|
|
||
Tra i Giusti - Storie perdute dell'Olocausto nei paesi arabi Robert Satlof, Marsilio 2008 Robert Satloff è un ebreo americano, storico e direttore dell'Istituto di Washington per la Politica nel Vicino Oriente. Ha constatato più volte che nelle scuole dei Paesi arabi la Shoah non viene insegnata, ha osservato che ciò si accompagna a forme di antisemitismo talvolta intrecciate ai complessi vissuti del conflitto mediorientale e ha deciso di porre il problema cominciando dalla questione dei Giusti. Ne è nato"Tra i Giusti - Storie perdute dell'Olocausto nei paesi arabi", un libro contro il negazionismo e un aiuto al miglioramento delle relazioni arabo-ebraiche, un tema sul quale l'autore è impegnato. Il titolo originale dell'opera è *Among the Righteous: Lost Stories from the Holocaust's Long Reach into Arab Lands* e si riferisce, dunque, come spesso è rimarcato nel testo, alla *longa manus* dell'Olocausto nelle terre arabe. Per "longa manus" dell'Olocausto in terra araba Satloff intende il fatto che Francia, Italia e Germania applicarono anche alle proprie colonie arabe le misure antiebraiche (dal censimento all'eliminazione fisica passando per spoliazioni, emarginazione, torture etc.) che applicarono in Europa. L'autore dice che mancarono in Africa solo le camere a gas. Satloff ha in mente un'opinione pubblica araba che spesso considera di minore importanza questa azione di estendere la Shoah nelle terre africane; inoltre, che crede che il fatto di parlarne (soprattutto per la preoccupazione che l'ammissione della sua gravità) la costringa a fare concessioni a Israele e all'Occidente. Questa opinione pubblica a volte è sensibile al tema dei diritti umani, e anche alle loro violazioni nei Paesi arabi e musulmani, ma non ha come riferimento l'antifascismo o le riflessioni suscitate dalla Shoah, soprattutto in relazione al tema dell'antisemitismo. Satloff descrive un tipo di interlocutore che talvolta affronta la storia guardando a non urtare sensibilità interne al mondo arabo piuttosto che a dire la verità. Ad esempio racconta anche di una storia in cui la famiglia di un salvatore di ebrei preferisce fingere che sia avvenuto un salvataggio di soldati semplici tedeschi (non SS) allo sbaraglio. Ciò perché nel suo ambiente aver salvato un ebreo potrebbe voler dire avere salvato "un futuro occupante della Palestina", o "simpatizzante di Israele", o anche "alleato degli Stati Uniti". Per questo tipo di interlocutore i sionisti non hanno portato molti ebrei in Palestina nei quarant'anni precedenti la fondazione di Israele, ed è quindi d'obbligo considerare lo Stato fondato nel '48 dalle Nazioni Unite come un paese artificialmente creato dalla cattiva coscienza europea-occidentale prendendo a pretesto la Shoah. Una sorta di "risarcimento", il cui meccanismo continua a essere usato per arrecare vantaggio a Israele. In tale ambito l'estensione della Shoah all'Africa è considerata poco importante e non attinente al progetto hitleriano di annientamento sistematico del popolo ebraico. C'è poi un altro tipo di interlocutore arabo che invece si pone due problemi: quello di rispondere al negazionismo e quello di rispondere all'accusa di negazionismo che sembra essere rivolta agli arabi dai decision-maker internazionali. Più precisamente,spiega Satloff portando anche numerosi esempi, si tratta di "rimuovere un grosso ostacolo psicologico alla riconciliazione tra Israele e il mondo arabo". Questo muove sia da esigenze di onestà intellettuale e morale, sia da esigenze politiche per cercare di modernizzarsi e di contare di più sulla scena del mondo. Su questo sfondo, che viene via via schiarito e illuminato dal progredire della ricerca storica, si stagliano le storie di salvatori arabi di ebrei narrate nel libro, storie che spesso erano cadute nel dimenticatoio o, come si è detto, tramandate con un occhio al senso dell'opportunità. Ecco dunque: Taïeb el-Okbi, leader musulmano riformista che impedì svariati pogrom in Algeria; Mohammed Chenik, che governò la Tunisia occupata dai nazisti e salvò la vita di molti ebrei rinchiusi nei campi di lavoro; Kaddour Benghabrit, capo della Moschea di Parigi e rappresentante ufficiale dell'Islam europeo, che nascose un numero a oggi ancora imprecisato di ebrei facendoli figurare come musulmani; Khaled Abdelwahab, che salvò una donna ebrea dallo stupro e la nascose con tutta la famiglia nella propria fattoria fino a quando le truppe di Hitler lasciarono la Tunisia; Si Ali Sakkat, che accolse nella propria tenuta una sessantina di ebrei in fuga; e altri. Le loro storie sono state raccolte in undici Paesi dell'Africa del Nord caratterizzati dalla presenza italiana, tedesca e francese di Vichy durante il secondo conflitto mondiale,e sottoposte al Comitato dei Giusti di Yad Vashem che, secondo Satloff, dovrebbe essere più solerte nel sostenere il tipo di ricerca proposto. Oltre a ciò, le storie sono servite a fornire le prove delle sofferenze patite dagli ebrei nordafricani nella Shoah all'opinione pubblica e in particolare alla Commissione internazionale che dal 1951 si occupa di risarcire i sopravvissuti allo sterminio nazista. "[...] è fonte di grande soddisfazione", scrive Satloff, "il fatto che le mie indagini, iniziate per scovare almeno un arabo che avesse salvato un ebreo, abbiano contribuito, per quanto modestamente, a far spazio nella memoria collettiva dell'Olocausto agli ebrei dimenticati". Centrale a tutto il libro è il capitolo 5, che s'intitola "Gli arabi proteggevano gli ebrei" ed è ora anche linkato dal sito del Museo dell'Olocausto di Washington. Altri capitoli contengono approfondimenti o s'incentrano su aree geografiche diverse. La narrazione riguarda le storie soprammenzionate e il lavoro che è servito per portarle alla luce. Essa fa spesso uso del discorso diretto per rendere partecipe il lettore fino dei pensieri dell'autore, che, come accennato, non si esime dall'affrontare i pressanti problemi del nostro tempo: dalla guerra in Medioriente ai dissidi sui milioni di euro di risarcimenti dovuti alle vittime della persecuzione nazista al rispetto dei diritti umani nei Paesi arabi e musulmani, fino al preoccupante antisemitismo che attraversa la Francia e al problema del negazionismo che, non fra i leader arabi, ma nel musulmano Iran è addirittura assurto a ideologia di regime. A volte lo stile è enfatico e arriva a ricomprendere notazioni polemiche, giudizi di valore e battute di spirito; altre volte l'atmosfera del resoconto rispecchia a fondo la complessità dei temi trattati. Un discorso a parte richiede il peso che nella ricerca ha avuto Internet, sede del dibattito arabo, documentato da Satloff, su come rispondere ai negazionisti dell'Olocausto e fonte di numerose conferme o smentite alle ipotesi sui Giusti arabi formulate in base alla storia orale o a testimonianze scritte di singoli sopravvissuti. La Rete, con la sua natura flessibile ed egualitaria, ha senz'altro facilitato lo scambio d'idee su questi due aspetti, che risultano molto delicati per motivi politici e morali (l'apparente insensibilità degli arabi di fronte alla Shoah è vera o falsa? Conseguenza o causa del ruolo marginale che molti interlocutori arabi dell'autore ritengono a torto o a ragione di avere in tanti ambienti della diplomazia? Coloro che hanno un diverso atteggiamento o le cui famiglie sono state protagoniste di salvataggi durante la seconda guerra mondiale non ne parlano in quanto subiscono una particolare pressione o addirittura minacce?). Ciò non significa che l'idea stessa dei Giusti non incontri ancora profondi ostacoli, nel mondo arabo e in generale. Ad alcune persone che ne serbano memoria accade ancora di essere ostracizzate dalle comunità e perfino all'interno della famiglia. Inoltre, argomenta Satloff, gli arabi che sperimentano sulla propria pelle o che si battono contro torture, incarcerazioni e altre violazioni dei diritti dell'uomo compiute dai loro Paesi personali sono spesso privi della possibilità culturale e politica di fare riferimento all'archetipo del crimine contro l'umanità. Ci sono, tra le altre, due ottime ragioni per leggere "Tra i Giusti": l'importanza che il libro può rivestire per una distensione fra arabi e israeliani e, forse ancor più forte, l'universalità del messaggio che proviene dalle testimonianze di solidarietà umana nella Shoah. Carolina Figini dalla newsletter sinistraperisraele@yahoogroups.com |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |