Dopo l’invasione dell’Austria da parte di Hitler a marzo, gli ebrei austriaci cercavano in tutti i modi di fuggire. Per loro però, come per gli ebrei tedeschi, la trappola si andava rapidamente chiudendo, anche perché il mondo – Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e così via – rifiutava di accoglierli.
Paradossalmente l’unica porta almeno socchiusa (niente di ufficiale, ma come quasi sempre in Italia un occhio chiuso e l’altro distratto, nel bene e nel male) era quella italiana. Sono scesi in Italia da marzo del 1938 e almeno fino al’39, sia pure solo (ufficialmente) in transito, moltissimi ebrei austriaci. L’ente ebraico che si era subito formato per aiutare questi profughi si chiamava “Delasem” (Delegazione assistenza emigrati) e ne era a capo un avvocato genovese, Lelio Vittorio Valobra, che era anche avvocato e amico della mia famiglia.
L’afflusso dei profughi austriaci si riversava quindi in buone parte a Genova, e qui sorgeva il problema di dove sistemarli tutti, almeno provvisoriamente, visto che molti di loro avevano o aspettavano un visto verso paesi diversissimi in ogni continente.
Non ricordo bene come era stato risolto il problema dell’alloggiamento, ma per quanto riguarda i figli di questi profughi erano state aperte le case del migliaio di ebrei genovesi.
Così un ragazzina stava a casa dei miei zii, e un ragazzo era da me. Ci sono stati poi per alcuni mesi. La domenica i genitori si riunivano ai figli nelle nostre case ed era un bel pranzo per tutti.
I nostri ospiti ci raccontavano, un po’ in italiano e un po’ in tedesco (che papà conosceva bene, magari in versione un po’ yiddish) quello che era successo in Austria: la caccia agli ebrei, le vessazioni, gli arresti, le ruberie private e pubbliche. Mauthausen, che nella guerra ’15-’18 era un campo di prigionia (un mio zio, appena uscito dal corso allievi-ufficiali e subito spedito in prima linea, era stato fatto prigioniero all’istante e spedito proprio in quel campo dove per sua fortuna il comandante austriaco era ebreo), ora era stato mutato in un lager nazista. Non era ancora lager di morte, ma lo sarebbe diventato più tardi.
Io ascoltavo. Avevo fatto amicizia con il ragazzo che più o meno aveva la mia età: la mia età più cento anni per quanto e come era stato costretto a crescere in fretta. Così un po’ sono cresciuto anch’io.
Non era un film del terrore. Le cose che udivamo erano storie vere, storie terrificanti di violenze, umiliazioni, saccheggi, uccisioni. Il peggio doveva ancora arrivare, ma intanto conoscere, vedere con i propri occhi persone come noi che in un giorno avevano perso casa, lavoro, risparmi di una vita e con i visi segnati da tante sofferenze e dal dolore, questo rimarrà nella mia mente come un lampo di buio, più 1938 di quello che aveva colpito noi e già vicino a quello che ci colpirà.
Un secondo lampo di buio che come un chiodo si è conficcato nella mia testa è venuto da una città di cui non dimenticherò mai il nome, una città tedesca che si chiama Monaco, dove Francia e Gran Bretagna da una parte e Unione Sovietica dall’altra alla fine di settembre tradivano la Cecoslovacchia e la consegnavano a Hitler.
Quei giorni erano trepidi perché avevano l’odore della guerra. Era un odore che incombeva su tutti come un insostenibile peso, e che noi, e devo dire proprio anch’io, vedevamo come l’unica possibilità di salvezza.
Così l’annuncio del tradimento portava molti a trarre un sospiro di sollievo e gettava noi nella cupezza. Ecco come pensava allora un bambino di undici anni e mezzo che bambino non era più.
La terza ginnasio l’ho finita a giugno del 1939, un anno che doveva farmi vedere altri lampi di buio. Appunto per questo il 1939 l’ho sempre sentito come una semplice estensione del 1938, come se il mondo e il tempo si fossero fermati lì, in quell’anno disgraziato, scellerato.
Siccome la memoria è fatta di flash (altrimenti si diventerebbe pazzi a ricordare giorno per giorno, ora per ora, triste privilegio di chi ha conosciuto davvero i giorni più interminabili e senza sonno, le ore più lunghe, gli incubi vissuti e non sognati) prolungo quell’anno, lo estendo, proprio come vi avevo detto al principio.
Continuerò: ho alcuni momenti topici da ricordare.
Luciano Tas
taslevi@alice.it