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Shalom Rassegna Stampa
04.07.2008 Il caso Al Doura diventa il caso American Jewish Committee
un articolo di Angelo Pezzana

Testata: Shalom
Data: 04 luglio 2008
Pagina: 0
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «Il caso Al Doura diventa il caso American Jewish Committee»
Da SHALOM di luglio 2008

Il caso Mohammed Al-Dura - se ne occupa su questo numero Dimitri Buffa – va letto non soltanto per la dinamica che l’ha provocato,  perchè il fatto da solo basterebbe a formare il testo di una “ lectio magistralis “ su come si costruisce e  funziona la propaganda contro Israele con la complicità dei grandi media, ma c’è dell’altro, che và al di là  della manipolazione , di per sé già gravissima. Sulla scena ci sono diversi attori. Lo stato d’Israele innanzi tutto, visto che il Al-Dura è stato uno degli strumenti che hanno giustificato, se non dato inizio, alla prima intifada nel 2000,insieme all'altra bufala della < passeggiata di Sharon >.  C’è France 2, il canale televisivo di stato, che ha trasmesso la versione addomesticata dell’avvenimento. C’è Charles Enderlin, il corrispondente che ha firmato il servizio, diventato israeliano una ventina di anni fa dopo aver fatto l’alià. C’è il suo collaboratore, lo stringer cameraman, Talal Abu Rahmah, che ha materialmente filmato le riprese televisive. E c’è chi ha sollevato il coperchio di questa vicenda, portando alla luce l’enorme truffa mediatica, Philippe Kersenty, il presidente di Media Ratings (www.m-r.fr), il sito web che segue e controlla quanto viene stampato su Israele sui media francesi. E’ grazie al suo coraggio e alla sua tenacia se la verità è venuta fuori, con la sentenza d’appello del tribunale del riesame, che ha capovolto il primo verdetto. Ma ci sono degli attori comprimari, anche se  il termine è inadeguato, che hanno svolto una funzione di freno in tutta la faccenda. Da un lato, l’argomento è fin troppo conosciuto, gli scarsi risultati e la poca fiducia che la propaganda araba possa essere efficacemente combattuta con una forte azione di hasbarà, da parte dello stesso stato ebraico, il quale sembra sovente muoversi nella lotta contro la diffamazione con un braccio legato dietro la schiena. Sappiamo che così si comporta uno stato democratico, prima di emettere un giudizio su un fatto che lo vede coinvolto, apre un’inchiesta, non cerca la risposta immediata, pur sapendo che ogni giorno di ritardo contribuirà a penalizzarlo di fronte all’opinione pubblica internazionale. Lo sappiamo, ma questa spiegazione deve trovare una via d'uscita in un comportamento nuovo, che tenga conto, anche, della realpolitik, perché troppi casi hanno segnato la strada vittoriosa della manipolazione della verità. Verrebbe voglia di dire, forza, c’è bisogno di una  maggior fiducia in se stessi, i tempi stringono, le lancette dell’orologio devono girare più in fretta. Ma non c’è solo il ritardo nelle investigazioni, c’è chi, magari senza rendersi conto dell’effetto che produrrà il remare contro, si schiera dalla parte di chi diffama Israele, come è stato il caso dell’American Jewish Committee. Lo ha rivelato lo stesso Karsenty, raccontando tutta la storia  sul suo sito web lo scorso 8 giugno, accusando Valerie Hoffenberg, direttrice per la Francia dell’ AJC, di  “ aver lavorato attivamente contro i suoi sforzi per arrivare alla verità”. In sostanza di avere collaborato con l’establishment francese e con i responsabili governativi ( France 2 è una rete TV di stato), per mantenere buoni i rapporti con loro invece di schierarsi dalla parte di chi voleva far luce sulle riprese televisive diffuse da Charles Enderlin e poi riprese nel mondo intero. Kersenty ha definito “ cruciale e distruttivo “ il ruolo giocato dalla Hoffenberg. Ma non si è trattato di una scelta, anche se sbagliata, di carattere locale, no, la pronta difesa della scelta di campo è arrivata dopo poco l’inizio delle polemiche da David Harris, presidente dell’AJC, che le ha definite “ assurde e infondate”, due aggettivi che spiegano il comportamento della Hoffenberg, che, dovendo scegliere tra chi si schierava contro l’emittente di stato e chi aveva condannato Karsenty in primo grado, sceglieva il tribunale. Ci rendiamo conto che il discorso è, come si dice, delicato, ma questo non deve impedirci di affrontarlo. Anche perché il comportamento delle organizzazioni ebraiche internazionali, nei confronti delle istituzioni nazionali, non è – e non è mai stato – privo di ambiguità. Come per altro è naturale che sia, posto che a dirigerle sono degli esseri umani, fallibili come tutti. Non è quindi la ricerca di un colpevole che ispira queste righe, ma la richiesta, che riteniamo non solo legittima, ma semmai persino in ritardo, di un dibattito sul dovere di ingerenza, a costo di dispiacere a qualche istituzione statale, da parte di organizzazioni ebraiche internazionali che devono avere fra i loro compiti, e ci permettiamo di scrivere fra i più urgenti, la difesa degli interessi di Israele, senza alcun timore di essere etichettate in qualsivoglia maniera. Etichette che comunque verrebbero appiccicate, tanto vale rivendicarle apertamente. Sì, l’organizzazione X Y è una lobby che ha tra i suoi scopi impedire che Israele venga diffamato dai media. Uno stato si muove più lentamente, un organismo privato può prendere decisioni in tempi brevi. Ma quante volte queste decisioni sono influenzate più dal desiderio di compiacere il potere istituzionale, piuttosto che dalla volontà di dare battaglia contro chi combatte, con armi potentissime come quelle rappresentate dai media, lo Stato d’Israele ? Il  < caso Karsenty >, perché è così che va chiamato quello che era il < caso Al-Dura >, ha alzato il sipario su un aspetto che fino ad oggi era come avvolto dalla nebbia  del politicamente corretto. Non sta bene, lasciamo perdere, si vedrà, e altre giustificazioni sullo stesso tono. Invece no, Philippe Karsenty andava difeso, e l’AJC non solo non si è schierato al suo fianco, ma ha preso le difese dei diffamatori di Israele, persino nel momento in cui, con la sentenza d’appello, la verità era venuta fuori. Perché ? Ci sembra che questa domanda debba essere posta all’AJC, che il suo presidente David Harris, così attento verso i rapporti internazionali e la loro corretta interpretazione, ci spieghi perché si è messo dalla parte di France 2 e non con Karsenty. La storia ormai è chiara, altrettanto chiara deve essere la risposta
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