"Intifada delle ruspe" un altro modo per non dire "terrorismo"
Testata: La Stampa Data: 23 luglio 2008 Pagina: 14 Autore: Francesca Paci Titolo: «Al via l’Intifada delle ruspe»
La cronaca di Francesca Paci pubblicata da La STAMPA del 23 luglio 2008, sostanzialmente corretta, ha per titolo"Al via l’Intifada delle ruspe". Inizialmente l'intifada era raccontata come una "rivolta delle pietre" contro i carri armati. Poi venne l'"intifada dei coltelli". Più recentemente l'"Intifada di Al Aqsa": è più difficile in questo caso capire dall'espressione di che cosa si trattasse, perché venne condotta con gli attentati suicidi.
Ora i redattori della STAMPA inventano, "l'intifada delle ruspe". A quando l'"intifada dei kassam" ? E Al Qaeda, ha forse condotto contro l'America un'"intifada degli aerei" ?
Ecco il testo della cronaca di Francesca Paci:
La scena è la stessa del 2 luglio scorso. Macchine rovesciate in mezzo alla strada, sangue e vetri in terra, una gigantesca ruspa gialla con il braccio assassino abbandonato, un mostro soppresso prima che ammazzi ancora. La targa numero 35-726-04 è l’unica parte intatta della Peugeot color panna sventrata a ridosso del marciapiede. Il proprietario dell’automobile, il più grave dei 16 feriti di questo nuovo giorno di follia gerosolimitana, è stato appena portato via dall’ambulanza, i medici dell’unità di soccorso Magen David Adom dicono che perderà una gamba. Un paio di metri oltre, tre poliziotti in tuta bianca avvolgono in un lenzuolo il corpo di Ghassan Abu Tir, il palestinese di vent’anni che ieri pomeriggio intorno alle 14 ha guidato la ruspa Contractor fuori dal cantiere in Washington street, dove lavorava, e l’ha scagliata contro le vetture in coda lungo King David street, blindata da ventiquattrore per l’arrivo del candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti Barack Obama. Avrebbe raggiunto il quartiere residenziale di Yamin Moshe se il riservista cinquantatreenne Yaki Asael, residente nell’insediamento di Susiya, in Cisgiordania, non l’avesse freddato con trenta colpi di pistola, l’intero caricatore. Un film già visto. Come venti giorni fa, quando Hussam Dawiat, operaio presso la ditta israeliana Bardarian, scagliò il suo Caterpillar nel traffico di Jaffa road, uccidento tre persone. «Indossava il copricapo bianco dei musulmani, non urlava, inseguiva le vetture come un pazzo» racconta Moshe Shimshi. Ieri, al momento dell’attentato, Moshe stava attraversando l’incrocio tra King David e Jabotinsky, a pochi isolati dalla residenza Beit Hanassi assediata dai giornalisti per il summit tra il presidente israeliano Simon Peres e il collega palestinese Abu Mazen, pronto a condannare «questo attacco deliberato» ma anche «quelli contro i civili di entrambe le parti». Israele incontra sulla Road Map il kamikaze fai-da-te, l’estrema frontiera del terrorismo, il palestinese di Gerusalemme est apparentemente senza affiliazioni politiche che sfrutta la libertà di movimento garantita dalla carta d’identità israeliana e colpisce alla cieca con qualsiasi strumento a disposizione, compreso il caterpillar. «La nuova strategia di Hamas mira ad arruolare elementi armati tra i residenti di Gerusalemme est e provocare scontri, uno dietro l’altro» sostiene il columnist di Yedioth Ahronot Ron Ben-Ishai. Umm Taba si stringe intorno allo shahid, il martire. Ghasan Abu Tir viveva qui, un villaggio palestinese di quattromila anime con le strade sterrate e la parabola su ogni tetto, a sud di Gerusalemme. La popolazione è un’unica grande tribù, gli Abu Tir, eredi reali e spirituali dello sheick Muhammad, uno dei leader di Hamas rinchiuso nelle prigioni israeliane. «Hanno ammazzato Ghasan come un cane, senza che potesse difendersi» attacca Abu Mustafa. La palazzina in cui Ghasan abitava con 5 fratelli e 3 sorelle è a lutto, ma non espone bandiere. Zio Ahmed mostra una foto del ragazzo accanto al balcone senza fiori affacciato su Har Homa, uno degli ultimi e più discussi insediamenti ebraici in Cisgiordania, costruzioni nuove, piene di verde: «Ecco il paesaggio in cui è cresciuto Ghasan». Una camionetta dell’esercito israeliano piantona il cortile, l’eco degli ultraortodossi radunati di fronte a Beit Hanassi giunge fin qui e si mescola al canto del muezzin, «Peres assassino», «morte agli arabi».
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