La STAMPA del 1 luglio 2008 pubblica un'intervista di Francesca Paci al capo di Hamas Khaled Meshal.
Meshal, secondo un'espressione stereotipata, ed errata, sarebbe stato "esiliato in Siria dal 2001". In realtà, non è un dissidente in esilio, ma un terrorista che agisce dalla capitale di uno Stato che il terrorismo lo sostiene.
Nel corso dell'intervista, l'esponenente di Hamas distilla abilmente la sua propaganda per l'opinione pubblica occidentale, non adeguatamente contrastato da Francesca Paci.
Alla domanda "Fosse Israele, si fiderebbe di un’organizzazione come Hamas, con ancora parte dello statuto dedicato a distruggerla?" per esempio, Meshal risponde evasivo, vestendo i panni della vittima:
«Chi è tra noi a dover temere d’essere distrutto dall'altro? I palestinesi, minacciati dal comportamento e dalle sofisticate armi israeliane. Israele occupa la terra, assedia, attacca, uccide. I palestinesi hanno diritto a uno Stato indipendente».
Non sarebbe stato male, a questo punto, ricordare a Meshal le sue stesse parole, pronunciate in arabo nella moschea di Damasco, nel 2006.
In un'occasione dunque, nella quale la sua preoccupazione non era di convincere un pubblico occidentale che le colpe del conflitto mediorentale sono di Israele e che Hamas sarebbe disposta alla pace, ma quella di esortare i suoi alla guerra.
In quell'occasione, Meshal non aveva dubbi su chi sia tra Israele e i palestinesi a "dover temere di essere distrutto dall'altro"
http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=8&sez=120&id=15393
Riportate senza un commento, e riprodotte in un trafiletto , anche le incredibili affermazioni di Meshal sui "prigionieri palestinesi" che Israele non vuole liberare, tra i quali molti "civili" (bisogna intendersi: anche Meshal formalmente è un civile, ma è un terrorista) la metà dei quali non sarebbe "accusata di nulla":Israele, notoriamente, ha fin qui rifiutato solo la liberazione di chi ha le mani "sporche di sangue" ebraico (ma recentemente si è comportata diversamente con il terrorista libanese Samir Kuntar). E' questo il "nulla" cui fa riferimento Meshal ?
La STAMPA sceglie per l'intervista un titolo totalmente appiattito sulla propaganda di Hamas " Khaled Meshal “Israele non è
pronto per la pace”
Ecco il testo completo:
Il cessate-il-fuoco concordato la settimana scorsa reggerà. Hamas l’ha accettato e lo rispetta». Il leader di Hamas Khaled Meshal lo chiama cessate-il-fuoco, periodo di calma, tahadya. La sospensione della guerra a bassa intensità combattuta da israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza da oltre un anno è «una pausa utile a entrambi». Ma niente di più. Lo scambio dei prigionieri è «un capitolo completamente separato», soprattutto oggi che la linea dura di Hezbollah appare vincente. Nessuno si faccia illusioni: «Israele non è pronto a negoziare. E noi in queste condizioni non prendiamo in considerazione neppure la hudna, la tregua decennale di cui ho parlato con Carter». Figurarsi la pace. Esiliato in Siria dal 2001, ci riceve per un’intervista esclusiva al primo piano di una palazzina blindata in un quartiere residenziale di Damasco, dopo mesi di contatti riservati via sms. Una Nissan Patrol nera con i vetri fumé pattuglia la strada. All’entrata, due giovani con la barba e il completo blu prendono il cellulare e smontano la batteria. Meshal, classe 1956, professore di fisica ed erede politico-spirituale dello sceicco Yassin, il più potente e ricercato dei leader palestinesi, considerato dai servizi israeliani la mente del terrorismo kamikaze, è sopravvissuto ad almeno tre attentati. Camicia bianca, sguardo tagliente, sorriso affabile, siede su uno dei sofà del diwan, il salone arabo adorno di tappeti persiani. Sul tavolo basso sciai, té, e dolci al pistacchio. Alle pareti, foto della Cupola della moschea della Roccia di Gerusalemme e di venti «martiri» palestinesi.
I valichi di Gaza sono stati parzialmente riaperti, ma al confine si spara ancora. Che «pausa» è?
«Hamas e gli altri gruppi della resistenza sono molto seri nel rispetto del cessate-il-fuoco. Ma ci aspettavamo un’altra risposta dagli israeliani: la riapertura totale dei valichi, la fine dell’assedio a Gaza, la sospensione di tutti gli attacchi. I primi due procedono a rilento. Il terzo è fermo: Israele ha acconsentito al cessate-il-fuoco a Gaza, ma ha incrementato le operazioni in Cisgiordania. Così è difficile negoziare. Israele deve cessare tutti gli attacchi a Gaza e in Cisgiordania, i palestinesi sono lo stesso popolo. Hamas rispetta i patti, la palla è nel campo israeliano».
Il premier israeliano Olmert pendola con il Cairo per rafforzare la mediazione egiziana. Gli 007 dello Shin Bet appoggiano il rilascio di detenuti palestinesi con «sangue sulle mani». La Knesset approva la liberazione di Kuntar e altri 4 combattenti in cambio dei due soldati rapiti in Libano. Il cerchio si stringe intorno a Gilat Shalit, nelle vostre mani dal 2006. È vivo?
«Israele sa benissimo che Shalit è vivo, ma è davvero intenzionato a liberare i nostri detenuti? Pensiamo di no. La sua sola preoccupazione è per l’unico prigioniero catturato da Hamas in battaglia. Ci sono 11.600 palestinesi nelle galere israeliane, molti civili. Oltre la metà non è accusata di nulla».
Shalit è vivo: quando lo rilascerete?
«Sempre questa domanda. I negoziati riguardano lo scambio di prigionieri di ambo le parti, non solo Shalit. Ed è un capitolo completamente separato dalla tahadya».
Ha detto all’ex presidente americano Carter d’essere disposto a 10 anni di tregua, la hudna. E dopo?
«Oggi non ci sono le condizioni per la hudna. Quella proposta prevedeva che Israele si ritirasse dai territori occupati nel ‘67, inclusa Gerusalemme, distruggesse tutte le colonie, acconsentisse al diritto al ritorno dei rifugiati. Israele non è pronto».
Fosse Israele, si fiderebbe di un’organizzazione come Hamas, con ancora parte dello statuto dedicato a distruggerla?
«Chi è tra noi a dover temere d’essere distrutto dall'altro? I palestinesi, minacciati dal comportamento e dalle sofisticate armi israeliane. Israele occupa la terra, assedia, attacca, uccide. I palestinesi hanno diritto a uno Stato indipendente».
Hamas si è opposto a tutti i tentativi di pace degli ultimi anni: Oslo, Madrid, Ginevra, il documento Tenet, la Road Map, Annapolis. Perché oggi avete deciso di cessare il fuoco?
«Non rifiutiamo la pace, ma i progetti di pace nati morti. Come può aver successo un negoziato che non si basi sulla fine dell’occupazione, sullo smantellamento delle colonie, sul riconoscimento al diritto di cittadinanza dei palestinesi? La tahadya non ha alcuna relazione con Oslo, Madrid, Annapolis. E non è basata sulla fiducia. Non ci fidiamo degli israeliani. Alcune specifiche circostanze hanno convinto loro, Hamas e altri gruppi della resistenza a provare. Israele sa di non poter sconfiggere il popolo palestinese. Abbiamo accettato per la nostra gente».
Per la prima volta dalla guerra civile di Gaza il presidente palestinese Abu Mazen ha aperto ad Hamas. Collaborerete?
«Nonostante i veti americano, israeliano e l’opinione di pochi consiglieri dell’Autorità Nazionale abbiamo sempre ripetuto che non c’è soluzione senza unità dei palestinesi. Siamo pronti».
Si può dire che l’Anp riceve soldi dall’Europa e Hamas dall’Iran?
«I finanziamenti dei donatori europei, compresi i 242 milioni di dollari stanziati a Berlino, non coinvolgono tutti palestinesi. Sono condizionati a certi criteri, sono politici. Hamas non dipende da un donatore o da un Paese, ha il supporto dei palestinesi, dei musulmani, della gente anziché dei governi».
L’influenza iraniana a Gaza però, sembra in aumento. Si parla anche di famiglie convertite alla dottrina sciita...
«I palestinesi prendono decisioni indipendenti, non si vendono».
Pare che Israele e Siria si accingano a un terzo round di colloqui indiretti. Alcune settimane fa si disse scettico sulle possibilità di Olmert, troppo debole per sedersi al tavolo con Damasco. Un leader forte come Netanyahu farebbe di meglio?
«Il leader, potente o meno, cambia poco. Olmert ha guai domestici, la corruzione, il fallimento della guerra in Libano e a Gaza. Ma il nodo è a monte: Israele non è pronto a ritirarsi dal Golan né dalla Cisgiordania. Non è pronto per la pace».
Scommetta sul futuro: Khaled Meshal presidente del futuro Stato palestinese o il leader di Fatah Marwan Barghouti?
«Le persone non contano. Vogliamo che i palestinesi abbiano democrazia e libere elezioni presidenziali e parlamentari. Qualsiasi loro scelta la rispetteremo al cento per cento».
E’ sopravvissuto a tre attentati: ha paura di morire?
«Come palestinesi, arabi e musulmani non abbiamo paura di morire perché crediamo in Dio. Per quanto riguarda me, il primo attentato, nel ‘97, ad Amman, mi ha dato più coraggio».
Se votasse negli Usa voterebbe Obama o McCain?
«Sono palestinese, voterò in Palestina. E non commento le elezioni americane: sulla questione palestinese le differenze tra i due candidati sono minime. Non ci fidiamo. Pensiamo solo a resistere».
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