Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
L'epoca delle idee genocide il nuovo libro di Ian Kershaw
Testata: Corriere della Sera Data: 19 luglio 2008 Pagina: 37 Autore: Ian Kershaw Titolo: «L'epoca delle idee genocide»
Anteprima Un nuovo libro di Ian Kershaw, biografo di Hitler, sull'atteggiamento dei tedeschi verso la Shoah
L'epoca delle idee genocide
Questo il titolo sul CORRIERE della SERA di oggi, 19/07/2008, a pag.37, nel quale viene pubblicata una anticipazione del nuovo libro di Ian Kershaw " Hitler,the Germans and the final solution (Yale U.P.)"
Il circuito perverso fra modernità e violenza dal XX al XXI secolo
di IAN KERSHAW Per quanto si voglia considerare con pessimismo la storia mondiale più recente, è chiaro che la ultra-violenza da cui è stata caratterizzata la prima metà del secolo scorso non trova paragone nella seconda metà: e questo nonostante gli ultimi decenni abbiano comunque assistito a situazioni di violenza terrificante come la rivoluzione culturale in Cina, o la Cambogia dei khmer rossi, o le stragi in Ruanda. (...) Ne nascono numerose domande. La prima è ovvia: che cosa ha causato la devastante esplosione planetaria di questa immensa violenza istituzionalizzata, nella prima metà del XX secolo? Niente, nei decenni precedenti, aveva preparato il mondo a quel che stava per accadere. Certo, la Prima guerra mondiale rappresenta una gran parte della risposta. Ma quella non può essere stata la sola causa. Gli sconvolgimenti epocali, nella storia, di solito non hanno solo cause a breve termine. E questa sicuramente non è un'eccezione. Un altro interrogativo riguarda la propensione alla violenza da parte di certi Stati e delle società che essi pretendono di rappresentare. Perché cioè, per porre la questione nei suoi termini, gli Stati si sono ritrovati più — o meno — disposti all'uso di una violenza così estrema? La risposta a questa domanda conduce a una terza. Visto che ogni secolo (o anche mezzo secolo) nel corso della storia è stato comunque violento in misura più o meno grande, davvero è stata solo la scala della violenza, resa possibile da nuove tecnologie di distruzione, a rendere unico il XX secolo? Assodato che la seconda metà del XX secolo — almeno in Europa — è stata incomparabilmente meno violenta della prima, siamo di fronte a una domanda ovvia: perché è successo? Eric Hobsbawm, il cui punto di vista nel libro Il secolo breve non poteva essere se non globale, ha parlato di una «Età della Catastrofe» che ha attraversato le due guerre mondiali, seguita da una «Età dell'Oro» giunta sino alla crisi petrolifera degli anni Settanta. (...) C'è una statistica degna di attenzione. I civili morti durante la Prima guerra mondiale erano stati, secondo le stime più elevate, poco più di un terzo del totale delle vittime: ma nella Seconda, ed è un calcolo prudente, furono circa due terzi. Da cinque milioni di morti a qualcosa come ventisette. (...). E ancora. Un Paese come la Polonia, dove la guerra «combattuta » non durò più di un mese, vide morire un quinto della sua popolazione — la più alta percentuale di morti civili rispetto a ogni altro Paese in guerra — nei sei lunghi anni successivi all'invasione tedesca del 1939. (...) L'esaltazione della violenza come forma di protesta sociale e politica contro la società borghese decadente, anche se istituzionalizzata nei movimenti fascisti solo dopo il 1919, era iniziata prima della Grande guerra. L'intellettuale fascista francese Pierre Drieu La Rochelle, più tardi, considerando gli anni prima della guerra, rievocava quei «giovani di tutte le classi sociali, incendiati da un concentrato di eroismo e violenza, che sognavano di combattere... il capitalismo e il socialismo parlamentare ». Nel 1910 il nazionalista italiano Enrico Corradini usava terminologie e analogie marxiste per parlare dell'Italia come di una «nazione proletaria », argomentando che «dobbiamo insegnare all'Italia il valore della lotta internazionale. Ma lotta internazionale significa guerra. Ebbene, guerra sia! E che il nazionalismo risvegli nell'Italia la volontà di vincere la guerra». I futuristi italiani, il cui fondatore Filippo Tommaso Marinetti rimase fedele a Mussolini sino alla fine, divulgarono il loro, per così dire, eccentrico punto di vista nel Manifesto del 1909: «Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo... lo schiaffo e il pugno... Noi vogliamo glorificare la guerra — sola igiene del mondo — e il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». (...) Prima del 1914 la Germania era una società relativamente non violenta. Dopo il 1918 la violenza divenne uno dei suoi tratti distintivi — ancora lontana dai livelli della Russia, ma lentamente sempre più simile. (...) Ormai il terreno era pronto ad accogliere con un vastissimo consenso l'assalto nazista alla sinistra nel 1933, la costruzione dei campi di concentramento, gli attacchi contro le minoranze (contro gli ebrei in particolare) e l'indebolimento dei limiti legali all'esercizio del potere statale. Quando, nel 1934, Hitler si dichiarò apertamente responsabile dell'assassinio di alcuni leader del suo stesso movimento, accusandoli di tradimento, corruzione e pratiche omosessuali, incassò una totale approvazione nonché l'esplosione della sua popolarità personale. Intanto un gran numero di tedeschi troppo giovani per aver fatto la guerra, spesso con un'istruzione universitaria — e che credevano strenuamente nell'uso freddo e razionale della violenza per purificare la Germania dalle sue diversità razziali, percepite come «malsane» — iniziavano a costruire le loro carriere dentro la polizia di sicurezza e le SS. Più tardi sarebbero diventati non solo i pianificatori del «nuovo ordine» nazista in Europa orientale, con l'obiettivo di eliminare 31 milioni di slavi nei 25 anni seguenti, ma i vertici delle squadre di sterminio che lanciarono la «Soluzione finale». Fu il culmine di un lungo processo nell'escalation della violenza politica, il cui punto di partenza risaliva alla Prima guerra mondiale. (...) Ma fatemi tornare alla terza domanda che avevo posto. Nel XX secolo c'è stata semplicemente più violenza? Oppure è stata anche una violenza qualitativamente diversa, più moderna? La maggior parte degli esperti concordano nel sottolineare la modernità di questo genocidio. Soprattutto Michael Mann ha sostenuto — in modo a mio avviso convincente — che l'assassinio di massa nei confronti di civili (o altre forme, magari non omicide, ma comunque brutali, di persecuzioni e «pulizie») su basi ideologiche «in nome del popolo», sia per ragioni etniche (vedi armeni, ebrei, bosniaci musulmani, albanesi, kosovari, tutsi e così via) sia per ragioni di classe (vedi il terrore staliniano anti-kulaki o lo «sterminio di classe» di Pol Pot) rappresenta una componente cruciale di ciò che rende «moderna», appunto, la violenza politica moderna. Naturalmente nell'assassinio di massa dei civili non c'è niente di nuovo. E l'ideologia — anche se religiosa, non laica — è stata usata per giustificarlo sin dall'antichità. Decine di migliaia morti ammazzati nella crociata contro gli albigesi all'inizio del XIII secolo, le guerre di religione francesi nella seconda metà del XVI, e la Guerra dei trent'anni nel XVII: tutte in nome della religione. Anche il sacco di Magdeburgo da parte dei cattolici nel 1631, col verosimile sterminio di 30 mila tra uomini, donne e bambini, e lo spietato assalto di Cromwell a Drogheda e Wexford in Irlanda, dieci anni più tardi, quando 4500 soldati della guarnigione vennero passati a fil di spada in nome di Dio, furono massacri particolarmente efferati e su vasta scala. Ma la violenza religiosa — o meglio la violenza perpetrata in nome della religione — di solito, giunta ai convertiti, si fermava. (...) Considerando ciò che almeno nel contesto europeo sembra evidente al di là di ogni possibile errore, la differenza maggiore tra la violenza nelle due metà del secolo consiste nel diverso impatto prodotto dalle due guerre mondiali. La seconda di queste guerre ha condotto cioè al contenimento, e persino allo sradicamento, delle principali fonti di violenza di Stato su larga scala, almeno in Europa. (...) Questo porta oltre il passato, verso il presente e il futuro. Ora, all'inizio del XXI secolo, in conseguenza dell'attacco alle Twin Towers dell'11 settembre 2001, siamo entrati in una nuova fase della violenza politica. Quell'atrocità non è stata un atto convenzionale di guerra. E tuttavia un atto di guerra lo è stato — un tipo moderno di guerriglia, e non da parte di uno Stato o di un gruppo terrorista legato a uno Stato, ma di un'oscura organizzazione internazionale e sovranazionale, Al Qaeda, che con i suoi tentacoli avvolge come un'idra diversi Stati, pur non legandone a sé nessuno. (...) È difficile immaginare che la cosiddetta «guerra al terrorismo » possa essere vinta dagli Stati Uniti, o da chiunque altro: o perlomeno è difficile immaginarlo in senso militare. Colui che per qualcuno è un terrorista è, per qualcun altro, un combattente in nome della libertà. (...) La conseguenza di questo nuovo tipo di terrorismo sarà la progressiva, inevitabile erosione delle libertà civili: almeno fino a quando i popoli impauriti saranno pronti a barattarle in cambio di una salvaguardia tutta apparente della loro sicurezza. (Traduzione di Sandra Zucchini)
Autore
Lo storico Ian Kershaw. In alto una scena di guerra in Somalia nel '93 (foto di Don Eldon)
Ghetto
Una famosa immagine del rastrellamento del ghetto di Varsavia
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