Strategia delle sanzioni contro l'Iran ? ricordiamo che finora non ha funzionato, e il tempo stringe
Testata: Il Foglio Data: 16 luglio 2008 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Strategia delle sanzioni contro l'Iran»
Sanzioni per fermare il programma nucleare iraniano ? E' la proposta di Stuart Levey, capo dell'intelligence finanziaria di Washington.
Purtroppo le sanzioni finora non hanno mai funzionato. Ricordiamo il caso della banca iraniana Melli, i cui interessi sono stati colpiti solo dopo che i suoi fondi erano stati messi al riparo, stornati dai paesi che aderivano alle sanzioni.
Inoltre, è noto che ottenere un efficace e generale collaborazione alle sanzioni è pressoché impossibile. Certo se tutti le applicassero tutto andrebbe meglio, ma è come dire che se tutti fossero più buoni il mondo sarebbe più buono.
Dunque, invochiamo pure le sanzioni, ma nel caso, molto probabile, che esse falliscano nel fermare la corsa al nucleare di Teheran, sarebbe ora di incominciare a pensare a un' alternativa.
Ecco il testo:
Roma. Le sanzioni finanziarie possono fermare il programma nucleare dell’Iran e indebolire il sostegno del regime al network del terrore, a Hezbollah in Libano, al Jihad in Palestina, alla guerriglia talebana in Afghanistan e ai kamikaze di al Qaida in Iraq. Secondo Stuart Levey, sottosegretario al Tesoro americano, i dati degli ultimi mesi mostrano l’efficacia degli sforzi diplomatici promossi dalla Casa Bianca e dai suoi alleati in Europa. “Istituti di credito, multinazionali e compagnie energetiche, come nel caso di Eni, hanno rinunciato all’Iran perché gli affari sono diventati troppo pericolosi”, dice Levey al Foglio al termine di un briefing con la stampa all’ambasciata americana di Roma. La scorsa settimana il gigante petrolifero Total ha deciso di ridurre il proprio impegno a Teheran. Lo stesso avevano già fatto Shell e Repsol. E’ uno dei risultati più significativi raggiunti grazie alle sanzioni: senza tecnologia l’Iran non può sfruttare i giacimenti di gas e oro nero, la risorsa su cui poggia il fragile sistema economico degli ayatollah. Ma è l’ultimo passaggio di una strategia pensata a Washington che ha coinvolto i principali leader del Vecchio continente, l’Unione europea e i paesi che fanno parte del cosiddetto “5+1”, il gruppo incaricato di negoziare con Teheran per conto delle Nazioni Unite. Prima, dice Levey, sono state colpite banche che permettevano gli esperimenti alla centrale atomica di Busher, gruppi finanziari che fornivano sostegno a Hezbollah e Jihad islamico, imprese occidentali che mantenevano rapporti ambigui con la Repubblica islamica. Lo sforzo, sostiene, “deve essere globale”, perché l’Iran è una sorta di “banca centrale del terrorismo” che supporta le milizie dell’intero medio oriente. Il regime sfida ancora i divieti della comunità internazionale con il proprio programma di arricchimento dell’uranio, testa missili che possono colpire Israele e ne progetta altri in grado di raggiungere l’Europa. Ma la soluzione diplomatica “è possibile”, dice al Foglio il capo dell’intelligence finanziaria americana: “Non voglio parlare di ‘regime change’, a noi non interessano le vicende della politica interna iraniana. Crediamo di poter raggiungere il nostro obiettivo attraverso la strada della diplomazia perché abbiamo una coalizione forte. Non va dimenticato che la Guida suprema dell’Iran ha l’autorità necessaria a intervenire su questa istanza”. Gli effetti della stretta cominciano a farsi sentire sulla popolazione, a Teheran la povertà aumenta e cala il consenso verso il regime. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha proposto ieri agli Stati Uniti di discutere il dossier nucleare. Il dialogo fra Roma e Washington A Roma Levey ha avuto incontri con funzionari del ministero del Tesoro e con la Banca d’Italia, ai quali ha chiesto sostegno per bloccare le operazioni finanziarie delle società iraniane offshore. “Siamo estremamente soddisfatti del comportamento tenuto dal governo italiano e dalle imprese italiane – dice Levey – Sappiamo che il vostro paese, prima delle sanzioni, aveva relazioni economiche significative con l’Iran”. C’è grande dialogo, sostiene Levey, fra Roma e Washington.
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