - come la più importante delle questioni che qualificano questa relazione speciale, da anteporre al negoziato con i palestinesi. Per Christison sotto un eventuale presidenza Obama, Ross potrà avere più successo degli attuali consiglieri nel rivitalizzare il negoziato, ma i paletti saranno quelli fissati da Israele: l'«offerta» di un 60% dei Territori occupati, quanto resterebbe al futuro stato di Palestina privato del territorio occupato dalle colonie ebraiche e dalla rete di strade che le collegano tra loro.
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