Sulla STAMPA di oggi, 22/06/2008, a pag.1-29, un articolo di A.B.Yehoshua, dal titolo " Israele, la svolta possibile ". Un articolo della serie che la STAMPA ospita volentieri, o che addirittura commissiona. Un Yehoshua completamente diverso dal Yehoshua che parla e scrive in Israele, diciamo in formato esportazione.
E’ giunto il momento di una tregua tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza.
Eppure per più di sei mesi persone sagge e responsabili avevano esortato Israele a aderire a questa iniziativa e accettare un cessate il fuoco.
Ma il governo israeliano aveva opposto un rifiuto irremovibile.
I pretesti che adduceva erano di tipo vario e disparato: «Una tregua indebolirebbe Abu Mazen».
Come se non fossero l’ampliamento delle colonie e di Gerusalemme Est e il mancato smantellamento degli insediamenti illegali a farlo.
Oppure: «Hamas non riconosce lo Stato di Israele» (come se tutte le tregue degli ultimi sessant’anni con gli Stati arabi e con l’Olp fossero basate sul riconoscimento di Israele e non sul semplice principio etico - che ci guida da molti anni - di concedere a noi e ai nostri nemici una pausa negli scontri). Ma ecco che alla fine la logica ha prevalso sulle titubanze e sulle scappatoie, una tregua è stata firmata e ci si può solo rammaricare del tempo perduto, costato sofferenze e distruzioni a entrambe le parti.
In questa guerra che va avanti da quasi un secolo è importante tenere presente un principio: i palestinesi sono nostri vicini e vivranno al nostro fianco per sempre. Le considerazioni militari non possono essere dunque analoghe a quelle di Paesi che combattono lontano da casa. Il ricordo del sangue versato, sia del nostro sia del loro, rimane vicino, filtra nella memoria e nei cuori di entrambi i popoli. Un'interruzione immediata degli scontri è quindi più vitale di una chimerica «capitolazione» totale a lungo termine.
Ma la tregua resisterà? I suoi oppositori le pronosticano, e le augurano, breve vita, e neppure gli scettici nutrono molte speranze. Naturalmente se la tregua sarà puramente tecnica, se non saranno investiti sforzi per stabilizzarla e rinsaldarla, potrebbe rimanere un episodio amaro. Perciò, tutti coloro che temevano una «grande offensiva» di Israele nella Striscia di Gaza devono fare il possibile per potenziarla e creare un clima di distensione che possa, col tempo, sfociare in un accordo di pace con l'Autorità palestinese.
Che fare dunque? Innanzi tutto aprire i valichi di frontiera a malati, studenti o membri di famiglie rimaste separate a causa del blocco. In secondo luogo fissare una generosa quota di lavoratori palestinesi (destinata ad aumentare col tempo) autorizzati a lavorare in Israele, magari anche nei centri agricoli colpiti intorno alla Striscia di Gaza. Il lavoro palestinese in Israele è importante per entrambe le parti ed è preferibile a quello di stranieri che provengono da lontano e vivono qui isolati, soli e sotto la costante minaccia di un'espulsione. Gli operai palestinesi la sera tornano alle loro case e non si alienano da un contesto di vita normale. I futuri operai di Gaza, che hanno moralmente diritto a guadagnarsi il pane in Israele, si trasformeranno nei naturali sostenitori di un proseguimento della tregua.
Occorre poi ripristinare progetti industriali che già esistevano in passato ma sono andati distrutti durante le ostilità, e legittimarli agli occhi di Hamas mediante la partecipazione di uno Stato arabo. Occorre interrompere o limitare il più possibile l'uccisione di esponenti di Hamas in Cisgiordania e permettere all'Autorità palestinese di occuparsene a modo suo. Ma soprattutto bisogna credere che l'armistizio abbia una dinamica propria. Quando ci si trova in uno stato di guerra la gente si abitua a questa realtà al punto da non poterne immaginare una diversa. Ma nel momento in cui sopravviene la distensione, l'idea di riprendere le armi si fa dolorosa e insopportabile poiché questo significherebbe il ritorno a un'esperienza di sofferenza conosciuta e terribile. Si deve quindi guardare a questa tregua non come a un pezzo di carta con un qualsiasi valore legale ma come a un giovane arbusto che va curato, bagnato, accudito e protetto perché si irrobustisca e diventi un albero forte, impossibile da sradicare con uno sporadico razzo Qassam o una granata.
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