domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
21.06.2008 Nadine Gordimer come Alice nel Paese delle Meraviglie
un articolo da leggere e meditare

Testata: La Repubblica
Data: 21 giugno 2008
Pagina: 27
Autore: Nadine Gordimer
Titolo: «Il dramma di israele e il dovere dello scrittore»

Su REPUBBLICA di oggi, 21/06/2008, a pag.27, con il titolo " Il dramma di Israele e il dovere dello scrittore", Nadine Gordimer scrive ciò che pensa della situazione mediorientale. Un articolo che non meriterebbe nessun commento, tanto è chiara la posizione della scrittrice sudafricana. Posizione perlatro nota, ma non immaginavamo fino a questo punto. Da quello che descrive, Israele, con la sua realtà, è assente. Le importano solo le che ascolta dai suoi interlocutori palestinesi. Non una domanda, non un dubbio, quello che e viene raccontato è la verità. Lei, una scritrice, sembra non avere occhi per guardare o orecchie per sentire altro di quello che le viene mostrato e detto. Le va bene così. Nel '91 ha vinto il premio Nobel, quindi è collega di Dario Fo. Ha scritto un articolo che avrebbe potuto firmare anche il comico milanese, ex repubblichino di Salò, lo stile politico è identico. Riportiamo l'articolo integralmente, è bene leggerlo, aiuta a rimanere con i piedi per terra.

Per Israele, il diritto di esistere, negato da Hamas e dai palestinesi della jihad; per la Palestina, la restituzione dei territori occupati. Tutti gli scrittori israeliani che ho incontrato – tra cui Amos Oz, noto in tutto il mondo per le sue brillanti qualità di narratore e per l´audacia con cui esprime le sue critiche a voce alta e prospetta soluzioni possibili e giuste per i due stati – si sono espressi contro l´occupazione dei territori, stigmatizzando la durezza dei militari israeliani verso la popolazione palestinese. Attraverso i contatti col pubblico presente alla conferenza ho appreso che una maggioranza di israeliani è contraria alla politica di occupazione portata avanti dal governo di Tel Aviv; mentre solo una minoranza delle persone che ho incontrato ha difeso questa politica, interpretando l´occupazione dei territori conquistati e le nuove linee di spartizione dopo il 1967 come un segno divino, a compimento della profezia biblica.
Prima di partire dal Sudafrica avevo programmato la mia visita a Gerusalemme Est, il settore palestinese della città. Una macchina dell´Autorità palestinese mi ha prelevata all´American Colony Hotel, curiosamente chiamato «no man´s land» (terra di nessuno). A ricevermi ho trovato il professor Sarl Nusselbe, uno scrittore di cui conosco l´opera narrativa. Ho parlato con un gruppo di studenti, tra cui diversi aspiranti scrittori, rispondendo alle loro domande sui limiti imposti dal conflitto alla libertà d´espressione. Ma per me, in definitiva, l´aspetto più rilevante di quest´incontro non è stato quello letterario. Ho avuto modo di visitare la sede della facoltà, dove si conserva una documentazione straordinaria – che sarebbe però improprio definire un "museo". Al suo direttore, che mi ha accolto sorridendo, il conflitto israelo-palestinese è costato 17 anni di carcere. Non solo ha raccolto ogni più piccolo brandello di testimonianza scarabocchiato su pezzetti di carta o di stoffa contrabbandati fuori dal carcere, ma è anche riuscito a impossessarsi di alcune foto - scattate a quanto pare dagli stessi carcerieri – di detenuti sottoposti a spietati interrogatori. E ha messo insieme così un´intera biblioteca di testimonianze, scritte per così dire dal vivo dai prigionieri, con i resoconti di prima mano delle sofferenze e umiliazioni patite sotto interrogatorio. Indubbiamente esistono testimonianze analoghe di prigionieri israeliani interrogati dai palestinesi. La disumanità dell´uomo verso i suoi simili non conosce frontiere.

L´università Al Quds si trova nei pressi di un quartiere chiamato Abu Dib: un sobborgo di Gerusalemme tagliato in due dal capriccioso percorso del muro monumentale che divide la parte palestinese da quella israeliana della città: una costruzione, alta quanto una casa di un piano, che sfida qualunque immagine convenzionale di un muro. Mi sono trovata accanto a una delle sue gigantesche circonvoluzioni che incrociano l´abitato. Ero in compagnia di un medico, sulla soglia di casa sua: il muro torreggiante taglia in due il suo giardino, quello del vicino e la strada adiacente. La sua clinica sta dall´altra parte, appena due isolati più in là; ma per andarci è costretto a fare diversi chilometri in macchina fino al più vicino check point, e poi a tornare indietro per arrivare infine alla meta, vicinissima al punto di partenza. Mi ha parlato di vari casi di pazienti del settore Est in gravi condizioni, per i quali l´unica salvezza era il ricovero d´urgenza presso un centro specializzato di Gerusalemme Ovest. Alcuni sono morti mentre le guardie prendevano tempo per spulciare i documenti sanitari che autorizzavano il trasporto. E´ vero che d´altra parte – a quanto mi è stato detto da amici israeliani – vi sarebbero stati anche casi di finti malati «in stato di incoscienza», accompagnati dal «medico curante», in realtà attentatori suicidi venuti a seminare la morte in luoghi pubblici affollati di uomini, donne e bimbi israeliani … Frattanto osservavo i bambini che usciti da scuola dovevano attraversare il check point per tornare alle loro case, dall´altra parte del muro. Gli sconvolgimenti che i palestinesi subiscono nel loro quotidiano sono inconcepibili persino per chi li vede – in minima parte – con i propri occhi.
Grazie alla mia amicizia col compianto Edward Said, intellettuale di fama mondiale, impegnato per una Palestina integra entro giusti confini, e con Mariam Said, sono stata ricevuta a Ramallah, che come è noto è il cuore e la mente della Cisgiordania occupata. E nonostante la mia partecipazione al Festival Internazionale degli scrittori, boicottato dai palestinesi, sono stata accolta calorosamente dal Dr. Mustafa Barghouthi, Segretario generale di Al Mubadara, l´Iniziativa Nazionale «per il conseguimento dei diritti dei palestinesi e di una pace giusta e durevole», e da alcuni suoi membri riuniti in assemblea. Questi ultimi mi hanno proposto un giro in macchina per le vie di Ramallah, fornendomi ulteriori notizie sulle conseguenze dell´occupazione, peraltro evidenti fin dalla prima occhiata. A colazione attorno a un tavolo presso la sede di Al Mubadara, ho ricevuto informazioni di prima mano sulla linea politica, le tattiche e l´azione di quest´organizzazione: no alla posizione di Hamas, che nega il diritto all´esistenza di Israele, e lotta, non violenta ma inesorabile, contro la perdurante occupazione della Palestina. Il dr. Barghouthi, deputato al parlamento palestinese eletto nel 2005, secondo in ordine di preferenze dopo Mahmoud Abbas, ha concentrato la sua attenzione sulla lotta per la sospensione dei lavori di costruzione del muro israeliano e la demolizione dei tratti esistenti. Ha parlato senza cedere alla retorica tanto comune ai leader politici, e ha incoraggiato anche i colleghi a intervenire, sottolineando l´impegno di Al Mubadara contro le divisioni interne tra i palestinesi – anche se il principale obiettivo dell´organizzazione rimane quello di uno Stato palestinese entro confini accettabili e giusti. Quest´ultimo termine è oggetto di contese infinite tra israeliani e palestinesi, dal momento che da entrambe le parti si fa appello a un diritto atavico alla totalità del territorio, pur riconoscendo con amarezza – date le condizioni di forza maggiore del mondo contemporaneo – che l´unica via per imporlo sarebbe una guerra spaventosa, un indescrivibile bagno di sangue.

Sono tornata alla zona Ovest portando con me un enorme poster dal titolo "40 anni d´occupazione": una successione di carte geografiche, ove il territorio della Palestina, colorato in verde, è costellato da macchie rosse ad indicare le «colonie» israeliane: incredibili riaggiustamenti, scambi di territori aspramente disputati dal 1948 ad oggi – e da ultimo, a designare il futuro, una cartina in bianco, occupata solo da un punto interrogativo.
Il punto interrogativo rimane. E incombe sui negoziati di pace – la base vitale per arrivare a una risposta che dovrà avere il sostegno di chiunque creda nella giustizia: la creazione di due Stati pienamente indipendenti, entro confini realistici e concordati.
Ai poeti e ai narratori israeliani e palestinesi incombe una particolare responsabilità di testimonianza dall´interno. Non certo per l´immediato consumo delle tv e della stampa quotidiana, ma attraverso opere capaci di durare nel tempo, facendo emergere da sotto la superficie dell´informazione qualcosa delle contraddizioni della condizione umana, della capacità di resistere, delle speranze di chi la vive in questo tempo e luogo.

Per inviare a Repubblica la propria opinione,cliccare sulla e-mail sottostante.


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT