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Il Foglio Rassegna Stampa
01.07.2008 Liberare assassini in cambio di salme
l'atroce dilemma di Israele

Testata: Il Foglio
Data: 01 luglio 2008
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Così i responsi dei rabbini raccontano il dramma di Israele»

Dal FOGLIO del 1 luglio 2008:

Prima la notizia così come l’hanno data tutti gli altri. Il governo israeliano ha approvato lo scambio di prigionieri con Hezbollah per ottenere il ritorno di Eldad Regev e Ehud Goldwasser, i due soldati rapiti nell’estate del 2006. La trattativa è stata approvata anche se il primo ministro, Ehud Olmert, dice di ritenere che “i due militari sono ormai morti”. Ora la verità dietro la diplomazia. Per Israele ancora una volta si tratta di “liberare” feroci assassini di ebrei in cambio di qualche salma. Israele rivive l’atroce agonia del ricatto dei corpi branditi come pegni dai suoi nemici. Il giudaismo impone che ogni corpo, brandello e goccia di sangue, venga restituito alla terra con una degna sepoltura. In modo che “Dio possa tornare a sorridere”. Umiliare e vilipendere il cadavere del nemico, impedirne l’onorata dipartenza, è un tabù dai tempi di Sofocle e della sua Antigone. Israele ha anche una ragione strategica per non poterlo permettere. In Israele è usuale vedere familiari di soldati dispersi piangere nell’ufficio del primo ministro. Una cosa che non potrebbe accadere in nessun altro paese al mondo per la semplice ragione che in qualunque altro paese la sorella e la madre e la moglie di un disperso non sarebbero nemmeno arrivate nell’ufficio del ministro della Difesa, per non dire in quello del primo ministro. Al massimo sarebbe stata ricevuta da qualche alto funzionario che l’avrebbe congedata rapidamente. Quale altro paese avrebbe scarcerato terroristi e assassini e restituito salme in cambio di brandelli non di carne, ma di informazioni, o soltanto di effetti personali di soldati dispersi, come nel caso di Ron Arad? Le Forze di difesa israeliane sono le uniche al mondo che sacrificano così tante vite di propri figli e soldati e comandanti pur di recuperare i corpi dei caduti dal campo di battaglia. Nel 1994, 82 soldati e ufficiali fra i migliori combattenti che il popolo d’Israele abbia mai avuto furono mandati in missione all’interno del Libano con il compito di catturare il capo di Amal, Mustafa Dirani, che “forse” sapeva qualcosa della sorte dell’aviatore Arad. Come giustamente ha ricordato Yedioth Ahronoth, “tutti i primi ministri e ministri della Difesa israeliani, nel corso degli anni, hanno sempre deciso e agito in modo totalmente opposto a ciò che suggerivano la ragione e l’interesse nazionale del paese. Tale interesse, se avessero agito in base a esso, avrebbe dettato una posizione dura e inflessibile del tipo: signori ricattatori, andate all’inferno”. Sotto minaccia atomica iraniana, Israele non può abbandonare i propri figli perché, come ha notato anche Benny Morris, ogni israeliano rappresenta simbolicamente l’ultimo ebreo. E infatti in questi due anni abbiamo continuato a parlare di Regev e Goldwasser come se fossero vivi, sebbene Israele avesse informazioni della loro uccisione o ferimento grave già a ridosso del rapimento. I media occidentali, sostenuti dal silenzio politico delle diplomazie occidentali, hanno cancellato virtualmente i nomi di Tzvi Feldman, Zachary Baumel e Yehuda Katz, i tre soldati israeliani che dal 1982 sono tenuti in ostaggio dai guerriglieri sciiti. Il decrittaggio della parzialità mediatica comincia dove gli effetti del terrorismo vengono nascosti, come avvenne per i corpi lanciati nel vuoto dalle Twin Towers che scomparvero dagli schermi televisivi e dalle prime pagine dei giornali. Lo stesso trattamento è riservato a ciò che resta dei soldati di Tsahal. Nasrallah aveva sempre vincolato la liberazione dei soldati – “abbiamo teste di israeliani” disse a gennaio – a quella di Samir Kuntar, il più efferato assassino di ebrei che il 22 aprile 1979 trascinò Danny Smadar e la figlia Einat di quattro anni sulla spiaggia di Naharya. Sparò a bruciapelo alla schiena dell’uomo e sfondò il cranio della piccola. Se lo scambio avrà luogo, Kuntar sarà presto libero di tornare a fare quello che sa fare meglio: uccidere ebrei. Lo ha promesso in un video. Un prezzo altissimo accettato non da Olmert, ma da tutti i primi ministri israeliani da quando Israele è in guerra. Cioè dalla fondazione dello stato. Dalla distruzione del tempio di Gerusalemme alle Crociate, dal massacro di Chmielnicki nel XVII secolo ai pogrom russi fino all’Olocausto, i rabbini sono stati decisivi nel definire la morte di un ebreo disperso. Così è avvenuto per Regev e Goldwasser. Sancire la morte di un ebreo scomparso è essenziale per consentire a una donna di risposarsi e dare nuova vita al popolo sempre minacciato di distruzione. Durante la Soluzione finale, i rabbini scrivevano decreti persino dentro le baracche dei campi di concentramento. Sono celebri i “responsa” di Moshe Sofer, il rabbino che si prese cura delle vedove delle guerre napoleoniche. Una settimana fa, il rabbino capo dell’esercito israeliano, il grande Avichai Ronsky, l’ex eroe di guerra che vive in un insediamento in Samaria, ha preso la decisione di accertare la morte dei due soldati, i cui volti adornano le sinagoghe di tutto il mondo, compresa quella di Roma. Ogni soldato israeliano rapito viene “dopo” Ron Arad, che si dice abbia finito i suoi giorni in una segreta iraniana anche se nessuno osa ammetterlo, l’aviere che in un breve filmato anni fa disse tutto orgoglioso “I am an Israeli soldier”. Tre diplomatici iraniani in esilio hanno raccontato che i boia iraniani avevano eseguito un “atto chirurgico” su Arad: l’incisione della nervatura del midollo spinale per impedirgli la fuga. A un rabbino durante l’Olocausto, di cui si dice abbia liberato circa 50 mila vedove dichiarando deceduti i rispettivi mariti, una volta fu chiesto cosa provasse al pensiero di sbagliare un responso. Nella sua risposta c’è tutto il dramma politico e religioso vissuto da Israele: “Ne sarei felice, significherebbe che un ebreo in più al mondo è vivo”. Ogni anno in Israele, nell’anniversario della cattura di Ron Arad, salgono verso il cielo migliaia di palloncini con la scritta: “Free Ron Arad”. Il suo nome è il simbolo di un grande paese che santifica la vita dei soldati e va in cerca dei loro poveri resti

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