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La Stampa Rassegna Stampa
03.06.2008 La politica mediorentale dell'Italia
intervista al ministro degli Esteri Franco Frattini

Testata: La Stampa
Data: 03 giugno 2008
Pagina: 8
Autore: Emanuele Novazio
Titolo: «“Piano Marshall per la Palestina, ma senza Hamas"»
La STAMPA del 3 luglio 2008 pubblica un'intervista al ministro degli Esteri italiano Franco Frattini.

Importanti le dichiarazioni di Frattini su Hamas (
"non può essere un interlocutore. È un’organizzazione terroristica che quando non compie gli attentati si complimenta con chi li ha compiuti", "politicamente dobbiamo dimostrare di fare tutto senza Hamas") e sull'Iran (  "che Khamenei sia indicato come responsabile esclusivo del programma nucleare non significa tranquillità per l’Occidente. Questa nasce dalla sospensione dell’arricchimento dell’uranio: saluto il gesto di Velayati ma chiedo che si traduca in fatti. Per ora invece non c’è risposta alle proposte di Solana")

Frattini auspica anche un "piano Marshal per la Palestina". Finora, purtroppo, i cospicui finanziamenti all'Autorità palestinese non hanno alimentato lo sviluppo economico, ma la corruzione, la dipendenza economica dagli aiuti esteri, la crescita di apparati burocratici parassitari, la propaganda d'odio e il terrorismo. Sarebbe bene non dimenticarlo.

Ecco il testo:

Ministro Frattini, Hamas definisce l’attentato di ieri a Gerusalemme «una logica conseguenza delle operazioni di Israele contro il popolo palestinese». Un segnale che la tregua è finita?
«La conferma che Hamas non può essere un interlocutore. È un’organizzazione terroristica che quando non compie gli attentati si complimenta con chi li ha compiuti».
D’Alema sosteneva che Hamas va combattuto ma aggiungeva che politicamente senza Hamas non si fa nulla.
«Politicamente dobbiamo dimostrare di fare tutto senza Hamas. Vi possono essere accordi operativi limitati e temporanei - ed è compito dell’intelligence regolarli - ma l’attentato dimostra che Hamas non è in grado di controllare le azioni terroristiche. É facile dire non siamo stati noi, è molto difficile dire non ne sappiamo niente».
Nell’ intervista alla Stampa il leader di Hamas Meshal non esclude però la pace in linea di principio. Non le sembra uno spiraglio incoraggiante?
«Mi sembra di sì. Tutti hanno capito che il tempo lavora contro la pace, nel senso che con le elezioni in Usa la finestra di opportunità si chiuderà: il nuovo presidente americano avrà bisogno di tempo per rimettere mano al dossier. Le ragioni di un prudente ottimismo nascono anche di qui».
Sta dicendo che anche Meshal se ne rende conto?
«Tutti si rendono conto che Israele è pronta ad accettare un quadro concordato con la comunità internazionale, non più solo con gli Usa: l’inizio del negoziato con la Siria è avvenuto all’insaputa o quasi degli americani. Abbiamo capito che Israele vuole la pace: che lo capisca anche chi contrasta Israele è un dato positivo».
Meshal dice anche di essere pronto al dialogo con Abu Mazen. Dobbiamo essere tutti uniti, afferma in sostanza. Non le pare un altro segnale incoraggiante?
«Voglio vedere queste parole tradotte nei fatti. Non credo che Abu Mazen debba fidarsi di una cambiale in bianco. Anche quando si parlò di elezioni nei Territori si salutò un momento di «grande democrazia»: poi ci siamo accorti che si era innescata una spirale molto pericolosa».
La prossima settimana lei andrà in Medio Oriente. Con quali proposte?
«Offrirò l’impegno italiano nella ricerca di possibilità operative affinchè Israele si avvicini al regolamento di situazioni sospese come quelle dei Territori contestati, del negoziato col Libano e di un serio rilancio economico dei Territori. Se non prendiamo sul serio un piano Marshall per la Palestina non investiamo nella sicurezza di Israele. E poi offrirò il nostro contributo all’interno dell’Unione mediterranea che sta per nascere: possiamo giocare un ruolo facilitatore e di incoraggiamento per entrambe le parti».
L’ex ministro degli Esteri iraniano Velayati sostiene che un compromesso è possibile sul dossier nucleare, che sarebbe tolto al controllo di Ahmadinejad e affidato alla Guida suprema Khamenei. Ci crede?
«Per ora no, siamo abituati alle mosse iraniane: che Khamenei sia indicato come responsabile esclusivo del programma nucleare non significa tranquillità per l’Occidente. Questa nasce dalla sospensione dell’arricchimento dell’uranio: saluto il gesto di Velayati ma chiedo che si traduca in fatti. Per ora invece non c’è risposta alle proposte di Solana».
L’Eni se ne andrà dall’Iran solo se lo chiederà il governo italiano, dice il suo amministratore delegato Scaroni. Esiste la possibilità?
«Il governo italiano deve rispettare la libertà d’impresa. Ma se vi fosse un’evoluzione nel sistema internazionale delle sanzioni, sarebbe vincolante per tutti. Ecco perchè l’Italia,forse il Paese che più di altri sarebbe direttamente colpito dalle sanzioni, vuole partecipare a un negoziato, se ci sarà».
Si riferisce al 5+1?
«Non al modello ma alla sostanza di un negoziato».
Lei ha annunciato una revisione dei caveat, le regole d’ingaggio in Afghanistan, ma il ministro La Russa ha detto che i soldati italiani combattono già da un anno. Che cosa significa?
«Non lo so. Forse che al di là dei caveat che c’erano, il governo Prodi aveva regole che non si potevano dire».
Il semestre francese può essere un’opportunità per l’Italia, visto il legame Berlusconi-Sarkozy?
«E’ un opportunità che va al di là dei rapporti personali. Le priorità della Francia sono anche le nostre: difesa europea, patto per l’immigrazione, Unione mediterranea, possibilità di non limitarci all’approccio monetarista della Bce ma di pensare anche alla crescita. Su tutti questi punti la mia visione coincide con quella della presidenza».
A parte il no irlandese al Trattato di Lisbona, ci sono il rifiuto polacco di firmarlo dopo l’approvazione del Parlamento e le perplessità della Repubblica Ceca. Che succede se tutti i nodi vengono al pettine?
«E’ il momento delle responsabilità, dobbiamo ribaltare il tavolo. Se dovremo fermarci ne trarremo le conseguenze politiche: abbandono delle riforme delle istituzioni e un’azione a due o tre velocità. L’Italia non può rinunciare a una politica europea dell’immigrazione o dell’energia: le faremo con chi ci sta».

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