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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Foglio Rassegna Stampa
29.06.2008 Un attentato a Tripoli mostra la fragilità della tregua in Libano
dove Hezbollah non disarma e ha acquisito il potere di veto

Testata: Il Foglio
Data: 29 giugno 2008
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Un nuovo attentato mostra le crepe profonde delle tregua libanese»
Dal FOGLIO del 29 giugno 2008:

Beirut. Ieri la tregua libanese è precipitata di nuovo. Una bomba è stata fatta esplodere nel nord del paese. Più precisamente a Tripoli, a meno di 90 chilometri dalla capitale Beirut. Il bilancio ufficiale parla di almeno un morto e di 28 feriti, dopo i nove ucci sei giorni fa. C’è di più: ieri, per la prima volta dall’elezione del generale Michel Suleiman alla presidenza della Repubblica, le televisioni libanesi dicevano che in Libano le cose non stanno andando nella direzione auspicata dalla Lega araba e dall’occidente. La comunità internazionale ha infatti sostenuto l’elezione del generale cristiano alla presidenza della Repubblica e ha demandato al premier, Fouad Siniora, la responsabilità di organizzare un governo di unità nazionale. Finora, però, gli annunci rassicuranti di Siniora – che ha respinto le richieste di dimissioni avanzate dai suoi oppositori – non sono riusciti a disegnare il nuovo esecutivo e dunque neppure un’unità formale. Il gioco di potere tra i gruppi politici e le milizie ha ripreso a consumarsi a nord, mentre il premier continua a prendere tempo pensando a come arginare le richieste di Hezbollah. Il partito filoiraniano ha quasi ottenuto il diritto di veto. Lo chiede dal 2006 e intende applicarlo al primo accenno di delegittimazione nei suoi confronti. Il Libano continua dunque a trascinarsi nella fase di transizione seguita all’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri, nel 2005. L’intesa recentissima siglata al vertice di Doha, nel Qatar, sembrava aver aperto uno spiraglio. Ma il nuovo ciclo di attentati dimostra che l’accordo non ha affatto cancellato il malessere interno al Libano. Gli scontri sono infatti ripresi in un luogo simbolo delle divisioni che infiammano il paese, a pochi passi dai campi che negli anni Ottanta ospitarono i primi confronti armati tra libanesi e palestinesi. Gli stessi che portarono a una delle più gravi crisi che abbiano mai raggiunto Beirut. I nuovi attentati sono dunque un segnale inequivocabile di instabilità e lasciano alla comunità internazionale un margine di manovra molto limitato. Le diplomazie occidentali – prima fra tutte quella statunitense, supportata da quelle di Italia e Francia, che martedì assumerà la presidenza di turno dell’Unione europea, con Sarkozy che ha preventivamente attivato contatti con Damasco – hanno dunque ripreso a interrogarsi sull’effettiva caratura di una tregua siglata forse troppo frettolosamente. L’accordo è stato violato due volte in modo sanguinoso, e in meno di una settimana. L’esplosione di ieri è avvenuta nel quartiere di Bab al Tabbaneh. Lo stesso che, assieme a quello di al Qobbe, ha ospitato gli scontri tra le forze filogovernative e quelle filosiriane che hanno causato nove morti e 45 feriti domenica e lunedì. Si ricomincia così a parlare del confronto tra sunniti e sciiti, che assume anche il profilo dello scontro di classe. Gli sciiti hanno ottenuto da Siniora una promessa che assicura loro un maggiore peso politico, ma vivono in condizioni meno agiate dei sunniti. La rivendicazione degli Hezbollah va perciò considerata anche in questa chiave, perché è quella che ha aperto loro le porte del potere. Prova ne è il successo avuto nelle piazze da Hassan Nasrallah.

La diplomazia italiana in medio oriente

A Doha è stato deciso che il governo avrà 30 ministri, undici saranno sciiti. Servirà la maggioranza dei due terzi per le decisioni più importanti. Ma ciò, evidentemente, non accontenta tutte le 18 comunità religiose presenti in Libano. La capacità di mediazione dell’occidente e dell’Italia potrebbe essere verificata (giovedì la decisione) tra pochi giorni a Damasco. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, vuole provare a parlare con i siriani e con le altre parti (andrà certamente a Gerusalemme). La Farnesina lavora da giorni in questa direzione, con la consapevolezza di chi vorrebbe intervenire ma si sente un po’ prigioniero della tregua apparente. Frattini volerà in Israele e poi a Ramallah, in cerca della giusta chiave per fare magari tappa in Siria e tentare una mediazione sul Libano. Le parole d’ordine sono due: sostenere l’intesa tra le forze e spingere affinché si formi in fretta il governo. Hezbollah intanto si è nuovamente opposto al disarmo delle milizie, assicurando che non saranno adoperate contro obiettivi libanesi, ma semmai contro Israele. Frattini sostiene che le fattorie di Sheeba, territorio siriano e libanese, hanno dato a Hezbollah l’alibi per essere lì con le armi. “Se noi eliminiamo questo alibi – ha detto – aiutiamo il governo Siniora ad andare verso il disarmo di tutte le milizie”. Ma se anche Israele cedesse le fattorie nessuno potrà certificare che il Partito di dio rinuncerà alle armi.

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