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La Stampa Rassegna Stampa
12.07.2008 Pakistan, lo scenario dell'islamo-fascismo prossimo venturo
L'analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 12 luglio 2008
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Sul Karakorum l'ultima migrazione dei guerrieri islamici»

Una analisi accurata quella di Maurizio Molinari sulla STAMPA di oggi, 12/07/2008, a pag.13, dal titolo " Sul Karakorum l'ultima migrazione dei guerrieri islamici ". La liberazione dell'Iraq di Saddam Hussein, sta trasfomando il Pakistan  nel centro prossimo venturo del terrorismo islamo-fascista, un luogo dove si riorganizza l'jihad insieme ad Al Qaeda. Una analisi attenta che dovrebbero leggere con attenzione i sognatori della pace universale di casa nostra, capirebbero quello che finora si sono rifiutati anche solo di ascoltare. Ecco l'articolo:

A giudicare dal contenuto dei rapporti di intelligence recapitati alla Casa Bianca nelle ultime settimane la priorità della sicurezza nazionale per il prossimo presidente sarà il Pakistan.
L’intelligence americana sta monitorando una migrazione di jihadisti verso il Pakistan di dimensioni significative. Si tratta di estremisti sunniti e giungono da Medio Oriente, Golfo, Nord Africa e Asia Centrale attraverso le stesse rotte che fino a inizio anno li portavano in Iraq. Il numero degli arrivi di jihadisti in Iraq è sceso da 110 a 40 al mese a seguito dei successi delle truppe Usa del generale David Petraeus e, contemporaneamente, è aumentato di un numero pari o superiore nelle aree tribali pakistane al confine dell’Afghanistan dove si trovano le retrovie dei taleban che combattono contro la Nato. Se fino ad aprile-maggio i jihadisti sbarcavano da voli commerciali all’aeroporto di Damasco e procedevano via terra verso Mosul ora atterrano a Karachi o Quetta e da lì si trasferiscono nel Waziristan del Nord o del Sud. Altre rotte, via terra, passano per l’Iran e il Beluchistan. Il risultato di tale migrazione, spiega il generale David McKiernan, nuovo comandante delle truppe Nato in Afghanistan, è che «aumenta il numero dei jihadisti che non parla pashtun fra i taleban» in maniera analoga a quanto avvenne negli anni Ottanta, quando i mujaheddin si formarono in Afghanistan per combattere l’Armata Rossa sovietica grazie alla partecipazione di migliaia di volontari provenienti da Maghreb, Medio Oriente, Paesi del Golfo, Caucaso, Asia Centrale e Cina Occidentale.
Fu la caduta dei taleban alla fine del 2001 che portò i jihadisti ad abbandonare l’Afghanistan tornando nei Paesi d’origine dove sono stati protagonisti di una campagna di attentati - da Riad a Casablanca - che i leader di Al Qaeda nella primavera del 2003 indirizzarono verso l’Iraq e ora tornano a spostare verso l’Afghanistan rafforzando le basi in Pakistan. A fotografare l’effetto dei nuovi flussi jiahdisti è il rapporto «Counterinsurgency in Afghanistan» preparato per il Pentagono dalla Rand Corporation, nel quale si legge che «i taleban hanno i santuari nelle aree tribali e nel Beluchistan pakistano, da dove mandano armi, munizioni, rifornimenti e kamikaze in Afghanistan usando la autostrada n. 4 che collega i due Paesi attraversando la provincia di Kandahar». Da qui il rafforzamento di quattro gruppi terroristici spesso indistinguibili fra loro: i talebani fedeli al Mullah Omar, attivi nel sud delle zone tribali dove sono alleati ai trafficanti di droga, fra i quali sta emergendo la fazione Tehrik-e-Taliban di Beitullah Meshud, accusato dell’assassinio dell’ex premier pakistano Benazir Bhutto; Hezb-i-Islami di Gulbuddin Hekmatyar, con le roccaforti nel nord; il gruppo di Sirajuddin Haqqani, che controlla le zone centrali; Al Qaeda, il cui leader indiscusso sul terreno resta Ayman al-Zawahiri, vice di Bin Laden.
In tutto si tratta di almeno 10 mila uomini armati, distribuiti in circa 30 campi maggiori, che continuano a crescere. Proprio l’arrivo dei jihadisti reduci dall’Iraq avrebbe consentito ad Al Qaeda di ricostituire la Brigata 055, data per distrutta nel 2001. C’è chi ha visto proprio la mano della «Brigata araba» dietro il recente attacco contro il consolato indiano a Kabul. «Vi sono indicazioni precise che dentro il governo pakistano, nei servizi segreti come nei corpi di frontiera, vi sono individui che assistono tali gruppi», sottolinea il documento della Rand, attribuendo a questa miscela pakistano-jihadista alcuni dei più efferati attentati riusciti o preparati negli ultimi tempi: l’uccisione della Bhutto, gli attacchi a Londra nel 2005, i piani falliti in Germania e Danimarca nel 2007 come in Spagna quest’anno, e il tentativo di attaccare New York con aerei dirottati a Londra nel 2006.
La scelta fatta a fine giugno dal Pentagono di spostare la portaerei Lincoln dal Golfo Persico al Mare Arabico nasce proprio dalla convinzione che le aree tribali pakistane sono destinate a diventare un teatro di combattimento assai caldo, come d’altra parte testimonia il moltiplicarsi di lanci di missili da parte dei droni della Cia impegnati nella caccia ai leader jihadisti. Il punto debole delle operazioni anti-terrorismo resta l’esercito pakistano: il nuovo governo di Islamabad ha affidato al capo di Stato maggiore Ashfaq Parvez Kayani il mandato di «usare la forza in presenza di informazioni verificate», ma a Washington sono in molti a dubitare della sua volontà, o capacità, di agire.

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