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Libero Rassegna Stampa
08.07.2008 Marcello Veneziani riscrive la storia e assolve il fascismo per le leggi razziali
secondo lui non fu vero antisemitismo

Testata: Libero
Data: 08 luglio 2008
Pagina: 1
Autore: Marcello Veneziani
Titolo: «Perché il duce non divenne mai razzista»

Il fascismo non fu totalitario e nemmeno razzista e antisemita. Parola di Marcello Veneziani che, ignorando le più recenti ricerche storiche sulle leggi razziali italiane, utilizza ( e in parte distorce) le tesi, non adeguatamente documentate e superate, esposte da Hannah Arendt ne "Le origini del totalitarismo" per giustificare una assoluzione insostenibile sia sul piano storico che su quello morale.

Ecco il testo:

Non insista, professor Gentile, il fascismo non fu un regime totalitario. Aveva ragione Hannah Arendt, che lei maltratta con deplorevole sufficienza. È uscito da Carocci, riveduto e ampliato, il saggio di Emilio Gentile, “La via italiana al totalitarismo” (...)

(...) (pp. 421, euro 26,5). Allievo di Prezzolini e di De Felice, Gentile si discosta dalla lezione dei suoi maestri e sostiene che il fascismo sia stato un totalitarismo vero, polemizzando con la Arendt a cui si deve il saggio più importante sul totalitarismo. Lasciamo da parte i confronti tra gli studi del totalitarismo, proviamo a tuffarci nella storia. Il fascismo ha un destino paradossale: fu il primo regime a rivendicare la definizione di totalitario, tramite Gentile, nel senso di Giovanni, e lo stesso Mussolini. Ma per essere totalitario non basta il partito unico, la soppressione della libertà e la mobilitazione di massa. Occorrono altri tre decisivi requisiti: il monopolio assoluto del potere, la pratica del terrore, la tabula rasa del passato nel nome della rivoluzione. Ora, nel primo caso, il fascismo lasciò vivere e prosperare larghe zone franche, irriducibili al suo potere: la Chiesa, che ebbe anzi un esplicito riconoscimento con i Patti Lateranensi, la Monarchia, che caso unico per una dittatura, continuò a regnare, e il Capitale, che non fu distrutto o piegato. Per non dire di ampi poteri dello Stato che restarono negli assetti e nella mentalità largamente immuni dal fascismo, dalla magistratura alle prefetture, alle forze armate. In secondo luogo, nessuno storico di buon senso può parlare di un regime fascista fondato sul terrore. Non ci furono deportazioni o stermini di massa, gli antifascisti uccisi durante i vent’anni di regime non superarono le venti unità, furono uccisi più antifascisti italiani nell’Unione sovietica di Stalin, con il beneplacito di Togliatti, che nell’Italia fascista. Infine il fascismo non fece tabula rasa, ma la sua fu una rivoluzione conservatrice: la storia, la famiglia, la tradizione, pur reinterpretate, restarono salde. Imparagonabile con i regimi comunisti, che furono compiutamente totalitari, e con il nazismo che pure non riuscì a pervadere tutta la società tedesca. Il totalitarismo in Italia non fu solo temperato dall’inefficienza e dal generico mammismo degli italiani ma fu un totalitarismo geneticamente incompiuto e imperfetto; fu un regime autoritario di massa, una dittatura nazional-populista con tratti totalitari. Rispetto ai vecchi regimi autoritari, il fascismo mobilita il popolo, non lo chiude in casa; sogna una rivoluzione e non instaura solo l’ordine. Lo stesso Togliatti quando lo definisce regime reazionario di massa, riconosce quei tratti e il consenso popolare. E Gramsci dal carcere non critica il fascismo perché totalitario ma perché non lo è abbastanza, in quanto subalterno alla borghesia, alla Chiesa e al capitale, le mitiche “forze oscure della reazione”.

La questione delle leggi razziali

Avviene la svolta totalitaria con le leggi razziali del luglio ‘38, si chiede Gentile sulla scia della Arendt? Non credo. Le leggi razziali servono a potenziare la sua aggressiva aspirazione rivoluzionaria, protesa non a perseguitare la razza ebraica ma a rifondare la stirpe, come allora si diceva, nel sogno velleitario di generare l’italiano nuovo.

Condivido l’analisi che ne fa l’ebrea Arendt a tale proposito:

a) «L’Italia era uno dei pochi Paesi d’Europa dove ogni misura antisemita era decisamente impopolare». Infatti, aggiunge, «l’assimilazione degli ebrei in Italia era una realtà». La condotta italiana «fu il prodotto della generale spontanea umanità di un popolo di antica civiltà». Un popolo che dai tempi dei romani conviveva con gli ebrei, e continuò a convivere anche all’ombra della Chiesa cattolica: il cattolicesimo trasmise agli italiani il germe di una antica e diffusa diffidenza verso gli ebrei, considerati popolo deicida; ma trasmise agli italiani anche comprensione e umanità rispetto ai paesi di estrazione protestante, più decisamente antigiudaici.

b) «La grande maggioranza degli ebrei italiani - scrive la Arendt - furono esentati dalle leggi razziali», concepite da Mussolini «cedendo alle pressioni tedesche». Perché gran parte degli ebrei erano iscritti al Partito fascista o erano stati combattenti, nota la Arendt, e i pochi ebrei veramente antifascisti non erano più in Italia. Persino il più razzista dei gerarchi fascisti Farinacci, notava la Arendt, aveva collaboratori ebrei, e non era un’eccezione.

c) A guerra intrapresa, scrive addirittura l’Arendt «gli italiani col pretesto di salvaguardare la propria sovranità si rifiutarono di abbandonare questo settore della loro popolazione ebraica; li internarono invece in campi, lasciandoli vivere tranquillamente finché i tedeschi non invasero il Paese». E quando i tedeschi arrivarono a Roma per rastrellare gli ottomila ebrei presenti «non poterono fare affidamento sulla polizia italiana. Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila riuscirono a fuggire». Molti, va aggiunto, con l’aiuto del Vaticano. I nazisti, per la Arendt, «sapevano bene che il loro movimento aveva più cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che col fascismo italiano e Mussolini, dal canto suo, non aveva né molta fiducia nella Germania né molta ammirazione per Hitler».

Boicottaggioantinazista

d) L’Italia fascista adottò nei confronti dei nazisti antisemiti un sistematico “boicottaggio”. Nota la Arendt: «Il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie, soprattutto perché Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi fascisti, quello di Pétain in Francia, quello di Horty in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, quello di Franco in Spagna. Finché l’Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Germania potevano cercare di fare altrettanto… Il sabotaggio era tanto più irritante in quanto era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda». Il caso di Giorgio Perlasca, il fascista che salvò la vita a 5 mila ebrei, non fu isolato e autarchico.

e) Quando il fascismo, allo stremo della sua sovranità politica, cedette alle pressioni tedesche, creò un commissariato per gli affari ebraici, che arrestò 22 mila ebrei, ma in gran parte consentì loro di salvarsi dai nazisti, di rifugiarsi, come scrive la studiosa ebrea. Nota la Arendt, eccedendo in indulgenza, che «un migliaio di ebrei delle classi più povere vivevano ora nei migliori alberghi dell’Isère e della Savoia». Risultato fu che «gli ebrei che scomparvero non furono nemmeno il dieci per cento di tutti quelli che vivevano allora in Italia». Le citazioni sono tratte dal libro “La banalità del bene” (Feltrinelli). È permesso aggiungere che morirono più italiani nelle foibe comuniste che ebrei italiani nei campi di sterminio?

f) Le origini culturali dell’antisemitismo sono ricondotte dalla Arendt in larga parte a sinistra; ne “Le origini del totalitarismo” ricorda che fino all’affare Dreyfus in Francia, «le sinistre avevano mostrato chiaramente la loro antipatia per gli ebrei. Esse avevano semplicemente seguito la tradizione dell’illuminismo del XVIII… l’atteggiamento antiebraico era parte integrante dell’anticlericalismo». In Germania, ricorda la Arendt, i primi partiti antisemiti furono i liberali di sinistra, guidati da Schonerer e i socialcristiani di Lueger.

Il prestigiodi Mussolini

Nonostante avesse promulgato due mesi prima le leggi razziali, Mussolini a Monaco raggiunge l’apice del prestigio tra le democrazie occidentali.

Insomma, il fascismo non fu totalitario e tantomeno fu il male assoluto, che forse non esiste in terra ma a cui semmai si avvicinarono Hitler e Stalin, Mao e Pol Pot. Gli uomini non sono angeli né demoni, anche se prendono lezioni da ambedue. Magari più consigli dai primi e più esempi dai secondi.

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