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La Stampa Rassegna Stampa
16.06.2008 Pistacchi dall'Iran, o dalla Turchia ? Polemica Usa-Israele
la cronaca di Aldo Baquis

Testata: La Stampa
Data: 16 giugno 2008
Pagina: 14
Autore: Aldo Baquis
Titolo: «Usa contro Israele Stop ai pistacchi»
Da La STAMPA del 16 giugno 2008:

Ci sono collusioni fra Israele e Iran, e ad andarci di mezzo è l’economia statunitense: il boicottaggio nei confronti di Teheran viene sistematicamente ignorato da società israeliane che ogni anno inoltrano in Iran quantità significative di valuta straniera. E il governo di Gerusalemme finge di ignorare il fenomeno. Per questo, dieci giorni fa, l'ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Richard Jones, ha preso carta e penna e ha scritto una lettera al primo ministro Ehud Olmert e al suo ministro delle Finanze Ronnie Bar-On, dicendosi «molto turbato» dalla vicenda. Un «understatement» diplomatico, che serve solo a coprire l’irritazione.
Il motivo del contrasto sta nelle massicce importazioni in Israele di pistacchi. Per impedire che in qualcuno l'argomento potesse destare ilarità, l'ambasciatore Jones non ha lasciato dubbi: per Washington, ha scritto, si tratta di una «faccenda importante». Tramite una triangolazione con la Turchia, ogni anno entrano in Israele pistacchi iraniani per quasi venti milioni di dollari. E questo non solo fornisce all’odiata Teheran di che finanziare i peggiori nemici di Tel Aviv, i pasdaran. Danneggia pure l’export americano, dato che anche gli Stati Uniti producono pistacchi e li spedirebbero volentieri a Gerusalemme. Lo Stato ebraico dunque viola sia il trattato di libero scambio tra i due Paesi sia il suo stesso divieto di commerciare con Paesi nemici.
La lettera dell’ambasciatore rischiava di restare sepolta in qualche archivio, ma per vie traverse è arrivata anche sul tavolo di lavoro di un noto commentatore del quotidiano «Yediot Ahronot». E il caso è scoppiato. Adesso Washington vuole la verità sulla provenienza delle enormi quantità di pistacchi consumati dagli israeliani che, rispetto alla media mondiale, sono voracissimi divoratori. Pare che al mondo non esista altro popolo altrettanto vorace.
Prima dell’insolita sfuriata, Jones ha studiato il problema. Ha dunque appreso che i principali produttori di pistacchio sono la California, la Turchia e l'Iran. Gli esperti Usa gli hanno quindi riferito che è molto dubbia la tesi di Tel Aviv secondo cui l’83 per cento dei pistacchi piluccati dagli israeliani provengono dalla Turchia, perché quel Paese consuma quasi tutto il proprio prodotto interno e ne esporta solo una minima parte nell’Unione Europea e negli Stati Uniti.
«I dati fanno concludere in maniera abbastanza solida - sostiene Jones - che quasi tutti i pistacchi che entrano in Israele, se non proprio tutti, provengono dall'Iran e sono importati illegalmente». Con buona pace, aggiunge con amarezza, delle leggi dello stesso Israele che vietano il commercio con Paesi nemici.
Malgrado l'alto livello di irritazione, Jones si è permesso anche una staffilata beffarda. Washington, com’è sua tradizione, desidera anche in questo frangente venire paternamente in aiuto di Israele. E allora il diplomatico ha pensato di elargire corsi avanzati di aggiornamento professionale ai funzionari delle dogane israeliane, in modo - ha sottinteso - che riescano finalmente a distinguere l'Iran dalla Turchia.
A livello politico, la sfuriata americana non ha avuto eco fra i dirigenti israeliani. «Yediot Ahronot» si limita a osservare che proprio questo mese sui mercati israeliani i pistacchi stanno andando a ruba, rastrellati dai tifosi di calcio ipnotizzati dai campionati di calcio europei. In tono faceto il giornale fa loro presente che quella debolezza giova al regime di Mahmud Ahmadinejad. «Con ogni pistacchio che mangiamo - conclude - aiutiamo l'Iran a fare un passo ulteriore verso le armi nucleari».

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