venerdi 01 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






 
Giorgia Greco
Libri & Recensioni
<< torna all'indice della rubrica
Etgar Keret al museo ebraico di Bologna 10/09/2008

Bologna, 10 luglio 2008

Gli incontri al Festival di Letteratura israeliana organizzati dal Museo Ebraico di Bologna proseguono con un giovane autore conosciuto in Italia per alcune raccolte di racconti fra cui “Pizzeria Kamikaze” e il più recente “Abramkadabram” editi dalla casa editrice e/o.
Etgar Keret, nato nel 1967 a Tel Aviv da genitori scampati alla Shoah, rappresenta “la voce di tutti gli outsider, di coloro che non hanno mai trovato una vera appartenenza”.
Dotato di una grande vena comica cui spesso si aggiunge un pizzico di provocazione, Keret racconta nelle sue storie brevi, sempre surreali e a volte pungenti, la vita israeliana con i suoi paradossi e contraddizioni.
Nelle sue short stories appaiono spesso universi paralleli: ad esempio in Pizzeria kamikaze c’è un luogo nell’al di là solo per suicidi, da un lato i kamikaze arabi, dall’altro i depressi israeliani.
Ma qual è l’orizzonte di Etgar Keret?
“La scrittura per me è un tentativo di toccare realtà che non riesco a vedere. Per molti scrittori l’atto di scrivere consiste nell’esprimere qualcosa di noto. Per me scrivere è sporgersi dal precipizio e fare un passo nel vuoto. Quando scrivo non ho un orizzonte, né alcuna aspettativa: semplicemente vado verso l’ignoto”.
I personaggi dei suoi libri, in genere trentenni senza progettualità schiacciati nella loro quotidianità, sono il risultato della reazione di Keret alla realtà in cui vive; cresciuto in un paese molto ideologicizzato, in una società con una spiccata propensione alla collettività, osserva come le persone della sua generazione compiano uno sforzo enorme per ampliare il loro spazio individuale e per capire quale sia l’obiettivo cui tendere.
Il tema della morte è presente in quasi tutti i suoi racconti, sebbene non siano pervasi dalla tristezza. La vita e la morte in un certo senso convivono nella medesima storia.
Ricorre spesso anche il tema del suicidio, in un contesto comunque ottimistico.
“L’idea di sapere che ti puoi togliere la vita da solo – continua Keret – ti rende più responsabile. Poiché abbiamo “scelto” di continuare a vivere dobbiamo cercare inevitabilmente di tirare fuori il meglio dalla nostra vita”.
L’identità israeliana è costruita su paradossi e contraddizioni. Che posto è Israele per Etgar Keret?
“E’ un luogo talmente conservatore che il giorno di shabbat non circolano gli autobus ma al contempo progressista e avanzato al punto che un travestito è stato scelto per rappresentare Israele all’eurovisione e ha vinto!  Dunque un posto a metà strada fra Iran e California, un luogo denso di contraddizioni che rappresentano però anche un fattore di energia, di vitalità inesauribile  per Israele”.
Le contraddizioni estreme di questo paese sono ben rappresentate nella stessa famiglia di Keret: suo fratello, esponente della sinistra estrema, vive in Thailandia dopo aver cercato di formare un movimento per la liberalizzazione della marijuana, la sorella al contrario è ultraortodossa e all’età di 45 anni ha undici figli e due nipoti. “Tuttavia seppur nella diversità – ribadisce Keret – stiamo cercando tutti la stessa cosa: vale a dire quello che trascende la realtà materiale dell’esistenza”. Nelle short stories dello scrittore israeliano un posto di rilevo spetta alla figura del “prestigiatore”. E’ affascinato da questi personaggi perché ritiene che abbiano molto in comune con l’artista e lo scrittore in particolare. Il mago che ha il potere di far accadere prodigi è comunque dipendente dal pubblico che lo ammira ad occhi aperti.
“Cosa sarebbe il mago senza i suoi spettatori e lo scrittore senza i suoi lettori? E’ però quando il mago (o lo scrittore) non capisce il “trucco” che ha usato per distrarre il pubblico che si compie una vera magia”.
Fra i personaggi che popolano i racconti di Keret i bambini trovano ampio spazio. 
 “Perché i bambini non sono ancora parte integrante della società, sono degli “iniziati” e possono osservare i problemi da una prospettiva diversa rispetto a quella degli adulti, un punto di vista “esterno”. “Da bambino ho sempre cercato di apparire normale agli occhi degli altri anche se non mi sentivo tale. La letteratura è quello strumento che mi ha permesso di realizzare fino in fondo il bambino che era in me”.
Un altro spunto di riflessione che emerge leggendo i libri di Keret è il ricorrere dei “compleanni”. “E’ un momento cruciale – spiega lo scrittore – perché in quel giorno, indipendentemente dall’età che compie, una persona deve guardarsi alle spalle, ripercorrere la vita che ha vissuto fino a quel momento e in tal modo porsi di fronte a una nuova sfida”.
Etgar Keret, che per le sue opere ha ricevuto prestigiosi premi letterari quali il “Prime Minister’s Prize, ha scritto anche la sceneggiatura di molti film di successo. Insieme alla moglie Shira Geffen ha girato il film Meduse, uscito nelle sale italiane alcuni mesi fa,  con il quale ha vinto la “Camera d’Or” al Festival di Cannes 2007. E’ una storia delicata, quasi una favola dove le vite dei personaggi si incrociano sullo sfondo della città di Tel Aviv: Karen si infortuna una gamba durante il suo banchetto di nozze ed è costretta a rinunciare alla luna di miele. Batya incontra una misteriosa bambina che segue ogni suo passo, Joy è una colf filippina maltrattata dall’anziana signora presso la quale lavora.
Come si colloca il suo lavoro di scrittore rispetto all’attività di regista?
“Sono più vicino alla scrittura come mezzo espressivo rispetto al cinema, tuttavia sono convinto che quando si produce un film si compia un miracolo.
Per fare un film – conclude Keret – occorre la partecipazione di molte persone e nel momento in cui quel film viene proiettato coloro che vi hanno contribuito si riconoscono in esso. Penso che il fatto di condividere così profondamente un unico spazio rappresenti una delle ragioni per guardare al cinema con grande ottimismo”.

Giorgia Greco


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT