Ricordare Leo Klinghoffer ucciso sull'Achille Lauro perché ebreo: un articolo di Toni Capuozzo
Testata: Il Foglio Data: 06 luglio 2008 Pagina: 2 Autore: Toni Capuozzo Titolo: «Ho incontrato Ibrahim Abdellatif Fatayer,e ho ripensato a Leo Klinghoffer»
Da Il FOGLIO del 6 luglio 2008:
C’è handicappato e handicappato. Ci sono gli handicappati verso cui è facile mostrare solidarietà e vicinanza non penosa, e quelli che è meglio dimenticare. Mi sento molto vicino alla prima scuola di pensiero (ho cenato di recente all’Osteria “Le mani in pasta”, a Corsagna, comune di Borgo a Mozzano, Lucca, dove alcuni ragazzi diversamente abili hanno trovato in cucina, ai tavoli, nel vigneto un lavoro, e una dignità. Andateci, se girate la Toscana: 0583.809512), ma non voglio iscrivermi alla seconda. Non ho mai potuto dimenticare il nome e la fine di Leo Klinghoffer. Era un ebreo newyorchese di sessantanove anni, su una sedia a rotelle. Nell’ottobre di ventitré anni fa stava facendo una crociera nel Mediterraneo, con la moglie. Non era una vacanza qualunque: la coppia festeggiava i trentasei anni di matrimonio, e la ricorrenza aveva il sapore dell’ultima festa, perché lei, Marilyn Klinghoffer affrontava un male senza scampo. Anche la nave non era una nave qualunque: era l’Achille Lauro. Saliti a bordo ad Alessandria d’Egitto quattro terroristi palestinesi sequestrarono la nave, forzandone la rotta verso la Siria, chiedendo la liberazione di cinquanta detenuti palestinesi, e in primis di Samir Kuntar. Ricostruzioni successive diranno di un piano diverso, teso a profittare di uno scalo israeliano per compiere un sequestro di militari israeliani, da liberare in cambio dei detenuti palestinesi. Ma, scoperti per caso da un membro dell’equipaggio, i quattro avrebbero ripiegato su un’azione ancora più clamorosa. Vistosi rifiutare l’approdo in Siria, i sequestratori scelsero, tra i 450 passeggeri, una vittima: Leo Klinghoffer. Lo uccisero a sangue freddo – un colpo al petto e uno alla testa – e ordinarono a due inservienti di scaraventarne il corpo in mare. Il seguito della storia è altrettanto noto: i mediatori – e tra loro Abu Abbas, capo del Fronte di liberazione della Palestina cui apparteneva il commando – ottennero che i quattro lasciassero la nave a Port Said, da dove un aereo egiziano decollò verso la Tunisia, allora porto franco per la dirigenza palestinese. Ma caccia americani ne forzarono la rotta verso Sigonella, dove un duro faccia a faccia impose la consegna alla giustizia italiana dei quattro più Abu Abbas. Il quale, considerato un semplice testimone, fu lasciato partire da Fiumicino, a bordo di un aereo jugoslavo, verso Belgrado. I quattro manovali del terrore, invece, vennero giudicati e processati. Ora uno di loro, Ibrahim Abdellatif Fatayer ha scontato la sua pena. Aveva vent’anni, allora, è uscito che ne aveva quaranta. Ha trascorso quasi tre anni in libertà vigilata a Perugia, ospite della Caritas. Quando il provvedimento è stato revocato, è stato trasferito nel Cpt di Ponte Galeria, vicino Roma, in attesa di una problematica espulsione (nessun paese tenuto a riaccoglierlo – non la Giordania, non l’Egitto, non la Siria, non il Libano in cui è nato, e ovviamente non Israele), e minacciato da una richiesta di estradizione da parte americana, nonostante sia già stato processato e abbia scontato la sua pena. Molta sinistra radicale, ma anche Liberazione, conduce ora una campagna perché a quest’uomo, dalla faccia aperta e cordiale, venga concesso asilo politico. Viene ricordata la sua esistenza difficile, l’infanzia a Tal Al Zaatar, dove i cristiani falangisti si vendicarono di un massacro subito inferendone un altro, con gli interessi. E con la complicità degli israeliani, ricordano i siti alternativi, che omettono invece il ruolo siriano, e la tattica suicida di Arafat, che volle fare della collina del timo una Stalingrado suicida ma politicamente vantaggiosa. Su Klinghoffer, glissano un po’ (“La situazione sfuggì di mano, e un passeggero, con doppio passaporto, israeliano e statunitense…” scrive Liberazione). Intervistato, Fatayer si è limitato a ricordare che l’assassino materiale era stato Majed Al Molqui, un altro dei quattro. Cioè quello che aveva profittato di un permesso premio per fuggire in Spagna, dove era stato ripreso. Cioè quello tra i quattro, che doveva avere l’aspetto più cordiale: era soprannominato “Il dolce” e si racconta di una sua relazione amorosa, a bordo dell’Achille Lauro, con una passeggera. Anni dopo sposerà, nel carcere di Fossombrone, la novarese Carla Biano, ex militante della Guerriglia Metropolitana per il Comunismo. E’ giusto che Ibrahim Fatayer venga processato due volte per lo stesso reato ? Sicuramente no. E’ un altro uomo, rispetto a quello che fu complice dell’uccisione di Klinghoffer? Sicuramente sì. Tutto è cambiato da allora: abbiamo ricordato l’anniversario della morte di Craxi, esule da un’altra giustizia, in quella stessa Tunisia. Ronald Reagan è tramontato malinconicamente e anche la sua fama di cow boy edonista è stata offuscata dal giovane Bush. La Jugoslavia non esiste più, e Abu Abbas è morto in mani americane, catturato a Baghdad, dove era riuscito a sopravvivere per più di un anno alla caduta del suo ospite, Saddam Hussein. Un tribunale italiano, nel frattempo, lo aveva condannato a cinque ergastoli. Il suo corpo, consegnato alla Mezzaluna Rossa per essere sepolto a Ramallah, non ricevette il nulla osta israeliano e venne tumulato nel cimitero dei martiri di Damasco. Il corpo di Leon Klinghoffer, ritrovato dai siriani, venne sepolto in un cimitero del New Jersey. Sua moglie Marilyn morì quattro mesi dopo di cancro al colon. Tutto è cambiato, tranne che in medio oriente. Quello stesso Samir Kuntar, ergastolano in Israele dopo aver ucciso un padre a sangue freddo e poi la figlia di quattro anni con il calcio del fucile, di cui allora chiedevano la liberazione i quattro dell’Achille Lauro, dovrebbe essere la pedina di scambio per riavere i riservisti israeliani sequestrati, vivi o morti. Uno scambio amaro, perché Kuntar ha scritto una lettera pubblica a Nasrallah, il capo di Hezbollah, promettendo il suo ritorno allo Jihad.
Per inviare una e-mail alla redazione del Foglio cliccare sul link sottostante lettere@ilfoglio.it