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La Repubblica Rassegna Stampa
17.06.2008 Daniel Barenboim parla di pace
ma le parole non fermeranno i terroristi

Testata: La Repubblica
Data: 17 giugno 2008
Pagina: 48
Autore: Paola Zonca
Titolo: «Daniel Barenboim dialogare in musica»

Gli israeliani dovrebbero aiutare i palestinesi, e questi ultimi rinunciare alla violenza. E' la ricetta di Daniel Barenboim per la soluzione del conflitto israelo-palestinese.

E se i palestinesi, e soprattutto i loro dirigenti, o parte di essi, non fossero interessati agli aiuti israeliani e allo sviluppo economico, ma solo alla continuazione a oltranza della guerra ? E se la violenza palestinese non cessasse, nemmeno di fronte alla possibilità di un accordo e alla prospettiva di ottenere uno Stato ?
Purtroppo, queste non sono ipotesi accademiche: sono la realtà e la storia recente del Medio Oriente. Di fronte a questa realtà, Barenboim è cieco, e ripete le sue prediche di pace.
E' facile parlare di pace, lo fanno tutti. Le parole però, non fermano i razzi kassam, né i terroristi suicidi. Non modificano la volontà di chi vuole la distruzione di Israele enon la nascita dello Stato palestinese. Non fermano il conflitto che da questa volontà trae origine.
Le parole possono invece descrivere la realtà del conflitto, oppure mistificarla. Quelle di Barenboim, a nostro giudizio, la realtà non la descrivono di certo.

Ecco il testo:


I l premio che riceverà il 23 giugno a Roma, assegnato dall´Archivio Disarmo per la pace (la giuria è presieduta da Rita Levi Montalcini), ha un nome bello e simbolico: Colomba d´oro. Ma il vincitore non è un politico e nemmeno una personalità impegnata nella lotta contro la pena di morte. È un musicista, uno dei più bravi del mondo. Daniel Barenboim, nato nel 1942 a Buenos Aires da genitori ebrei russi che si sono trasferiti in Israele nel 1952, non è solo un grande pianista e direttore. Da almeno dieci anni, sfidando le accuse di molti compatrioti, si dedica a un´impresa difficilissima: aiutare i palestinesi a migliorare le loro condizioni di vita. Ha fondato con l´intellettuale palestinese Edward Said la West-Eastern Divan Orchestra, dove suonano fianco a fianco professori arabi ed ebrei, ed è stato il primo cittadino israeliano ad accettare il passaporto palestinese. Lui, però, si schermisce: «Sono molto onorato, ma quello che riceverò non lo giudico un premio per la pace. Piuttosto un premio contro l´ignoranza e per il coraggio di dire la verità».
Maestro, perché trova esagerata la definizione di "uomo di pace"?
«Perché io non lavoro per la pace, non è falsa modestia. C´è bisogno di altri strumenti, che non ho a disposizione. Io voglio solo far capire che, in Medio Oriente, si sta percorrendo una strada falsa. È come se un medico curasse il paziente per una malattia collaterale, non per quella principale».
E dove sta la verità?
«Il conflitto tra israeliani e palestinesi non è politico, e nemmeno militare. Una guerra può scoppiare tra due nazioni che si contendono l´acqua, il petrolio: si combatte, poi finisce e basta. Questo, invece, è un conflitto umano tra due popoli che dura da decenni. Due popoli che sono certi di avere un diritto storico, filosofico, esistenziale, di vivere sulla stessa terra. Per questo motivo la soluzione non può essere militare: ebrei e palestinesi sono condannati a vivere insieme, inestricabilmente».
Cosa dovrebbe succedere perché cessino le ostilità?
«Entrambe le parti devono riconoscere di aver sbagliato, e non incolparsi a vicenda. Israele deve avere il coraggio di aiutare il popolo palestinese, condannato a vivere in baraccopoli e ad accettare standard inferiori di educazione e assistenza medica, invece di ricevere dalle forze di occupazione condizioni di vita decorose. I palestinesi devono capire che la violenza è inaccettabile, anche se la considerano una reazione contro l´occupazione. Anch´io sono contro l´occupazione, ma penso che dovrebbero optare per una forma di resistenza non violenta: usare tutti i mezzi possibili (dimostrazioni, proteste), ma non uccidere donne e bambini. Purtroppo non c´è nessun partito, né israeliano né palestinese, che la pensa come me».
Tornando alla musica: non crede che possa fare qualcosa per la pace?
«La musica non può cambiare il mondo, però è la dimostrazione che una convivenza è possibile, e può aiutare a capire il mondo. In un dialogo tra due persone, si aspetta che l´altro abbia finito di parlare prima di rispondere. In musica due voci dialogano nello stesso tempo, ognuna si esprime nella forma più piena e contemporaneamente ascolta l´altra. Ecco, i politici dovrebbero imparare dalla musica. Quello che dovrebbero fare in Israele è dar spazio agli interessi veri dei cittadini, anche dei palestinesi, coinvolgendoli in comuni progetti culturali, scientifici, artistici».
Lei ha detto di riporre speranza in Barack Obama, che ora però difende la politica di Israele.
«Se sarà eletto, avrà una chance di cambiare la politica estera americana. Barack deve riuscire a influenzare il Barak israeliano. Israele dimostra di non avere una visione lungimirante quando si appoggia esclusivamente sugli Stati Uniti per la sua sicurezza. L´egemonia dell´America sta diminuendo. Tra trent´anni conteranno di più Pechino e New Delhi. E non capisco nemmeno la lobby ebraica americana: se hanno tanto a cuore Israele, perché non vanno a viverci? Oppure, perché non lavorano per influenzare il governo degli Stati Uniti?».
Le sue opinioni sono note: ha l´impressione che cadano nel vuoto o che vengano ascoltate?
«Non ho la pretesa di influenzare i governanti: il dovere di un intellettuale è dire quello che pensa. Il politico ha il compito di cercare il compromesso, l´artista no. E io preferisco non avere il potere, per potermi esprimere con sincerità. Parlo soltanto per necessità interiore, perché questa situazione mi fa male, ogni giorno di più».
Al termine dei concerti che fa in giro per il mondo, c´è chi le esprime solidarietà?
«In tanti vengono in camerino e mi dicono: sono d´accordo con lei. Dalle persone comuni ai politici. Ad esempio, sono molto in sintonia con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ho l´appoggio di Kofi Annan, di Zapatero e del precedente premier spagnolo Gonzales, di cui sono amico personale. Angela Merkel mi scrive spesso, ora ha dato il patrocinio a un concerto della Divan a Berlino. Sono in contatto con intellettuali e scrittori israeliani. David Grossman verrà a stare due giorni con l´Orchestra Divan. Però ricevo anche lettere terribili, in cui mi accusano di essere un traditore, senza altre argomentazioni».
Cosa pensa della richiesta del capo della comunità ebraica tedesca di ripubblicare Mein Kampf, il manifesto politico- ideologico di Hitler?
«È un libro spaventoso, ma l´essere umano ha un grande difetto: attribuire la responsabilità e la colpa agli oggetti, invece di prenderla su di sé. Un coltello non ha una moralità. È uno strumento con cui posso uccidere, ma anche tagliare il pane e darlo a chi ne ha bisogno. La conoscenza può essere solo positiva, non bisogna averne paura. È giusto farlo leggere ai giovani perché non prendano sul serio l´assurdità e la crudeltà di quelle parole»

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