Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Trattare con l'Iran come con la Corea del Nord, sostiene Madeleine Albright con qualche precauzione in più sarebbe meglio, osserviamo noi
Testata: Corriere della Sera Data: 04 luglio 2008 Pagina: 42 Autore: Madeleine Albright Titolo: «Dopo la Corea, proviamo a negoziare anche con l'Iran»
Il CORRIERE della SERA del 4 luglio 2008 pubblica un articolo di Madeleine Albright, Segretario di Stato durante la presidenza Clinton e consigliere di Barack Obama,che auspica una trattativa degli Stati Uniti con l'Iran, sul modello di quella con la Corea del Nord.
A questo proposito, ci sembra utile ricordare una dichiarazione dell'ex ambasciatore americano all'Onu, John Bolton, in un'intervista ad AVVENIRE :
Non credo che la Nord Corea rispetterà gli accordi così come ha già fatto in passato. Sul programma di arricchimento dell’uranio e sul trasferimento all’estero di materiale fissile non ci sono garanzie sufficienti che il regime rinunci ai suoi propositi. L’intesa non prevede le cosiddette “verifiche”. Quando Reagan aprì all’Urss si basò sul principio del “trust and verify” (Fidati e verifica). Con Mosca funzionò. Con i nordcoreani il controllo è un punto interrogativo.
Non è ancora chiaro se l'accordo con la Corea del Nord è stato davvero un successo per la comunità internazionale. Quello che è abbastanza è che è stato un successo per il regime, che ha spezzato l'isolamento in cui si trovava. E' chiaro anche che l'intesa con Pyongyang non prevede verifiche necessarie. Sceglierla come esempio e punto di riferimento, dunque, non è un buon segnale, specialmente se a farlo è qualcuno molto vicino a un candidato alla presidenza degli Stati Uniti.
Ecco l'articolo:
L' intesa con la Corea del Nord segna un passo fondamentale nella giusta direzione. La gran parte dei documenti consegnati dalle autorità del Paese, tuttavia, va prima verificata con le ispezioni del caso negli impianti nucleari. La svolta decisiva è arrivata dopo il placet statunitense alle trattative dirette. In base alla mia esperienza, posso dire con assoluta certezza che grazie ai negoziati diretti è possibile sbloccare qualsiasi situazione. Quando ero impegnata nei negoziati, l'America aveva un peso cruciale agli occhi dei nordcoreani. Il regime di Pyongyang, per di più, subisce enormi pressioni dovute alla penuria di cibo ed energia. Non esiste una concreta alternativa alla rinuncia all'isolamento e alla firma di un accordo. Se devo essere sincera, però, l'amministrazione Bush avrebbe potuto strappare quest'accordo già molti anni fa, se solo avesse portato a termine il lavoro intrapreso dall'amministrazione Clinton. All'epoca dell'insediamento dell'amministrazione Bush, si riteneva che la Corea del Nord disponesse di riserve di plutonio sufficienti per costruire uno o due ordigni nucleari. Oggi, stando alle previsioni più ottimistiche, ne ha abbastanza da produrre 6-8 bombe, se non di più. E il suo dispositivo nucleare, ovviamente, è stato testato sotto gli occhi della comunità internazionale. Se l'accordo rappresenta un importante passo avanti per gli Usa (non è affatto mia intenzione sminuirlo), nondimeno la situazione è assai più grave rispetto a otto anni fa. La lezione che l'Occidente ostile a un Iran dotato di armi nucleari può trarre dal successo diplomatico con la Corea del Nord è, innanzitutto, che gli Usa devono intavolare negoziati diretti con l'Iran, al fine di superare l'attuale impasse. Gli europei da soli non possono farcela. Come nel caso della Corea del Nord, gli Usa hanno un peso cruciale nella vicenda iraniana. Il canovaccio dei negoziati con l'Iran ha visto sinora l'Europa nel ruolo del «poliziotto buono» e l'America in quella del «poliziotto cattivo». Ma questa tattica, a quanto pare, non ha garantito alcun passo in avanti. È giunto ormai il momento che la leadership statunitense comprenda che coltivare contatti e colloqui diretti non significa affatto uscire perdenti. Il dialogo non è sinonimo di appeasement. Durante i miei colloqui con Kim Jong Il, esposi con estrema chiarezza le istanze dell'America, con riferimento allo smantellamento del programma nucleare, tra l'altro, in cambio dell'avvio di una normalizzazione dei rapporti. E con altrettanta chiarezza dissi che qualsiasi accordo sarebbe stato sottoposto a tutte le verifiche del caso. Si è fatto molto di più che sorseggiare qualche raffinata tazza di tè e invitare l'interlocutore a più miti consigli. In certi ambienti, lo strumento della diplomazia tende a essere completamente equivocato. L'obiettivo, in realtà, è lanciare messaggi duri e invitare all'ascolto. E gli Usa non stanno facendo niente di tutto ciò con l'Iran. La recente esperienza con la Corea del Nord, invece, mostra che la diplomazia può portare frutti. La campagna presidenziale in America mi vede impegnata come consigliere del candidato democratico Barack Obama. Lui è convinto che occorra dialogare anche con i propri nemici, al fine di perseguire una diplomazia diretta ed energica sia verso la Corea del Nord, sia verso l'Iran. Il candidato democratico ha salutato l'accordo con la Corea del Nord come un importante passo in avanti, invitando l'America a proseguire lungo questo fruttuoso cammino. In realtà, il successo messo a segno in Corea del Nord non fa che avvalorare l'approccio allo scenario globale che Obama ha invocato nel corso di tutta la campagna elettorale
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