L'antiamericanismo islamico non dipende dai fatti, ma dalla propaganda l'analisi di David Frum
Testata: Il Foglio Data: 18 giugno 2008 Pagina: 2 Autore: David Frum Titolo: «Antiamericanismo»
Da Il FOGLIO del 18 giugno 2008
Al cinema e alla tv avrò visto questa scena almeno un centinaio di volte: la grande sala d’udienza di Capitol Hill, il presidente con il suo martelletto, il pubblico affollato al fondo, le telecamere, e, al centro di tutto, il solitario testimone seduto davanto al microfono, che parla davanti al Congresso degli Stati Uniti e a tutto il mondo. La vita reale è meno drammatica. Mercoledì mattina, ero io l’uomo seduto davanti al microfono, che parlava davanti a un sottocomitato del comitato della Camera sugli affari esteri. Invece della solita folla di gente, c’era un gruppo di studenti in visita, più qualche protestatario in camicia rosa e un manipolo di giornalisti. Argomento dell’udienza: un nuovo rapporto commissionato dai democratici nel quale si asseriva che il prestigio dell’America nel mondo ha subito un tracollo durante la presidenza Bush. Sono stato chiamato come testimone del contrario per i repubblicani. Il rapporto dei democratici si fonda su dati di sondaggi che mostrano un’esplosione di sentimenti antiamericani in tutto il mondo a partire dal 2002. Le cifre sono in effetti inquietanti, e senza dubbio significano qualcosa. Ma che cosa esattamente? Anch’io uso i dati dei sondaggi per i miei articoli e le mie ricerche. Sono uno strumento molto utile, ma soltanto se utilizzato con attenzione. Se impiegati in modo improprio, i sondaggi possono dare una veste di concretezza a fatti che invece non corrispondono alla realtà. Ed ecco che cosa c’è di sbagliato nei sondaggi che indicano che il prestigio dell’America ha subito un tracollo per colpa di George W. Bush e della guerra in Iraq: in larga misura, l’impegno emotivo registrato dai sondaggi è superficiale e oscillante. Più una persona è impegnata su un certo argomento tanto più difficilmente cambierà opinione. Sul tema dell’aborto, per esempio, uno spostamento dell’opinione pubblica di cinque punti in percentuale rappresenterebbe un enorme cambiamento. Tuttavia, secondo un sondaggio annuale dell’opinione pubblica internazionale, un quinto della popolazione spagnola è passata da un giudizio positivo a un giudizio negativo sugli Stati Uniti nei dodici mesi intercorsi tra la primavera del 2005 e la primavera del 2006. Nei paesi in cui l’antiamericanismo è particolarmente forte e intenso è precedente a George Bush e alla guerra in Iraq. In un sondaggio effettuato nel 1999, il Pakistan figurava già tra i paesi più antiamericani del mondo. La Gallup Organization ha condotto, tra il dicembre del 2001 e il gennaio del 2002, una dettagliata indagine sull’opinione pubblica islamica. Si è scoperto che la maggior parte delle persone intervistate consideravano gli Stati Uniti in modo negativo; i paesi con l’atteggiamento più ostile erano il Pakistan, l’Arabia Saudita e l’Iran. In tutti i paesi islamici, un numero significativo di persone considerava giustificati gli attentati dell’11 settembre. Appena un quinto degli intervistati accettava che gli attentati fossero stati lanciati da arabi. In Arabia Saudita, il governo non ha permesso che si ponesse questa domanda. I sentimenti filoamericani non si traducono necessariamente in un concreto atteggiamento filoamericano. In tutta l’Europa occidentale si è pianto per gli attentati dell’11 settembre. Ma un sondaggio Gallup condotto nella settimana successiva all’11 settembre ha dimostrato che soltanto il 29 per cento dei francesi, il 21 per cento degli italiani, il 18 per cento degli inglesi, il 17 per cento dei tedeschi e il 12 per cento degli spagnoli era a favore di un intervento militare contro i paesi che avevano dato appoggio e rifugio ai terroristi. Non è a causa dell’Iraq che la Nato ha incontrato difficoltà nel convincere i governi europei a mandare truppe in Afghanistan. I sentimenti antiamericani sono spesso il frutto di propaganda e non una risposta spontanea agli eventi. E’ interessante notare come l’antiamericanismo diventa tanto più forte quanto più i media sono meno liberi e indipendenti. In Russia l’antiamericanismo ha iniziato a montare alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con la riaffermazione del controllo statale sui media e con l’imposizione a tutti gli organi di stampa di un atteggiamento fortemente nazionalistico. Dietro a tutti questi problemi, c’è un grosso difetto, che forse si può spiegare attraverso un’analogia. Supponiamo di studiare l’odio nei confronti dei neri. Cominceremmo forse le nostre ricerche cercando di scoprire che cosa hanno fatto per meritarsi tutto l’odio scatenato nei loro confronti, per poi dargli qualche suggerimento su cosa fare per cambiare il loro modo di fare ed essere meno offensivi? Eppure, è proprio in questo modo che procede il dibattito sull’antiamericanismo. I critici dell’amministrazione Bush citano vari motivi di lagnanza nei confronti della politica americana come causa dell’antiamericanismo. Ma questa è una visione molto ingenua del modo in cui funziona la mente umana. Un esempio tratto dalla politica interna americana può servire a rendere più chiaro il concetto. Durante gli anni Novanta, i democratici hanno dato dell’economia statunitense un giudizio più favorevole rispetto ai repubblicani. Talvolta il gap tra i due schieramenti era di almeno dieci punti. Era l’appartenenza di partito a determinare la prospettiva, e non il contrario. Allo stesso modo, il mondo islamico sembra prestare attenzione soltanto alle cose che scatenano la sua rabbia, come il conflitto arabo-israeliano, ignorando invece tutti i fatti che potrebbero smentire i pregiudizi antiamericani, come l’intervento delle forze americane in Kosovo negli anni Novanta per difendere i musulmani della Bosnia e del Kosovo. Nei film, osservazioni come queste lasciano il Congresso pieno di dubbi. Nella vita reale, non hanno alcun effetto. Quando è arrivata l’ora di pranzo, il presidente ha battuto il suo martelletto, e io sono uscito dal Rayburn Building e me ne sono andato in taxi.
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