Se non tratta con Hamas, Israele, come abbiamo fin qui letto praticamente ogni giorno sul quotidiano comunista, respinge il verdetto democratico delle legittime elezioni palestinesi , affama i palestinesi di Gaza, è responsabile anche del terrore che colpisce i suoi cittadini.
Se tratta un cessate il fuoco con Hamas, Israele indebolisce Abu Mazen (che in realtà, in Cisgiordania, non può proprio essere indebolito: non controlla nulla, e questo è il motivo per cui Israele deve continuare sempre a difendersi da attacchi provenienti da lì).
Al MANIFESTO hanno scoperto la procedura della quadratura del cerchio antisraeliana. Quella per cui Israele è sempre e colpevole del conflitto con i palestinesi, in tutto e per tutto. Per una ragione, o per quella contraria.
Ecco il testo:
È scattata stamani alle 6, le 5 in Italia, la tregua tra Hamas e Israele a Gaza. Domenica prossima Israele dovrebbe avviare una graduale riapertura dei valichi, permettendo l'ingresso a Gaza di centinaia di tonnellate di merci. A loro volta i mediatori egiziani rilanceranno i negoziati per uno scambio tra il caporale israeliano Gilad Shalit, in mano palestinese dal 2006, con alcune centinaia di prigionieri politici palestinesi in Israele, e per riaprire in modo permamente il valico di Rafah.
E' un cessate il fuoco fragile, preceduto ieri dal lancio di razzi palestinesi verso il Neghev e da una nuova chiusura del valico di Nahal Oz da parte di Israele. E' un abbassare le armi sul quale gli israeliani non scommettono, a cominciare dal vicepremier Haim Ramon che si augura la rioccupazione di Gaza per abbattere il «radicalismo islamico». Eppure, con tutti i suoi limiti, questo accordo rappresenta un importante stop alla guerra di attrito andata avanti per mesi e il ritorno, si spera, della calma per i civili da una parte e dall'altra del confine. Soprattutto per quelli palestinesi che oltre alle operazioni militari israeliane hanno dovuto fare i conti anche con un devastante embargo che ha strangolato Gaza. Ma gli effetti di questa soluzione, forse destinata a durare meno degli annunciati sei mesi, sono eccezionali anche dal punto di vista politico.
Dall'intesa mediata dagli egiziani emerge con le ossa rotte il presidente palestinese Abu Mazen, il «partner» di pace di Israele, ed invece molto rafforzati i dirigenti di Hamas, i «nemici» dichiarati dello Stato ebraico. Israele paradossalmente è incline ad un accordo più con Hamas che con l'Anp. Come presidente Abu Mazen deve (o dovrebbe) pensare prima di tutto agli interessi del suo popolo e, quindi, non poteva che augurarsi la fine del conflitto tra Hamas e Israele a Gaza. Come leader politico però il rais palestinese non può far altro che riconoscere di essere stato ridimensionato nel suo ruolo e nella sua autorità.
La leadeship di Hamas sfrutterà il cessate il fuoco per rafforzare il suo controllo di Gaza e per consolidare i suoi rapporti con l'Egitto, mentre Abu Mazen, che da anni insegue un accordo definitivo con Israele, continuerà a fare i conti con le incursioni notturne, e non solo, delle forze di occupazione in Cisgiordania e con l'incessante espansione delle colonie ebraiche a Gerusalemme est che neppure l'amministrazione Bush può o vuole fermare. La tregua non prevede una cessazione delle ostilità in Cisgiordania dove al contrario, assicurano i comandi militari dello Stato ebraico, continueranno i raid dei reparti speciali alla caccia di presunti «terroristi» , nonostante il dispiegamento delle forze speciali di sicurezza fedeli ad Abu Mazen, addestrate ad Amman e riorganizzate dagli Stati uniti e da vari paesi occidentali.
L'analista politico ed ex ministro palestinese Ghassan Khatib sottolinea che l'accordo di tregua rientra pienamente nella «strategia israeliana» di questi ultimi anni. «Israele su Gaza è flessibile perché non ha interessi in quel territorio, al contrario della Cisgiordania dove invece i suoi appetiti territoriali sono ben noti. E forse medita anche di favorire la nascita di una entità di Hamas nella Striscia in modo da limitare potere ed autorità dell'Anp in Cisgiordania», dice Khatib che prevede un futuro molto incerto per Fatah e Abu Mazen. «La politica di Olmert - spiega - ha confermato quello che Hamas dice da tempo, a cominciare dalla constazione che solo l'uso della forza (il lancio dei razzi, ndr) spinge Israele a trovare compromessi mentre il negoziato non porta ad alcun risultato concreto». Dopo sette mesi di trattative bilaterali, Abu Mazen non ha niente in mano ed è chiaro che non firmerà alcun accordo con il premier israeliano Ehud Olmert entro il 2008, come aveva entusiasticamente indicato George Bush all'incontro di Annapolis. «Per quale motivo i palestinesi dovrebbero sostenere Abu Mazen se la sua linea del negoziato non sfocia in nulla di positivo?» conclude Khatib.
Pur tenendo presente che la tregua è fragile, a questo punto Hamas sa di aver guadagnato tempo prezioso e persino un riconoscimento indiretto da parte di Israele. Potrebbe perciò mostrarsi meno interessato al tavolo al negoziato per la riconciliazione con Fatah riavviato, non casualmente, proprio da Abu Mazen. «Quando la calma sarà in vigore a Gaza - dice l'intellettuale e commentatore politico palestinese Hani Masri - cadranno molti dei motivi, in particolare l'embargo israeliano contro Gaza, che avevano spinto le due parti a cercare la ricostituzione dell'unità nazionale. Hamas ora ha meno fretta di riunirsi con Fatah, ha ottenuto da Israele ciò che voleva e quindi porrà nuove condizioni per il raggiungimento di una piattaforma politica comune». Per Abu Mazen la notte è sempre più buia.
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