Ottimismo a buon mercato sulla crisi iraniana nella cronaca di Vincenzo Nigro e nell'analisi di Renzo Guolo
Testata: La Repubblica Data: 14 luglio 2008 Pagina: 0 Autore: Vincenzo Nigro - Renzo Guolo Titolo: «La pace non è mai stata così vicina - Una fragile speranza»
Ahmadinejad dichiara di essere pronto a negoziare con l'amministrazione Bush, poi " ricorda che i test missilistici e le manovre militari tenute nei giorni scorsi «rappresentano solo una piccola parte della forza militare dell´Iran», e poi ripete che «le nostre forze militari taglieranno la mano dei nemici prima ancora che premano il grilletto»". Sembrerebbero minacce che contraddicono l'apertura iniziale. Secondo Vincenzo Nigro di REPUBBLICA, però, si tratta di un"completamento necessario del suo ragionamento politico, che non contraddice la prima parte, ma riporta realisticamente alle condizioni dello scontro politico interno in Iran".
Ecco il testo:
ROMA - «Taglieremo le mani del nemico che è pronto ad attaccarci, ma siamo pronti a negoziare con George Bush e ad accogliere i suoi diplomatici a Teheran». L´alternanza di segnali contraddittori che arrivano nelle ultime settimane dal presidente Ahmadinejad rimane uno dei caratteri distintivi della sua politica (e di quella iraniana). Ieri il capo del governo di Teheran ha dichiarato alle tv che è pronto a discutere l´idea che gira da qualche settimana: permettere ad alcuni diplomatici americani di aprire una sezione di interessi del Dipartimento di Stato in una delle ambasciate straniere a Teheran. E ha anche ripetuto che con Bush avvierebbe un negoziato, «senza mediatori, perché noi non ne abbiamo bisogno». Pochi secondi più tardi, l´ex sindaco di Teheran ritorna però alla parte dura della propaganda, ricordando cosa hanno detto i capi dei Pasdaran pochi giorni fa: «Prima ancora che il nemico metta il dito sul grilletto, siamo pronti a tagliare le sue mani». E il principale "nemico" non può che essere gli Stati Uniti di George Bush, che da mesi non esclude (anche se non ricerca) un´azione militare per fermare il programma nucleare iraniano. Ragioniamo sulla prima parte del discorso, quella "positiva": dal 1979, dopo i 444 giorni dell´occupazione e della presa di ostaggi nell´ambasciata americana a Teheran, Iran e Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche. I due paesi anzi si sono ritagliati reciprocamente il ruolo di "grande Satana", di "nemico pubblico numero 1". Attentati, scontri più o meno sotterranei, manovre dei servizi segreti sono state incessanti, ovunque in Medio Oriente. Ma allo stesso tempo la possibilità di un dialogo non viene scartata da nessuna delle due parti: un mese fa fonti del Dipartimento di Stato hanno fatto sapere che l´idea di assegnare alcuni diplomatici americani ad una "sezione di interessi" Usa a Teheran non è stata scartata (oggi è la Svizzera a tutelare gli interessi americani in Iran). Ma poi arriva la seconda parte del discorso di Ahmadinejad, quella in cui ricorda che i test missilistici e le manovre militari tenute nei giorni scorsi «rappresentano solo una piccola parte della forza militare dell´Iran», e poi ripete che «le nostre forze militari taglieranno la mano dei nemici prima ancora che premano il grilletto». E´ un completamento necessario del suo ragionamento politico, che non contraddice la prima parte, ma riporta realisticamente alle condizioni dello scontro politico interno in Iran. Così come l´America è praticamente paralizzata da una campagna elettorale che per mesi non le permetterà grandi decisioni in politica estera, anche la politica iraniana si muove in funzione delle elezioni presidenziali del 2009. I conservatori si stanno dividendo in correnti: molti abbandonano Ahmadinejad, considerato da molti dannoso per lo stesso regime, altri corrono verso Larijiani, verso l´attuale sindaco di Teheran Qalibaf, verso il gruppo di cui fanno parte l´ex ministro degli Esteri Velayati e l´attuale ministro Mottaki. In questo movimento, lo stesso Ahmadinejad inizia a manovrare per provare a recuperare il terreno perduto. Ecco alternare aperture e minacce contro gli Stati Uniti farà parte dei prossimi mesi del dibattito politico iraniano.
Anche Renzo Guolo nella sua analisi ostenta ottimismo circa la possibilità di una risoluzione della crisi iraniana. Se l'ottimismo di Nigro si fonda su un'interpretazione forzatamente benevola delle bellicose dichiarazioni di Ahmadinejad, quello di Guolo riposa su un assunto costantemente ripetuto da alcuni mezzi di informazione, ma indimostrato : "Evitare la guerra, salvare la nazione anche a scapito della rivoluzione, è ormai l´imperativo di alcune fazioni del regime degli ayatollah". Se anche fosse vero, finora le aspirazioni di queste fazioni non si sono tradotte in azioni politiche concrete ed efficaci.
Ecco il testo:
A Parigi Olmert afferma che israeliani e palestinesi, almeno quelli dell´Anp, non sono mai stati così vicini a un accordo. Ma il clima che si respira in Medio Oriente è un altro. E non solo perché i contatti con un importante attore regionale come la Siria sono, per stessa ammissione del premier israeliano, ancora "indiretti"; ma soprattutto perché nessun serio progresso sulla questione israelo-palestinese reggerebbe alla deflagrazione innescata da un eventuale attacco israeliano all´Iran. Attacco sempre più possibile, in caso di nuovo fallimento nei prossimi colloqui tra Iran e "5+1". A Gerusalemme e a Teheran lo sanno bene: la grande esercitazione delle forze aeree di Tsahal sui cieli dell´Egeo, così come l´esibito lancio di missili Shahab da parte dei Pasdaran, non sono solo esibite forme di deterrenza preventiva. Il clima è incandescente, nonostante Bush sembri aver rinunciato a impegnare direttamente l´amministrazione in uno strike destinato a mutare il volto del Medio Oriente. Ma, in caso di raid israeliano, la Casa Bianca non farebbe mancare la copertura politica e militare. Contando sul fatto che l´inseguimento di Barack Obama al voto ebraico nella race presidenziale smorzi le polemiche. Quanto agli israeliani ritengono che l´attesa dell´eventuale ingresso del giovane afro-americano nella Sala ovale, dell´esame del dossier, oltre che la prevedibile riluttanza del neopresidente a impegnarsi in un importante conflitto all´inizio del suo mandato, come invece accadde a Kennedy, ostaggio della pesante eredità lasciata dall´amministrazione Eisenhower, significhi spostare troppo in là la resa dei conti. A quel punto, però, i fronti aperti sarebbero molti. A parte le evidenti conseguenze per i paesi del Golfo e per il prezzo del petrolio, né Hamas né Hezbollah, strettamente legati all´Iran, e determinanti per qualsiasi soluzione della vicenda palestinese, resterebbero a guardare. Oltretutto Hezbollah, uscito vittorioso dalla prova di forza scatenata inopinata- mente da Siniora, è nuovamente parte integrante del governo libanese e il ministero degli Esteri è sotto controllo di un suo stretto alleato. Così come non potrebbe rimanere neutrale Damasco, legata a un patto di difesa militare con Teheran. Parlare, dunque, come si è fatto all´Eliseo, di importante intesa con l´Anp in presenza di questo incombente macigno, pare una mera manifestazione di ottimismo. Anche perché, in caso di conflitto, la leadership di Abbas ne uscirebbe frantumata. In una regione in cui, da sempre, tutto si tiene, lo scioglimento del nodo del nucleare iraniano resta, dunque, il bandolo della matassa e l´idea che si possa procedere per singole issues è, oggi, fuori discussione. E, comunque, il tempo di una soluzione a due è inesorabilmente tramontato dopo lo sbarco dell´Iran a Gaza. Polemos , la guerra, è il padre di tutte le cose, affermava Eraclito. Un detto conosciuto da quanti, in Israele, ritengono che un attacco a Teheran possa eliminare quella che è ritenuta la sola, seria, minaccia strategica alla sicurezza dello Stato, togliendo di scena per lungo tempo sia un competitore strategico dotato di armi nucleari, presenza che la dottrina militare israeliana ritiene inaccettabile, sia l´ipoteca iraniana sui palestinesi. Una considerazione nota anche in Iran dove, al di là delle roboanti frasi di Ahmadinejad, secondo il quale le forze armate del paese «taglierebbero le dita dei nemici prima ancora che premano il grilletto», molti sanno che un attacco israeliano non si limiterebbe a una mera replica dell´operazione Osirak, che mise fuori uso il reattore di Saddam Hussein, ma, avendo l´obiettivo di determinare nuovi equilibri politici e militari, sarebbe ben più distruttivo. Evitare la guerra, salvare la nazione anche a scapito della rivoluzione, è ormai l´imperativo di alcune fazioni del regime degli ayatollah. Lo scioglimento del nodo potrebbe essere demandato all´esito del nuovo round negoziale, più che all´estemporaneo invito di Ahmadinejad a Bush di negoziare direttamente senza inutili mediatori. Poi il tempo a disposizione collasserà. Il consigliere diplomatico della Guida, Velayati ha ribadito recentemente che la decisione finale in materia nucleare spetta a Ali Khamenei. Se davvero la sensazione a Teheran fosse quella di un conflitto imminente, non è escluso che la Guida, cui spetta anche la supervisione degli affari politici, possa imporre un compromesso, inviso al "partito dei militari" o, quantomeno, alla sua ala messianica. Il precedente, quello di Khomeini che accetta la fine delle ostilità con l´Iraq in nome della salvaguardia della Repubblica Islamica, esiste e non è di poco conto. I duri e puri continuano a sostenere che la linea rossa è costituita dalla richiesta di sospensione dell´arricchimento durante i negoziati. Una questione di forma: se c´è la volontà politica di giungere a un´intesa abili diplomatici possono risolverla senza troppi problemi. La soluzione della vicenda israelo-palestinese, cosi come il futuro del Medio Oriente, passano, oggi , più che per Gerusalemme e Ramallah per Gerusalemme e Teheran.
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