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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Sara Shilo al museo ebraico 17/07/2008

Bologna, 17 luglio 2008

 

 

 

L’ultimo appuntamento del Festival della Letteratura israeliana, organizzato dal Museo Ebraico di Bologna, che ha visto la partecipazione di Lizzie Doron e Etgar Keret, è con Sara Shilo, autrice del libro “La pazienza della pietra” pubblicato recentemente dalla casa editrice Giuntina.

 

Il romanzo, che è costato all’autrice cinque anni di lavoro, racconta attraverso il monologo dei quattro protagonisti la vita di una famiglia che abita in una cittadina nel nord d’Israele sotto la continua minaccia dei razzi katiuscia. Nell’arco di una giornata, Simona, Dudi, Itzik, Koby e Etty narrano con voce propria le emozioni, i desideri e i sentimenti contradditori che albergano nel loro animo e con i quali la famiglia Dadon si confronta ogni giorno.

 

Sara Shilo che lo scorso mese di maggio ha rilasciato un’intervista a Informazione Corretta, dopo la partecipazione al Salone del Libro di Torino in occasione del 60° anniversario della fondazione dello Stato di Israele, è una donna semplice, di straordinaria ricchezza umana, l’amica con la quale fare due chiacchiere davanti a un caffè.

 

Autrice di libri per bambini e organizzatrice di attività ricreative per l’infanzia, Sara Shilo incontra il pubblico bolognese nella suggestiva cornice del Cortile del Terribilia.

 

Le sue origini, il tema della morte, la presenza dei sogni nel romanzo, il valore della scrittura sono alcuni dei temi che affronta.

 

Nella scelta di raccontare la storia di una famiglia di marocchini c’è il desiderio della scrittrice di far conoscere il mondo dal quale proviene (la madre è siriana e il padre iracheno), una realtà poco conosciuta in Israele.

 

Il romanzo è ambientato fra  la fine degli anni 70 e i primi anni 80 quando Meir David Kahana, rabbino e politico dalle posizioni fanatiche e estremiste nei confronti degli arabi, si trovava in Israele e si recava nelle zone meno acculturate del paese per cercare di convincere la popolazione della validità delle sue idee. Ed è proprio attraverso la figura di questo rabbino che l’autrice ha voluto narrare la paura e come essa influenzi le persone e possa essere sfruttata dai politici stessi.

 

Una delle figure più belle del libro è senz’altro Simona Dadon, una donna che si differenzia dal prototipo della donna israeliana che siamo abituati a vedere a Tel Aviv. “Eppure – dice la Shilo – molte donne israeliane, anche quelle che hanno un alto livello di istruzione, si sono riconosciute in Simona ritrovando nel suo percorso di maternità una fase della loro vita. Simona è una donna che non ha studiato, molto diversa dalla tipica donna moderna eppure si è costruita da sola una coscienza femminista, mattone dopo mattone, senza che nessuno gliela insegnasse”.

 

La lingua usata nel romanzo, un ebraico a volte scorretto per meglio rappresentare la realtà in cui vive la famiglia Dadon , è l’occasione per parlare dell’esistenza in Israele di persone che conoscono talmente bene l’ebraico, rapportato quasi a una religione, al punto da correggere chi invece non è in grado di parlarlo perfettamente.

 

“Per me – continua la Shilo – è fondamentale invece ascoltare le persone soprattutto perché siamo un paese di immigrati con una forte minoranza araba, un paese che deve essere pronto a fare propri, attraverso l’ascolto, le sofferenze e le esperienze degli altri”.

 

Un elemento che ritorna frequentemente per tutto il romanzo è il sogno. “A volte - spiega l’autrice – mi pare che i sogni facciano a gara con la realtà.

 

Dal punto di vista letterario il sogno è una sorta di specchio della realtà, che a volte può apparire storto, a volte addirittura opposto alla realtà stessa”.

 

Una costante degli scrittori israeliani, alla quale non sfugge neppure Sara Shilo, è la presenza nelle loro opere dei morti che coesistono con i vivi e interagiscono con loro come Simona che non si è mai separata dal marito Massud, la cui morte rimanendo un mistero viene percepita al contempo come una presenza reale.

 

Sara Shilo non voleva diventare scrittrice ma raccontare quella storia  era per lei una necessità, era “la vita o la morte” : un impegno che si è rivelato duro, sia dal punto di vista fisico che emotivo, che le ha procurato soddisfazioni ma ha richiesto molta energia.

 

La sua intenzione è di “riprovarci” perché sono molte le cose che vorrebbe esprimere ed è consapevole che solo attraverso la scrittura può farlo.

 

 

 

Giorgia Greco

 


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