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La Stampa Rassegna Stampa
23.06.2008 Rudy Haddad, 17 anni, massacrato a sprangate perché porta la kippah, è in coma
la cronaca di Domenico Quirico e la sua analisi sull'antisemitismo delle banlieues

Testata: La Stampa
Data: 23 giugno 2008
Pagina: 7
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Parigi, caccia al giovane ebreo - L’antisemitismo adesso viene dalla banlieue»

Da La STAMPA del 23 giugno 2008, la cronaca di Domenico Quirico:

Il padre, la comunità ebraica, la Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo non hanno dubbi: lo hanno massacrato a sprangate perché è ebreo, perché portava la kippah, perché vive in un quartiere, il XIX arrondissement di Parigi, dove la comunità di ultraortodossi è molto numerosa. Un giovane di 17 anni, Rudy Haddad, è all’ospedale, in coma, con fratture al cranio, molte costole fracassate; i medici sono prudentissimi sulla possibilità che si salvi. Lo hanno colpito in strada, con pugni, calci e sbarre, lasciandolo sul marciapiede di rue Petit; un gruppo di alcune decine di giovani, ragazzi di origine africana secondo un testimone, che la vittima aveva incrociato per strada. Cinque tra loro sono stati arrestati. Li si interroga, si cerca di capire perché.
Tutto questo proprio nel giorno in cui il presidente Sarkozy inizia una visita in Israele che ha lo scopo dichiarato di rinsaldare i legami con il mondo ebraico; che vuole fugare l’ombra pesante costruita negli ultimi anni appunto dalle macchie dell’antisemitismo. Così la Francia è costretta a reinterrogarsi, di fronte alla brutalità di una tragedia, su questa malattia infame della sua storia. La rode il sospetto che stia montando pericolosamente un nuova versione di antisemitismo, che si tinge di colori etnici, che diventa guerra di bande. In una Repubblica che continua a proclamare intatta la sua capacità di integrazione.
Il padre del ragazzo, Philippe, ieri alla radio ripeteva la sua accusa: «Mio figlio aveva la kippah in testa, lo hanno assalito perché è ebreo». Eppure è impossibile non notare la ritrosia, la cautela con cui ieri per molte ore il Ministero degli Interni ha esitato a classificare la tragedia come atto aperto di antisemitismo. Quando già il presidente Sarkozy aveva emesso un comunicato in cui riaffermava la sua «totale determinazione a combattere tutte le forme di razzismo e di antisemitismo». Tre poliziotti di Amiens sono stati arrestati pochi mesi fa per aver gridato in un bar «morte agli ebrei», «bisogna riaprire le camere a gas». Segno che il male è profondo, non risparmia neppure coloro che dovrebbero curarlo.
Per capire quanto è successo bisogna calarsi nel XIX arrondissement, che non è una periferia impregnata di veleni, ma parte viva della capitale. Il ragazzo è stato assalito in rue Petit: a poche centinaia di metri, al numero 49, c’è la sinagoga Beth «Haya Mouchka» frequentata dagli ultraortodossi. Racconta il sindaco del XIX, Roger Madec, socialista: «C’è una tensione comunitaria molto forte che inquieta». Tutto ruota attorno al parco delle Buttes-Chaumont, uno dei più grandi della città, deliziose collinette verdi, laghetti, sentieri creati per il piacere dei sudditi di Napoleone III. Per far dimenticare che su uno dei monticelli un tempo c’era la forca per i condannati a morte. Bello ma pericoloso, impossibile attraversarlo di sera. E’ qui che le bande di maghrebini attaccano e si scontrano violentemente con i coetanei ebrei. Le kefiah e i cappucci contro le kippah: insulti spinte scontri violenti, occhieggia il piano di ripulire etnicamente il quartiere dai nemici, dagli «intrusi».
«Una questione più sociale che razziale» spiega qualcuno che cerca di negare l’antisemitismo, assicurando che i ragazzi ebrei passano il più delle volte senza problemi. Ora molti nella zona raccontano con rabbia che già il 10 giugno la polizia era stata avvertita delle violenze che si ripetevano ogni fine settimana, invocando l’invio di rinforzi. Che adesso, forse un po’ in ritardo, esige anche il sindaco: «Ci vogliono più poliziotti qui, almeno per un certo tempo, per portare la tranquillità; è una terra di asilo dove tutti hanno sempre vissuto insieme, e deve restarlo».
Una visione che molti considerano superata dagli eventi. «Sos racisme» per esempio usa toni e parole più dure: «La lotta per il controllo del territorio della zona del parco è moneta corrente per gruppi di ragazzi che tendono a vivere in base alla propria origine». E la Lega contro l’antisemitismo aggiunge una domanda brusca: «Fino a quando la Repubblica tollererà i ricatti di queste bande che con la loro violenza attaccano i nostri ragazzi?». E’ la nuova versione della guerra delle banlieues, ma portata nel cuore stesso della Francia.

L'analisi di Quirico sull'antisemitismo delle banlieues:

Per descrivere il nuovo antisemitismo Michel Wieviorka, direttore del centro di analisi sociologica all’Ecole des Hautes Etudes, ha setacciato la Francia; accompagnato da dodici ricercatori, entrando in fabbriche università perfino nelle prigioni, a Parigi, nelle banlieues ma anche nella provincia dove spesso la faccia del «nemico» è più difficle da individuare. E alla fine ha scoperto «che oggi è soprattutto all’interno della popolazione immigrata, che arriva dal mondo arabo-musulmano, dall’Africa subsahariana ma anche dalle Antille, che si trovano tutti i tipi di manifestazioni spontanee dell’odio contro gli ebrei. E’ la novità dell’antisemitismo contemporaneo in Francia. Nelle banlieues i propositi antiebraici fioriscono ormai senza tabu, l’antisemitismo è diventato opinione».
La faccia nuova di un male antico, che si è manifestata sabato sera mentre Parigi risuonava del chiasso della Festa della musica nel diciannovesimo arrondissement. Per l’autore della monumentale «La tentazione antisemita» è «all’interno stesso della società che il razzismo vissuto prima sulla propria pelle, l’esclusione, la frammentazione culturale producono il nuovo antisemitismo. In passato l’ebreo era sentito come una minaccia per la nazione, per la società o ancora per la confessione dominante; oggi è sentito come colui che ha avuto successo nella sua integrazione, che è nel cuore stesso della nazione, delle istituzioni, della società» .
Le cifre sono brutte e offensive, macchiano e bruciano: il 14 per cento dei francesi tra i 18 e i 24 anni sono dichiaratamente «ostili agli ebrei». Eppure nel 2007, ultimi dati disponibili, la Commisione nazionale dei diritti dell’uomo ha sbandierato un annuncio confortante: «la netta diminuizione», oltre il 32 per cento, degli atti antisemiti. Ma bastava leggere il seguito di quelle cifre per accorgersi che a questo progresso si accompagnava un altro dato, il numero degli «atti gravi e violenti», in realtà, è aumentato di oltre il 23 per cento. Insomma: l’antisemitismo si fa più rado ma più feroce. E si colora, come spiega Wieviorka, di tinte etniche. Come se i figli della immigrazione avessero assorbito il veleno autarchico e europeo che fu, tragicamente, di Vichy. E’ un antisemitismo che già prima di ieri ha ucciso, un altro giovane ebreo, Ilam Halimi, rapito e torturato da una banda di giovani balordi di periferia che si facevano chiamare «i barbari». Il loro capo riceve in prigione, ancora oggi, centinaia di lettere ogni mese da giovani ammiratori che vivono nelle periferie. E poi c’è l’antisemitismo «nero», quello della «tribu Ka», un gruppo di estremisti che davano la caccia a quelle che loro chiamano «le milizie giudaiche» in rue des Rosiers, luogo simbolo dell’ebraismo parigino. E che proclamano anche in tribunale il rifiuto dell’unicità dell’Olocausto. L’antisemitismo dei ragazzi musulmani pericolosamente si salda poi con il negazionismo di «gauche», filopalestinese, che accusa lo Stato di Israele di essere «oppressore e razzista». Che esige, ben nutrito di frustrazioni sociali, un’immediata riparazione dalla Storia, prendendosela, se necessario, con la violenza.

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