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La Stampa Rassegna Stampa
29.06.2008 La scommessa dell'Israel Museum di Gerusalemme
Alain Elkann intervista il direttore James Snyder

Testata: La Stampa
Data: 29 giugno 2008
Pagina: 28
Autore: Alain Elkann
Titolo: «“Gli otto rotoli sono la mia gioconda"»
Da La STAMPA del 29 giugno 2008, un'intervista di Alain Elkann a James Snyder  direttore dell’Israel Museum di Gerusalemme:

James Snyder è il direttore dell’Israel Museum di Gerusalemme.
Può dirci qual è la particolarità di questo museo?
«Il museo di Israele è uno dei pochi musei enciclopedici del mondo».
Cosa vuol dire enciclopedico?
«Le nostre collezioni cominciano con l’astrologia preistorica e vanno sino all’arte contemporanea che continuiamo a collezionare. Dall’archeologia della preistoria andiamo alle origini del monoteismo fino alle crociate, poi la cristianità, l’impero ottomano... Collezioniamo anche culture del mondo ebraico in tutto il mondo dal Rinascimento ad oggi e poi anche l’Africa, l’Oceania, l’America precolombiana e l’Asia. Abbiamo una sezione importante di design, architettura, fotografia e stampa».
Quanti pezzi ci sono nel museo di Gerusalemme?
«Cinquecentomila, raccolti attraverso doni dei nostri soci sostenitori. Non siamo ugualmente forti in tutte le discipline, ma abbiamo cose di finissima qualità. Negli ultimi dieci anni l’arte contemporanea israeliana si è interconnessa con tutto il mondo».
Quali incarichi ha avuto prima di questo?
«Per undici anni sono stato vice-direttore del Moma di New York, ma qui a Gerusalemme ho la possibilità di coniugare le mie diverse conoscenze. Questo luogo ha grandi potenzialità, prendiamo il campus che circonda il museo o il suo immenso valore architettonico».
Perché pone l’accento sull’architettura?
«Perché è un elemento fondamentale. Il museo è disegnato da un grande architetto nato in Russia educato dal Bahaus, che venne poi in Palestina dove ha creato un vocabolario mediterraneo. Il giardino, invece, è stato creato da Isamu Noguchi un famoso architetto giapponese, mentre lo spazio dove sono esposti i Rotoli del Mar Morto è stato disegnato da Kiesler un austriaco emigrato a New York. Sono tre modi diversi di interpretare l’architettura».
Come ha reagito quando è stato nominato direttore?
«Me l’hanno chiesto senza che me lo aspettassi e io ho subito accettato, perché trovo affascinante la combinazione così speciale di antico e moderno».
Ospitate anche mostre temporanee?
«Adesso stiamo ricostruendo il museo mettendolo a nuovo, ma naturalmente abbiamo ventiquattro mostre all’anno e pubblichiamo dodici libri».
Qual è il pezzo più importante del museo?
«Gli otto Rotoli del Mar Morto esposti qui in mostra permanente. Un tesoro unico per il mondo monoteista. Abbiamo ricostruito interamente l’allestimento. Ha fatto un ottimo lavoro lo Studio Goppion di Milano perché hanno disegnato e fabbricato le nuove bacheche che contengono i Rotoli. Adesso costruiscono tutte le bacheche anche per la nostra nuova sezione di archeologia, un terzo della collezione del Museo. La cosa buffa è che io dissi “ho bisogno di qualcuno che sappia costruire delle bacheche che contengano la nostra Gioconda”. Una volta che queste bacheche sono state esposte da noi, il Louvre si è impossessato di questa idea e gli stessi del Goppion di Milano hanno costruito la bacheca che oggi contiene la Gioconda!» .
Ci sono altri pezzi di cui lei va fiero?
«Sì il Miser Torah che è il famoso trattato, il commento della Bibbia scritto da Maimonide, un libro è del XV secolo. Abbiamo anche una collezione di quattro sinagoghe complete, due europee, una asiatica, del sud dell’India, una del Sud-America del XVIII secolo, una italiana del Veneto della metà del 700 e uno del sud della Germania dell’inizio dell’800».
Ci sono degli italiani che lavorano per il museo?
«Sì, molti membri del nostro staff sono italiani».
In quanti Paesi è rappresentato il museo?
«I Paesi dove siamo rappresentati sono quattordici, ci sono doni molto generosi che sono principalmente fatti da collezionisti».
Si può affermare che il museo ha anche un’importanza simbolica?
«Sì, è un simbolo culturale molto importante che parte da Gerusalemme verso il mondo. Avere un’attività dinamica in cima ad una collina è una visione sintetica, un simbolo per il mondo intero».
Ma c’è molta differenza fra la cultura degli Stati Uniti e quella israeliana?
«New York è una capitale culturale unica del suo genere. Da Gerusalemme, però, si ha una prospettiva unica, universale, un ponte tra il mondo moderno e il mondo antico, un pezzo di terra che unisce le civiltà del mondo è straordinario. Bisogna pensare che qui è nato il monoteismo».
Ma il terrorismo, la guerra?
«Certamente essere qui non è facile, è una scommessa, qui c’è un peso simbolico fortissimo che non vi è in altre parti del mondo e quindi una grandissima responsabilità».

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