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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Un sogno per Eichmann 19/06/2008
L’imperativo categorico ha un certo odore di crudeltà”. Così Friedrich Nietzsche nella sua “Genealogia della morale”.

E’ questa citazione che ci introduce alla lettura  del libro di Michel Onfray “Le songe de Eichmann”, Il sogno di Eichman, edito in Francia da  Galilée.

Si tratta di un libretto agile e curioso che si divide in un prologo e in due parti. Il prologo tende a smentire  quello che generalmente si crede, essere cioè la filosofia di Nietzsche la base e il riferimento del nazismo.

Niente di più falso, sostiene Onfray. Vero è invece, secondo Onfray,  che l’autore di “Così parlò Zarathustra” e “Al di là del bene  del male” (è quest’ultima opera che si ritiene a torto essere la madrina della svastica), fu invece tanto filosemita da scrivere che bisognava fucilare tutti gli antisemiti, e ad esprimere la sua esecrazione per tutti i movimenti di massa e per lo Stato autoritario.

D’altronde, scrive l’autore di questo libretto, basta andare a rileggersi (o a leggersi) gli scritti di Nietzsche per fugare ogni dubbio. Il filosofo fu senza dubbio, dice, un grande amico degli ebrei e della democrazia.

Quello però che è più sorprendente in questo “Sogno di Eichmann”, è l’affermazione perentoria che se si deve dare una paternità al nazismo, la si deve ricercare in Kant, il filosofo del “cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”, finora considerato dai più come una sorta di antitesi preventiva di ogni totalitarismo.

Pare che non sia così. E l’autore lo dimostra, con buone carte in mano, nella seconda parte.

Michel Onfray si riferisce ad Hannah Arendt ed al suo “Eichmann a Gerusalemme”, dove si legge che al processo del 1961 il criminale nazista ebbe ad affermare di avere sempre avuto come mentore non già Nietzsche, come si sarebbe opinato, bensì proprio Immanuel Kant, il filosofo di Könisberg.

L’università ci insegna a collocare Kant “dalla parte buona della barricata”, dalla parte “dei benpensante, gli onesti, i moralizzatori, i virtuosi, i puri, gli aureolati, i cristiani senza sottana”. Per tutti loro, dice Onfray, “L’opera etica di Kant è il catechismo cristiano meno la retorica di San Sulpicio”. Niente di vero.

 Onfray si chiede se per caso Eichmann avesse ragione (relativamente parlando, è ovvio) e se il “meccanismo filosofico di Kant si rivelasse compatibile con la vita quotidiana di un nazista dedito al suo lavoro di mostro”.

Insomma, si può avere un kantiano nazista? Michel Onfray afferma di sì, e si accinge a dimostrarlo.

Al processo del 1961 Eichmann ribadisce, di fronte a una Corte interdetta, di aver voluto vivere nel segno dell’imperativo categorico, e cioè far sì che “il principio della mia volontà debba essere tale da poter diventare i principio delle leggi generali”. E cita la “Critica della ragione pratica”.

“Agisci in modo che la massima  della tua volontà possa al tempo stesso valere come principio di una legislazione universale”. E, sempre Kant della Dottrina della virtù”: “Agisci in modo che la massima della tua azione posa diventare legge universale”.

Secondo Hannah Arendt, dice Onfry, Eichmann dà una definizione approssimativa ma corretta dell’imperativo categorico. Ma per Onfry non è affatto “approssimativa” e  nell’interpretazione della morale kantiana Eichmann ha ragione e Arendt torto.

L’autore di questo “Sogno di Eichmann” propone un buon numero di citazioni di Kant, secondo il quale bisogna sempre obbedire alle leggi, siano esse buone o cattive. Si può pensare che siano cattive, ma guai a non obbedire agli ordini di chi rappresenta ed è la Legge.

Kant nei suoi scritti sostiene la superiorità della razza bianca su quella nera (nei suoi scritti di filosofia della storia afferma che i neri hanno un cattivo odore), è favorevole alla pena di morte e condanna ogni insurrezione, rivoluzione o rivolta, ed è lui che inventa il termine “deportazione” per gli indesiderabili.

Si può condannare a morte per un crimine, ma non nel caso di un infanticidio di chi è nato  fuori dal matrimonio, perché come tale non esiste giuridicamente. Né si può incriminare qualcuno che uccide l’avversario in duello. Siccome il duello è proibito dalla legge, dunque il delitto non esiste. Kant dixit.

Per Kant, sostiene Onfray, la sola realtà è l’Idea, la Realtà è invece una finzione.

Così dice Eichmann, che si richiama a Kant quando afferma di avere obbedito agli ordini di una Legge che è legale perché Hitler e il nazismo sono stati eletti democraticamente dal popolo sovrano, e afferma di sentirsi responsabile ma non colpevole.

Nella seconda parte del libro Onfray mette addirittura in scena una sorta di docu-dramma con il confronto di Eichmann con il fantasma Kant e con la presenza critica di quello di Nietzsche, che Kant proprio non lo può vedere. Come l’autore del resto.

Se la pièce dovesse finire sui palcoscenici forse non attirerebbe l’accalcarsi di folle pronte a fare il tifo per Kant o Nietzsche (e sperabilmente nemmeno per Eichmann), ma chissà. Forse almeno a Filosofia questo lavoro di  Michel Onfray avrebbe l’effetto di un sasso nello stagno, inducendo a un po’ di ginnastica della mente.

Luciano Tas


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