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L'Espresso Rassegna Stampa
27.06.2008 Il conflitto israelo-palestinese e la destabilizzazione iraniana
re Abdullah di Giordania sembra non vedere il nesso

Testata: L'Espresso
Data: 27 giugno 2008
Pagina: 0
Autore: Lally Weimouth
Titolo: «Non sparate sull'Iran»
Il problema del Medio Oriente non è l'Iran, ma la mancata pace israelo-palestinese. Lo sostiene il re Abdullah di Giordania in una intervista rilasciata a Lally Weimouth  per L'ESPRESSO del 27 giugno e per NEWSWEEK.

Un'intervista preoccupante, perché Abdullah, un capo di stato arabo moderato, in pace con Israele e vicino all'Occidente, sembra non accorgersi che è proprio l'Iran ad avere il ruolo di maggiore destabilizzatore della situazione israelo-palestinese, attraverso il sostegno ai terroristi di Hamas e Hezbollah, le minacce esistenziali a Israele, la "spinta propulsiva" rappresentata per il fondamentalismo sia sciita che sunnita dal modello di una rivoluzione islamica vittoriosa.

Puttosto acritica, l'intervistatrice non pone domande che possano riequlibrare la parzialità della visione di Abdullah. Nemmeno circa la prospettiva, che il sovrano giordano sembra considerare senza preoccupazione alcuna, della diffusione in tutto il Medio Oriente della tecnologia nucleare, anche presso stati  teocratici come quello saudita, o laici, ma minacciati dall'ascesa dei partiti fondamentalisti, come quello turco.

Ecco il testo:
 
Non c'è più tempo per la pace tra Israele e Palestina. Passa l'ultimo treno e, se non lo si prende, l'occasione potrebbe non ripresentarsi più. Lo sostiene, in questa intervista, il re Abdullah di Giordania. Il suo Paese si trova, non solo geograficamente, al centro di tutte le crisi mediorientali. Il re le analizza ad una ad una. Non crede che un'azione di forza contro l'Iran possa essere una buona scelta. Sembra riecheggiare le parole del candidato presidente democratico Barack Obama quando pone l'accento sulla necessità di avviare un dialogo con Teheran. Ribadisce che la Giordania sta seriamente pensando a dotarsi di un programma per il nucleare civile, al fine di fronteggiare il drastico aumento del prezzo del petrolio. Guarda infine con grande interesse i piccoli segni positivi che arrivano dall'Iraq, dove le tre comunità hanno finalmente avviato il dialogo.

Re Abdullah, la conferenza di pace di Annapolis è ormai sepolta?

"In effetti sono molto preoccupato. Credo che il processo di pace abbia perso di credibilità nella mente dell'opinione pubblica. Siamo tutti molto pessimisti".

Come considera l'Iran? La minaccia numero uno di questa regione?

"La minaccia più grave in assoluto è la mancanza di pace. Non credo alla possibilità di creare una soluzione in Palestina con due Stati oltre il 2008, al massimo il 2009. Questa è davvero l'ultima occasione. Il tempo passa inesorabile, e mi preoccupa molto che questa porta possa chiudersi per sempre".

Non è l'Iran a preoccuparla, dunque.

"Teheran pone problemi ad alcuni Paesi, benché io abbia notato che le dinamiche sono cambiate alquanto radicalmente negli ultimi tempi. Per la prima volta penso che l'Iran sia una minaccia meno grave. Se il processo di pace non farà passi avanti, invece, sono dell'idea che l'estremismo continuerà a guadagnare terreno. Se parliamo di Iran, sono d'accordo con le opinioni dell'Europa e dell'Occidente in genere, pronti a impegnarsi".

Alcuni candidati alla presidenza degli Stati Uniti invitano ad avviare un dialogo con Teheran.

"Noi siamo un Paese, una regione, che preferisce il dialogo alla guerra. Se ci dovesse essere un conflitto con l'Iran, non sono molto sicuro di come andrebbero a finire le cose. È come giocare con il vaso di Pandora. Penso che in quella parte del pianeta di crisi ce ne siano già a sufficienza".

Ritiene di essere stato troppo fedele, di aver sostenuto troppo il presidente George Bush e gli americani?

"Sin dal primo giorno io e il presidente americano siamo stati molto onesti l'uno con l'altro, molto schietti e franchi sulle questioni regionali. Io non ho mai fatto segreto delle mie opinioni in relazione ai vari paesi che ci circondano e a come dobbiamo intrattenere rapporti con loro. In definitiva i consigli hanno il valore che si è disposti a dargli.".

Come considera la situazione odierna in Iraq?

"Per la prima volta sono abbastanza ottimista in relazione all'Iraq. La società irachena si sta muovendo nella direzione giusta. Penso che per la prima volta gli iracheni siano più coesi, per quanto possibile, e siano oggi un tutt'uno. Negli ultimi due mesi hanno collaborato gli uni con gli altri, tutti insieme, curdi, sciiti e sunniti per far progredire il loro Paese. Adesso per i paesi arabi è arrivato il momento di tendere una mano, cosa che in passato non abbiamo fatto. Dobbiamo offrire fratellanza agli iracheni, aiutarli e sostenerli nel passaggio alla prossima fase. Se non lo faremo, credo che saranno gli iracheni a rimetterci, ma anche gli arabi moderati".

E la situazione in Giordania? Al momento ci sono difficoltà legate agli alti prezzi dei generi alimentari e di altri beni primari

"La situazione è la medesima in tutto il mondo. Sì, abbiamo un problema non indifferente a causa dell'aumento dei generi alimentari e nutriamo preoccupazione per i prossimi due anni. Il prezzo del petrolio è ormai un vero shock. In estate la situazione ancora è sopportabile, ma quando si arriverà all'inverno la questione del riscaldamento delle case diventerà un problema molto serio. Stiamo studiando forme alternative di approvvigionamento energetico. Stiamo pensando all'energia nucleare".

A questo proposito, abbiamo letto la dichiarazione da lei rilasciata al giornale israeliano 'Haretz', nella quale afferma che in Medio Oriente "tutti alla fine si avvieranno sulla strada del nucleare".

"Lo avevo già detto in precedenza, negli Stati Uniti, ma quando l'ho dichiarato ad 'Haretz' la cosa ha fatto scalpore. Il titolo in prima pagina era: 'La Giordania vuole il nucleare!'".

Stando a quel che si dice, l'Arabia Saudita e la Turchia starebbero già costruendo reattori nucleari.

"Quei paesi non vivono una crisi energetica paragonabile alla nostra. Per noi tutto dovrà avvenire a un ritmo ben più veloce. Con ogni probabilità saremo il primo paese di questa regione a rivolgerci al settore privato per dotarci di centrali nucleari per la produzione di energia".

Un paio di anni fa lei mise in guardia dal pericolo che l'Iran costituiva per i regimi arabi moderati. Non crede che i grandi vincitori in questa regione possano dirsi oggi proprio Iran e Siria?

"Se teniamo conto di quanto è accaduto in Libano un paio di mesi fa (quando Hezbollah ha inviato le forze governative in strada a combattere per ottenere alcune concessioni politiche di grande rilievo, ndr), penso che la percezione dell'opinione pubblica da queste parti sia che quella sfida è stata vinta da Teheran e da chi agisce per sua procura. Dobbiamo stare molto attenti a ciò che accadrà nella prossima eventuale crisi. Lo ripeto: ecco perché mi preoccupa molto il processo di pace".

Perché nessuno ha aiutato il governo libanese? Gli Stati Uniti e la Francia in passato avevano collaborato fianco a fianco in Libano.

"Sono sorpreso e sconcertato anch'io. È triste, ma dobbiamo essere molto prudenti. L'assenza di un processo di pace influisce negativamente sulla credibilità dell'America in questa regione. Se non siamo in grado di esibire alcun punto a nostro favore con una vittoria sul campo, l'influenza e il prestigio americani ne risentiranno fortemente".

È difficile però capire in che modo fare passi avanti con Hamas, che ogni giorno lancia razzi contro Israele.

"Quando mi sono recato l'ultima volta negli Stati Uniti ho detto proprio questo, che Hamas costituisce sempre un problema, ma nondimeno non dobbiamo guardare soltanto a questa faccia della medaglia. Si fa sempre presto a dire che dovremmo isolare Hamas, ma non si parla mai di come sostenere Fatah. Come rafforzare dunque la controparte?".

È disposto a convivere con un Iran in possesso della tecnologia nucleare?

"È indispensabile allacciare un rapporto con gli iraniani e coinvolgerli. Un colpo di Stato militare in Iran oggi servirebbe soltanto a innescare una dura reazione di Teheran e di chi agisce per sua procura. E non penso che oggi potremmo convivere con altri conflitti in questa regione".

'Newsweek' - 'L'espresso'

traduzione di Anna Bissanti

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