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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.06.2008 Sergio Romano sul Libano,seconda puntata
nella quale si riconferma come novello Chamberlain

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 giugno 2008
Pagina: 15
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Il doppio volto di Hezbollah e il rebus libanese»

Seconda puntata del reportage di Sergio Romano sul CORRIERE della SERA di oggi, 14/06/2008, a pag.15, dal titolo " Il doppio volto di Hezbollah e il rebus libanese ". Nel quale troviamo puntulamente riconfermate le valutazioni di Romano sul movimento terrorista, divenuto nel frattempo arbitro della situazione libanese. Basta leggere il primo capoverso per rendersene conto. Romano poi rimprovera gli Stati Uniti, perchè non si accorgono che Hezbollah è tante cose insieme. Concede, bontà sua Romano, che è sì anche terrorista, ma insieme ha altre facce. E' persino un < movimento di guerriglia che ha punzecchiato Israele per molti anni e gli ha tenuto testa durante l'estate 2006 >, proprio così, < punzecchiato >. Come se compiere atti terroristici sia punzecchiare, come se rapire soldati in territorio altrui, ucciderne, e lanciare per due mesi razzi su tutto il nord di Israele, siano da classificarsi < punzecchiature >. L'ultima riga dei suoi ripugnanti ragionamenti è in linea con il suo pensiero. <Parlare con Hezbollah, dopo quanto è accaduto nelle scorse settimane, può essere, oltre che necessario, utile.> . Eccolo, il novello Chamberlain, con Hitler si deve trattare, si può addirittura firmare un trattato di pace, avanti anche con Ahmadinejad, Hamas arriva subito dopo. Peccato che l'ex ambasciatore non ci dica quali devono essere le condizioni e quali le garanzie. Romano terminò la sua carriera diplomatica mentre era ambasciatore a Mosca, quando diede con grande clamore le dimissioni. Si trovava a Mosca in visita ufficiale Ciriaco De Mita, il quale gli chiese di accompagnare la < sua signora > a fare dello shopping in città. A farle da guida, in pratica. Questo fece indignare Romano, che rassegnò il mandato. Chissà, forse l' < intellettuale della Magna Grecia > - come lo definiva l'Avvocato Agnelli - aveva visto giusto nell'affidargli il compito di < Chaperon > per la sua gentile signora. Peccato, con quella richiesta, abbiamo avuto un diplomatico in meno (poco male), ma abbiamo acquistato un analista politico in più (molto male). Ecco l'articolo:

BEIRUT — È probabile che il compiacimento con cui il Dipartimento di Stato ha commentato l'accordo raggiunto dalle fazioni libanesi a Doha, nel Qatar, nasconda un certo disappunto. L'America ha sostenuto il governo di Fouad Siniora quando era assediato nel Serraglio (il grande Cremlino Ottomano costruito nella seconda metà dell'Ottocento) dalla tendopoli dei militanti di Hezbollah. E ha approvato l'apparente fermezza con cui Siniora ha cercato di togliere alla maggiore organizzazione sciita due formidabili strumenti di potere: la proprietà di una grande società delle telecomunicazioni e il controllo della sicurezza nell'aeroporto di Beirut. Non può piacerle quindi che un'«organizzazione terroristica» (come Hezbollah viene abitualmente definita a Washington) divenga il partner indispensabile della maggioranza anti-siriana e partecipi al governo con un diritto di veto sulle questioni di maggiore importanza.
Ma gli Stati Uniti farebbero bene a ricordare che il terrorismo è soltanto uno dei volti dell'organizzazione. Hezbollah può essere contemporaneamente molte cose. È un esercito composto da circa 40.000 miliziani che tengono il kalashnikov sotto il letto come un riservista svizzero terrebbe il fucile nell'armadio, e rispondono all'appello di un sms con la rapidità di un pompiere. È un movimento di guerriglia che ha punzecchiato Israele per parecchi anni e gli ha tenuto testa durante l'estate del 2006. Ha un vertice in buona parte segreto e un leader carismatico (Hassan Nasrallah) che parla a folle adoranti da un rifugio segreto mentre raffinate tecnologie proiettano la sua immagine su un grande schermo. È il maggiore alleato della Siria nella società libanese. È la longa manus dell'Iran nella regione. Ed è infine, grazie ai generosi finanziamenti iraniani, una specie di elementare «welfare state». Le ragioni della sua popolarità sono in buona parte dovute alla prontezza e all'efficienza con cui può colmare, a favore della comunità sciita, i vuoti dell'assistenza statale. Fu Hezbollah che aiutò gli abitanti dei quartieri distrutti, dopo l'estate del 2006, con generosi sussidi. Di questo stile assistenziale, con una forte coloratura religiosa, ho avuto una dimostrazione durante una visita a Baalbek, il grande sito archeologico dove sorgono le bellissime rovine di due dei più grandi templi dell'antichità romana. Baalbek è nella valle della Bekaa, a meno di due ore da Beirut, in una zona prevalentemente sciita che i francesi tolsero alla Siria e dettero al Libano nel 1920. Il governo di Parigi lo fece per compiacere i suoi alleati cristiani e allargare i confini del suo pupillo favorito, ma gettò in tal modo i semi dei mutamenti demografici che avrebbero progressivamente alterato gli equilibri religiosi del Paese. In Europa Baalbek ebbe grande notorietà degli anni Cinquanta e Sessanta per il suo festival e per i fastosi spettacoli ambientati fra le colonne dei templi di Giove e di Bacco.
Era il più felice periodo della storia libanese, quello in cui il Paese appariva al mondo come una sorta di fortunata sintesi fra la Svizzera e il principato di Monaco. Per molto tempo Baalbek visse soprattutto di un ricco turismo straniero che nutriva gli abitanti della piccola città e agli agricoltori del contado. Interrotto dalla guerra civile, il festival rinacque stentatamente negli anni Novanta ed è stato costretto a chiudere i battenti ancora una volta dalla guerra israeliana del 2006. Ma Hezbollah è corso ai ripari costruendo alle porte del Paese una vistosa moschea in stile iraniano, ricoperta dal blu profondo di migliaia di piastrelle. È dedicata a una bambina che non vide mai la vita. Nacque morta probabilmente nella vale della Bekaa, durante la fuga dalla Mesopotamia della madre, Zainab, dopo l'assassinio del nonno Ali e dello zio Hussein. Appartiene quindi alla dinastia dell'imam ucciso, al mito di Kerbala, al grande dramma della successione che divise l'Islam in due famiglie rivali: quella «usurpatrice » dei sunniti e quella «legittima» degli sciiti. Come i santuari intitolati al nome della madre, numerosi nel mondo musulmano, anche quello della figlia mai nata di Zainab attrae pellegrini da ogni parte dell'Islam. E il pellegrinaggio religioso, come dimostrano molte esperienze europee, da Lourdes a San Giovanni Rotondo, può essere una formidabile risorsa economica.
Se il denaro di Hezbollah proviene dall'Iran, le armi e i missili di cui dispone arrivano in Libano attraverso il territorio siriano o l'aeroporto di Beirut che il governo Siniora, per l'appunto aveva inutilmente cercato di sottrarre al controllo sciita. Tagliare il nodo che lega l'organizzazione a Damasco è difficile, ma non impossibile. Fra uno Stato laico, nazionalista e socialista, come la Siria, e un movimento nazional- religioso come Hezbollah, non esiste alcuna affinità ideologica. Il matrimonio fu stipulato per ragioni di convenienza e potrebbe essere sciolto, ad esempio, il giorno in cui la Siria si appagasse della restituzione delle Alture del Golan, materia di un negoziato avviato già da tempo con l'intermediazione della Turchia, e rinunciasse alla tentazione di trattare il Libano alla stregua di un protettorato. È alquanto diversa invece la natura delle relazioni fra Hezbollah e l'Iran degli ayatollah. Il movimento libanese fa parte della mezzaluna sciita, come la definì Abdullah re di Giordania, ed è legato da vincoli religiosi a un mondo che la rivoluzione iraniana degli ayatollah, per meglio difendersi dai suoi nemici, ha cercato di unificare. Vi sono fra i cristiani libanesi, tuttavia, personalità convinte che i gusti e le inclinazioni occidentali del Libano siano minacciati dai sunniti molto più che dagli sciiti. Il maggiore sostenitore di questa tesi è il generale Michel Aoun, capo di un partito cristiano (il Libero Movimento Patriottico ) che ha stretto un patto di alleanza con le due maggiori formazioni sciite: Hezbollah e Amal.
Aoun è il personaggio più sorprendente e controverso della recente storia libanese. Alla fine degli anni Ottanta, come capo delle forze armate e per un breve periodo primo ministro, combatteva i siriani e i loro alleati nelle vie di Beirut. Sconfitto, si rifugiò nell'ambasciata di Francia e raggiunse Parigi dove rimase in esilio sino al maggio del 2005. Quando tornò in patria, tre anni fa, molti, pensavano che sarebbe entrato nel blocco anti-siriano dei sunniti di Saad Hariri e dei due maggiori partiti cristiani, quello di Amin Gemayel e quello di Samir Geagea. Ma ecco che l'imprevedibile Aoun, rovescia le sue vecchie posizioni ed entra trionfalmente nel campo di Hezbollah. L'ho incontrato nella sua villa di Beirut, immersa nel verde di un piccolo parco e guardata a vista dai suoi miliziani. Quando gli chiedo perché un generale cristiano sia oggi alleato di un movimento fondamentalista e terrorista, Aoun mi risponde che Hezbollah non è terrorista e neppure fondamentalista. I veri fondamentalisti — sostiene — sono i sunniti dell'Arabia Saudita, dominati da una lettura strettamente letterale del Corano. Lo sa, mi dice, che gli aerei di Swissair potevano sorvolare il territorio saudita soltanto durante la notte perché nessuno potesse vedere la croce elvetica dipinta sulle loro ali? Gli sciiti invece sono più liberi e duttili, più disposti ad adattare i precetti del Corano alle esigenze della modernità. Quando gli ricordo la condizione della donna nello Stato iraniano, Aoun risponde che quello è uno Stato per i persiani, non per gli arabi, e aggiunge: ciò che va bene per l'Iran non va bene per il Libano. Può darsi che in queste parole vi siano le personali ambizioni di un uomo politico spregiudicato che ancora puntava, qualche settimana fa, alla presidenza della Repubblica. Ma non è sbagliato sostenere che gli sciiti siano stati in molte circostanze, più flessibili e pragmatici dei sunniti.
Il problema comunque è molto più politico che teologico. Piuttosto che lasciarsi coinvolgere in dispute religiose, l'Europa, presente in Libano con alcune migliaia di soldati, dovrebbe lavorare a rendere meno stretti i rapporti speciali di Hezbollah con la Siria e l'Iran. Dovrebbe essere l'Unione Europea, non la Siria o l'Iran, il miglior tutore del Libano e il più efficace garante della sua stabilità. Parlare con Hezbollah, dopo quanto è accaduto nelle scorse settimane, può essere, oltre che necessario, utile.
( 2/continua)

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