Aspettando che i soldati israeliani ritornino un articolo di Piera Prister
Testata: Informazione Corretta Data: 14 luglio 2008 Pagina: 1 Autore: Piera Prister Titolo: «Aspettando che i soldati israeliani ritornino»
Il tempo sta per scadere e lo stesso John Bolton, l'ex ambasciatore americano alle Nazioni Unite, intervistato a "Fox News" ha detto "we are inching toward the war" (a poco a poco, ci stiamo avviando verso la guerra). E intanto Ahmadinejad testa i suoi ordigni di guerra, gonfia ottuso i suoi muscoli come per dimostrare al mondo che le sue intenzioni sono davvero bellicose mentre Israele potrebbe mettere in liberta' mostri, che nulla hanno di umano, in cambio dei soldati israeliani vivi o morti; e intanto Bush e Sarkozy si apprestano a partecipare alle celebrazioni di apertura delle Olimpiadi di Pechino il prossimo 8 agosto, quasi per dare l'imprimatur al regime repressivo di Hu Jintao; e intanto il nostro Silvio Berlusconi si incontra a Roma affettuosamente con Abu Mazen che, non dimentichiamolo, per il conseguimento del suo dottorato disserto' all'universita' di Mosca una tesi che equipara il Sionismo al Nazismo; e similmente si comporta Sarkozy che si incontra con Assad a Parigi. Tutte le diplomazie sono in gran fibrillazione. Sorrisi e strette di mano dunque, ma Itzac Rabin non avrebbe voluto stringere la mano di Arafat sul prato della Casa Bianca il 13 sett. 1993. Non era affatto convinto che quei colloqui avrebbero portato veramente alla pace. Aveva ragione! Abbiamo ancora di fronte ai nostri occhi l'immagine dell'allora presidente Clinton che prese forzatamente la mano di Rabin riluttante perche' stringesse la mano di Arafat e della amara espressione di Rabin nient'affatto sorridente; quello era il volto nobile e scabro, senza infingimenti di chi non si fidava piu'delle promesse della diplomazia, di chi padre della nazione, troppe volte ha dovuto seppellire i propri figli soldati in uno stato, come Israele, in cui i padri sopravvivono ai figli contro ogni legge di natura, cosi' come ebbe a dire lui stesso, in quel toccante discorso. Quando ne va della vita e della morte del proprio popolo, non c'e' spazio per i sorrisi e strette di mano, ne' tantomeno per i brindisi, ne' per il protocollo. Anche Churchill non frappose tempo e subito, con risolutezza e senza indugio, mando' un fiero segnale a Hitler mostrandogli i denti... e vinse. Gli Israeliani stanno pagando un alto prezzo per un po' di pace, anche per la nuda pace dell'anima, per avere indietro i propri soldati vivi o morti, e per dare loro degna e onorata sepoltura. E' anche giusto e nobile che sia cosi', che si innalzi, come nei versi di Primo Levi "una preghiera con la gola piena di muto grido" per i soldati, figli della terra di Israele che ritornano in patria. (L'Ultima Epifania) E dopo la breve tregua, si ricomincia mentre il sogno di distruzione di Ahmadinejad sta diventando reale, e presto in Israele saranno distribuite maschere antigas come ai tempi della guerra del Golfo, scatenata da Saddam Hussein. Quante pagine sono state scritte sui giornali, quanti discorsi sono stati detti sulle sanzioni disattese contro l'Iran?! La "Total" il colosso petrolifero francese vi ha ottemperato, meglio tardi che mai! Ma ci sono paesi come l'Italia che ancora fanno affari con Ahmadinejad, oltre all'Eni e la Federpetroli, pare che anche la Fiat li faccia, da quanto si legge dal Jerusalem Post in un articolo di Calev Ben David. Cio' spiegherebbe il perche' La Stampa annoveri, tra i suoi columnist, la Barbara, quella divinita' zoomorfa, appollaiata sugli spalti della citta'di Dite dai quali ha lanciato la maledizione che "Israele fara' una brutta fine". Quello e' il ruolo assegnatole, un ruolo che lei adempie alla perfezione, brava la Barbara. IntantoAhmadinejad se la ride, perche' tutto ha una logica perversa, un suo sillogismo. Quella e' gente che gli ideali e i principi li calpesta, ed e' pronta a scatenare l'antico odio e a giustificarlo pure. Quella gente li', disonora il giornalismo e non onora quanti fra i giornalisti sono stati assassinati per tener loro la bocca chiusa per sempre. Cosi' siamo in pericolo, come avvenne prima della seconda guerra mondiale: c'e' il petrolio da anteporre e c'e' la ragione di stato, c'e' la crisi economica e ci sono gli sporchi giochi di potere. Solo per i soldati israeliani, giovani cresciuti troppo in fretta nella realta' della guerra, non ci sono "ma" e non ci sono "se" nella loro dedizione assoluta, non antepongono nulla a quel giuramento gridato in coro quando si arruolano e, nei versi scabri di Paul Celan, c'e' tutta la loro forza e il loro attaccamento alla terra d'Israele riavuta dopo duemila anni: " Ma pensa, il soldato di Masada [e'] un uomo di palude che si procura la patria in modo che mai potra' essergli tolto, contro ogni spina di reticolato...ma pensa, ha sostenuto nuovamente alla vita e risollevato questo pezzo di terra resa abitabile". Piera Prister Bracaglia Morante