domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
15.07.2008 Parla Mimi Reinhardt, la segretaria di Oskar Schindler
e racconta per la prima volta la propria storia

Testata: La Repubblica
Data: 15 luglio 2008
Pagina: 33
Autore: Marco Ansaldo
Titolo: «Ho scritto io la lista Schindler»

Da La REPUBBLICA del 15 luglio 2008:

«Oskar Schindler non era un angelo. Era un avventuriero. Sapevamo perfettamente che faceva parte delle SS. La notte andava spesso a bere con i suoi colleghi. Ma al mattino in ufficio era sempre puntuale. Ed era palese che non poteva sopportare quello che ci stavano facendo. A volte mi domando perché non sono esistiti altri uomini come lui, capaci di rischiare la vita per salvare degli ebrei come noi. Nessun nazista fu così. Perché Schindler era un uomo. E probabilmente aveva un cuore d'oro». Stretta in una giacca elegante e in un pullover color verde prato, vivace e pronta alla bella età di 93 anni, Mimi Reinhardt abbassa lo sguardo e osserva le sue dita. Sulle labbra un filo di rossetto, la collana a doppio giro di perle intorno al collo, due anelli leggeri di pietra agli anulari. E' lei la segretaria di Oskar Schindler, l'imprenditore nazista che salvò dalla morte centinaia di ebrei trasferendoli dalla Polonia all'odierna Repubblica Ceca. E fu Mimi Reinhardt a battere, con due dita, uno per uno, i 1.200 nomi della famosa lista al momento della partenza dal Lager di Plaszow. Oggi vedova, ha da poco lasciato New York e scelto di vivere in Israele, nella casa per anziani «Sette stelle» a Herzliya, alle spalle di Tel Aviv. Ha voluto rompere il giuramento di riservatezza mantenuto per più di 50 anni. «Alla fine della guerra - dice ora - mi sembrava che una parte della mia vita fosse ormai terminata, ed ero pronta a cominciarne un'altra». Solo quando, al momento di fare domanda per andare a vivere in Israele, gli impiegati dell'Agenzia ebraica per il ritorno le fecero alcune domande, raccontò per la prima volta di aver lavorato nella fabbrica di Schindier. Prima a Plaszow, vicino Cracovia, e poi a Bruennlitz, dopo un terribile viaggio in treno. Le 300 donne destinate a Bruennlitz per unirsi con i loro uomini erano state per errore dirottate ad Auschwitz. «Davvero pensavamo che fosse arrivata la fine - ricorda Mimi - eravamo entrate nell'Inferno di Dante. Quando dopo due settimane arrivò Schindler, alto, imponente, caparbio, lo vedemmo come fosse arrivato il messia». L'imprenditore minacciò il comandante dicendo che l'avrebbe denunciato a Berlino, accusandolo di bloccare la produzione di munizioni. «Quello che non fece in quell'occasione! - dice lei oggi, ancora ammirata - l'unico modo proprio di agire era di ingannare i nazisti. Solo così Schindler riuscì a liberarci». E a tornare in possesso di tutti i «suoi» ebrei. Aveva 29 anni Mimi quando la misero a lavorare con lui. «L'unica cosa utile che ho imparato nella mia vita - dice staccando lo sguardo dalle mani- è la stenografia». Quel corso, e la conoscenza perfetta della lingua tedesca in quanto ebrea austriaca, le salvarono la vita. La lista costò un milione di marchi tedeschi, versati da Schindler al comandante del Lager, il famigerato Amon Goeth. «Io battevo a macchina con due dita. Tac tac tac. Cominciai mettendo il nome degli operai, poi quelli delle loro famiglie e dei loro amici. L'elenco cresceva, la gente si aggiungeva. Io scrivevo i nomi, uno dopo l'altro. Tac tac tac. Anche il nome di Schulim Vogelmann, l'unico italiano della lista. In pochi giorni la quota richiesta venne raggiunta. Alla fine misi i miei dati e quelli dei miei amici. Ci salvammo così. Una volta arrivati a Bruennlitz, dopo alcuni mesi, era ormai il maggio del 1945, fummo tutti liberati». Il figlio di Mimi, Sacha, era nato prima, nel 1939. Fatto fuggire con documenti falsi in Ungheria, lei lo ritrovò solo nel 1945, cercandolo in ogni palazzo di Budapest. Suo marito fu invece ucciso a Cracovia. Finita la guerra, Mimi conobbe a Tangeri un direttore d'albergo ebreo che lavorava per i servizi segreti britannici. Lo sposò. Nel 1957 ottennero tutti un visto, e la famiglia si trasferì in America. Venne a Roma, visitò a Milano, ricorda Trieste. «Mia nonna - dice con un sorriso - era di Abbazia, vicino a Fiume». Nel film di Steven Spielberg, a tempestare la macchina da scrivere per stilare la lista era l'assistente personale di Schindler, Itzhak Stern, interpretato da Ben Kingsley. Lì il personaggio di Mimi non compare. Ma lei non si preoccupa: «Non ho mai cercato la gloria. Il libro su Schindler però era meglio, fu scritto persino da un australiano, e nemmeno ebreo (Thomas Keneally, ndr)». All'inizio degli anni sessanta Mimi andò a Vienna per visitare una parente. Mentre passava davanti a un caffè, si sentì improvvisamente chiamare con il suo nome da ragazza: «Carmen Weitman!». «Era Schindier ricorda oggi con emozione mi aveva riconosciuto. Stava seduto con altri ebrei che avevano lavorato con lui». Trascorsero la serata tutti insieme. E al momento di prendere il taxi per rientrare, Schindler abbracciò i suoi lavoratori uno per uno, Mimi compresa. All'autista austriaco, che lo guardava perplesso senza capire, spiegò : «Sono i miei ebrei. Li ho salvati io!».

Per inviare una e-mail alla redazione della Repubblica cliccare sul link sottostante


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT