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Informazione Corretta Rassegna Stampa
13.06.2008 1938: le mine su cui ha finito per saltare l’Europa, di Luciano Tas
quarta e ultima puntata

Testata: Informazione Corretta
Data: 13 giugno 2008
Pagina: 0
Autore: Luciano Tas
Titolo: «1938: le mine su cui ha finito per saltare l’Europa»

Ecco dunque chi è di "razza ebraica" per il Gran Consiglio:

a)... chi "nasce da genitori entrambi ebrei"; b).... chi "nasce da pa­dre ebreo e da madre di nazionalità straniera"; c) chi "pur essendo nato da un matrimonio misto professa la religione ebraica"...

Altra curiosità è la conclusione della dichiarazione del Gran Consiglio dove dice che "il complesso dei problemi razziali ha susci­tato un interesse eccezionale nel popolo italiano". Ma se nelle prime righe aveva ritenuto urgente acquisire una "coscienza razziale"...

Il 17 novembre infine in un decreto-legge si sanciscono tutti i “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”, con tutte le “Disposizioni transitorie e finali”, chi doveva essere considerato ebreo e chi no e quello che  i  cittadini italiani di  razza ebraica” non potevano fare: una lunga lista di strettamente “verboten”.

Una appendice  il 29 giugno del 1939 un’altra legge specifica che i “cittadini di razza ebraica” non possono più essere “giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale” nonché “notaro”.

 Non è chiaro ora, 1938, e non lo sarà completamente nei decenni a venire, qual è il motivo che ha spinto Mussolini a imporre una legislazione persecutoria contro gli ebrei

Resta aperta la domanda: ma perché Mussolini ha deciso di imporre delle leggi razziste a un paese che nella sua lunga storia era stato attraversato da mille eserciti e acquisito mille contributi etnici?

Secondo lo storico Renzo De Felice, il più attento studioso del fasci­smo e autore di una esauriente "Storia degli ebrei italiani sotto il fa­scismo", una delle motivazioni che avrebbero spinto Mussolini a dar vita in Italia a una legislazione razzista, sarebbe stato il comporta­mento delle truppe italiane nell'Etiopia appena conquistata ("contegno pessimo da parte dei nazionali civili e militari nei ri­guardi delle donne indigene", notavano gli osservatori fascisti), che secondo il Duce avrebbe compromesso la dignità "imperiale" dell'I­talia fascista.

Il razzismo "classico", quello diretto contro persone comunque "di­verse" per colore della pelle e cultura, è suscettibile di manifestarsi più facilmente e in modo purulento quando il numero dei "diversi" è superiore a quello dei "non diversi", nella fattispecie etiopica  gli italiani "bianchi".

Sarebbe stata questa la base, certamente pretestuosa, per scate­nare una campagna razzista che nei fatti è essenzialmente antie­braica.

A questa campagna antiebraica non si oppone il re. A Italo Balbo che ai primi del 1938 chiede a Vittorio Emanuele III che cosa ci sia di vero nelle voci di una imminente campagna legislativa con­tro gli ebrei, il re - è sempre De Felice che lo riferisce - avrebbe ri­sposto che gli ebrei "durante la guerra d'Africa si sono schierati in America, in Inghilterra, in Francia, contro di noi con un'acredine da non dire... Mussolini se l'è legato al dito questo atteggiamento ostile" e aggiunge De Felice, proponendo così un terzo motivo dell'immi­nente campagna antiebraica, il fatto che "Mussolini è poi geloso che l'antisemitismo tedesco sia tanto piaciuto alle nazioni arabe del Levante mediterraneo".

Il motivo principale dell'imprevista e imprevedibile mossa di Mussolini contro gli ebrei sarebbe però il desiderio di compiacere l'alleato tede­sco e la necessità di omologare la politica interna italiana a quella tedesca. Necessità che non sembra tuttavia avere sentito la Finlandia, che rifiutò di applicare misure contro gli ebrei malgrado fosse alleata di Hitler.

Sia o non sia vera l'ipotesi primaria di adeguare la politica italiana a quella tedesca anche nel campo razzista, resta un problema aperto. Altri storici, come l'israeliano Meir Michaelis, azzardano al­tre ipotesi.

E per questo citano il discorso pronunciato da Mussolini al Consiglio nazionale del PNF il 25 ottobre 1938.

Primo. Dice Mussolini, con approssimazione sociologica: "Alla fine dell'anno XVI ho individuato un nemico, un nemico del nostro re­gime. Questo nemico ha nome ".

Qui palesemente Mussolini confonde quella parte della società in­dicata come "borghesia" - "colletti bianchi", liberi professionisti, commercianti e così via - cioè la classe borghese, con l'espressione spregiativa "borghese" indirizzata ai (troppo) benpensanti, o, come amavano chiamarli i fascisti, "panciafichisti".

E' una confusione grave per un uomo che da solo regge e deter­mina i destini di una nazione.

Né sembra di altissimo livello quanto afferma subito dopo: "Quando, alcuni anni fa, mi occupavo di questa faccenda e tentavo, invano, di raddrizzare le gambe ai cani, io dicevo: fate una distin­zione nettissima fra capitalismo e borghesia".

Perché, dice, la borghesia è "una categoria morale, è uno stato d'animo, è un temperamento. E' una mentalità nettissimamente refrattaria alla mentalità fascista".

Poi sembra addirittura farneticare quando accenna alla gioia del borghese di vedere, assistendo al film "Maria Waleska", Napoleone che si rade. Perché, dice il borghese secondo Mussolini: "Vedete, è uguale a me" e natu­ralmente ne gode.

Attenzione ora. Dice Mussolini: "Vediamo un po' cosa è successo nel sedicesimo anno del regime.E' successo un fatto di grandissima importanza. Abbiamo dato dei poderosi cazzotti nello stomaco a questa borghesia italiana".

E specifica: "Il primo cazzotto è stato il passo romano di parata. Il popolo adesso lo adora. Ma la borghesia lo ha detestato". Se queste sono le realizzazioni del regime ci sono parecchie domande da porsi.

Ancora. "Altro piccolo cazzotto: l'abolizione del ".

E infine: "Altro cazzotto nello stomaco è stata la questione razziale. Io ho parlato di razza ariana nel 1921, e poi sempre di razza. Una o due volte sole di stirpe, evidentemente alludendo alla razza (...) Il problema razziale è per me una conquista importantissima... i ro­mani antichi erano razzisti fino all'inverosimile (...) Bisogna mettersi in mente che noi non siamo camiti, che non siamo semiti, che non siamo mongoli. E allora, se non siamo nessuna di queste razze, siamo evidentemente ariani e siamo venuti dalle Alpi, dal nord. Quindi siamo ariani di tipo mediterraneo, puri".

Deduzioni davvero singolari, anche se un po' meno che scientifi­che.

Ma è la teoria del "cazzotto nello stomaco" quella che ha intrigato alcuni storici. Mussolini, secondo una ipotesi più psicologica che politica, avrebbe voluto trasformare gli italiani in quei guerrieri spietati e vincenti che, almeno dopo le vicende imperiali dell'antica Roma, non sono mai stati.

 Per cambiare gli italiani (dirà più tardi, sconfitto e rassegnato, che "governare gli italiani non è difficile, è inutile") deve perciò ad un tempo indurirli e "comprometterli" con qualcosa di più del "voi" al posto del "lei" e del passo romano. E' rendendoli partecipi e complici di una viltà e di una infamia come quelle rappresentate della perse­cuzione contro la minuscola minoranza ebraica, che Mussolini spera di temprarli.

 L'ipotesi non è da scartare, visto che Hitler non sembra avere mai, direttamente o indirettamente, sollecitato Mussolini a imitarne le leggi razziste. Quando queste furono poi di fatto ema­nate, certo Hitler non ebbe a dispiacersi, ma ne sarebbe stato del tutto estraneo.

 Monaco '38 resterà per sempre un simbolo di viltà per il cedimento di Francia e Gran Bretagna alle pretese piratesche di Hitler: la Cecoslovacchia è venduta e Mussolini, nel suo doppio ruolo di comparsa e di complice, finge di aver salvato la pace mentre si afferma che gli ebrei sono "sinistramente attivi ai danni della civiltà"

1938. Premono gli eventi. A Praga, osserva un quotidiano, "si parla con delittuosa leggerezza dell'eventualità di un conflitto ar­mato, insinuando che il Reich mira appunto a risolvere con le armi il problema dei Sudeti". Ma quale assurdità, che insinuazioni perverse.

Nei ritagli di tempo i giornali trovano il modo di occuparsi della Palestina. Il corteggiamento del mondo arabo è ormai aperto. Gli amorosi sensi sono pienamente ricambiati, tanto da indurre il Gran Muftì di Gerusalemme a recarsi in visita a Berlino, dove prepara le basi per inviare in Germania, quando scoppierà la guerra, una divisione islamica di SS.

E si torna in un crescendo che non annuncia niente di buono, alla Cecoslovacchia, accusata di "vilipendio organizzato del popolo tede­sco e dei suoi Capi", dove "Capi" è scritto maiuscolo.

Ma Praga ha capito quali sono le vere intenzioni di Hitler e si dice improvvisamente pronta a trattare e a fare ampie concessioni per quanto riguarda i "territori occupati" dei Sudeti e i loro abitanti te­deschi.

Hitler però non vuole "liberare" i Sudeti, vuole la Cecoslovacchia tutta intera.

Praga lo ha capito, Mussolini no. Tanto è vero che il Minculpop, sempre fulmineo nel fornire ai giornali le "veline", cioè gli ordini circa le notizie da pubblicare, i commenti da fare, lo spazio da ac­cordare e il numero di pagina e la posizione di collocamento, questa volta è interdetto, perché è interdetto Mussolini.

Così i quotidiani, liberati per qualche giorno dai condizionamenti del regime, si lasciano andare all'equivalente stampato di un respiro di sollievo. Il conciliante atteggiamento cèco è apprezzato e conside­rato positivo.

Niente di tutto questo. Hitler è furioso perché viene tolto anche il minimo pretesto alla sua sete di conquista.

I mezzi d'informazione, ma tutta l'Italia, regime in testa, reste­ranno scavalcati dagli avvenimenti, che Mussolini invece ostenterà di controllare e di determinare.

Ma questo patetico inganno verrà rivelato con crudezza il 29 set­tembre a Monaco quando, complici l'ottusa viltà di Francia e Gran Bretagna, l'ottusa speranza dell'Unione Sovietica di fare azzannare tra loro nazisti e capitalisti e l'altrettanto ottusa ambizione di Mussolini che insensatamente ritiene di avere svolto il ruolo dell'arbitro mondiale, le spoglie della Cecoslovacchia incomince­ranno ad essere divise tra Germania, Ungheria e Polonia, la quale ancora non sa di essere la prossima vittima.

La notte dei cristalli

In piena campagna antiebraica del fascismo italiano, ecco prodursi in Europa, in Germania, un altro tornante della Storia.

Il 7 novembre 1938 un giovanissimo studente ebreo polacco, Herschen Grynszpan, i cui genitori sono stati appena espulsi dalla Germania, dove risiedevano stabilmente, per essere scaraventati nell'originaria Polonia (che non li vuole, e sarà un grottesco, tragico tira e molla per migliaia di ebrei tra autorità confinarie polacche e tedesche) depredati di ogni loro bene, il giovane Herschen, che studia a Parigi, spara al terzo segretario dell'Ambasciata tedesca in Francia, Ernst Vom Rath, che muore nel pomeriggio del 9.

Il pericolo di una feroce rappresaglia nazista è bene avvertito dalle comunità ebraiche francesi e inglesi, i cui governo sono sollecitati a intervenire presso quelle tedesco per evitare il peggio.

Rifiuteranno ogni intervento e i nuovi padronti della Germania potranno così organizzare un gigatesco, spettacolare pogrom in tutto il paese e nell'Austria da poco annessa.

Tra la sera del 9 novembre e il giorno seguente, in tutte le città grandi e piccole di Germania e d'Austria viene organizzata una minuziosa caccia agli ebrei ed alle proprietà ebraiche. I negozi appartenenti a ebrei sono presi d'assalto e saccheggiati, dopo che le vetrine sono state ovunque spaccate (da qui il nome dato più tardi alla Aktion e passato alla Storia: Kristallnacht, la notte dei cristalli).

30.000 ebrei vengono arrestati in Germania e 8.000 in Austria, 36 sono uccisi, 36 gravemente feriti, centinaia quelli che preferiscono curarsi le ferite fuori dagli ospedali. 815 negozi e 29 magazzini sono distrutti e dati alle fiamme, così come 171 appartamenti. Vengono incendiate 191 sinagoghe e 76 rase al suolo.

L'11 novembre il governo nazista impone alla comunità ebraica tedesca una multa di un miliardo di marchi, poi confisca i risarcimenti delle compagnie assicuratrici.

La "notte dei cristalli" accelera la fuga degli ebrei dalla Germania, ma le porte dei paesi democratici sono progressivamente chiuse: è nello stesso 1938 che a Evian un grande incontro internazionale sancisce la decisione comune di non accogliere più profughi ebrei dalla Germania: 250.000 ebrei tedeschi restano così in trappola.

Il 9 novembre 1938 segna il passaggio tra la politica antiebraica e il genocidio, di cui la note dei cristalli costituisce l'incipit.

Di fronte alle misure che in Italia risospingono gli ebrei nel ghetto dal quale erano usciti appena sessantotto anni prima, il paese è perplesso e forse s'interroga, ma in silenzio

L'immagine della Germania e della ferrea dittatura di Hitler pro­vocano in Mussolini insofferenza e invidia. Insofferenza perché Hitler non deve rendere conto a nessuno di quello che fa, mentre lui, Mussolini, bene o male ha sempre il re sopra la sua testa e si sente impastoiato. Invidia perché ha visto l'ordine, la disciplina, la preparazione del­l'esercito tedesco e l'immagine di forza che ne scaturisce.

Come prendono gli italiani la legislazione contro gli ebrei? Qualcuno che pensa o sussurra "poveracci" è subito individuato.

"Bisogna reagire - dice allora Mussolini al Consiglio Nazionale del PNF del 25 ottobre 1938 - contro il pietismo del povero ebreo. . Con questi sistemi non si affronta mai un problema di carattere generale...".

Già, che cosa avranno fatto mai di male questi ebrei insediati in Italia da cinque, da dieci, persino da ventidue secoli e quindi non meno italiani di quelli "venuti dalle Alpi" (o dal sud, o da est, o da ovest) magari qualche secolo dopo gli ebrei?

Il punto però non è di questo tipo. Mussolini salta con disinvoltura dalla questione razziale alla politica.

Per lui infatti "non v'è dubbio che l'ebraismo mondiale è stato contro il fascismo, non v'è dubbio che durante le sanzioni tutte le manovre furono tracciate dagli ebrei, non v'è dubbio che nel 1924 i manifesti antifascisti erano costellati di nomi ebrei, non v'è dubbio che erano non quarantatremila ma settantamila!".

Ma quanti sono gli ebrei in Italia nel 1938 e quale grande pericolo possono portare agli altri quarantaquattro milioni di ita­liani?

Nel censimento che viene effettuato in quell'anno e dove obbliga­toriamente i cittadini devono indicare la loro religione e la loro "razza", risulta che vi siano nel nostro paese 39.000 ebrei, raggrup­pati in 11.500 nuclei famigliari.

Di questi 39.000 ebrei, 10.000 hanno meno di 15 anni e 6.000 sono oltre i 65.

Gli ebrei "pericolosi" sarebbero quindi solo 23.000.

Da questi 23.000 si possono presumibilmente sottrarre anche quegli ebrei che hanno contratto matrimonio misto, per cui difficil­mente potrebbero voler ledere i buoni cattolici. I matrimoni misti sono 6.820 (4.000 ebrei sposati con donne "ariane" e 2.820 donne ebree sposate con "ariani"), per cui i "pericolosi" restano poco più di 16.000.

Che fanno questi ebrei?

Si contano 4.350 artigiani, 5.200 professionisti, 1.000 industriali, 4.200 impiegati, 1.450 commercianti, 700 operai, 220 agricoltori.

150 ebrei sono ufficiali superiori delle varie armi in servizio per­manente effettivo e 250 ricoprono gradi elevati nell'Amministra­zione dello Stato. Tutti fuori, naturalmente, per metterli in condi­zione di non nuocere.

C'è qualche malcontento tra la popolazione, rileva in un suo rap­porto a Mussolini il Sottosegretario di Stato Buffarini Guidi. Si tratta però di un malcontento di genere diverso dal "pietismo" condannato da Mussolini.

Tale malcontento "è diffuso tra gli ariani per il fatto che nell'at­tuale emergenza gli ebrei esonerati dal servizio militare sono ri­masti alle loro speculazioni ed alcuni elementi ebraici si sono fatti troppo notare nelle località di soggiorno per divertimento".

Un certo deprecabile pietismo nei confronti degli ebrei tuttavia è sentito, dice Buffarini Guidi, anche in ambienti fascisti, perché gli ebrei"appartenenti alle categorie degli impie­gati, modesti professionisti, operai, artigiani e venditori ambulanti ecc., che vivevano solo del ricavato del loro lavoro giornaliero, sono stati messi in condizione di non potersi procacciare il fabbisogno per la vita quotidiana delle loro famiglie".

Mussolini interverrà più volte in poche settimane per convincere (e forse anche per convincersi) che la sua politica nei confronti degli ebrei è giusta, persino sacrosanta. E afferma che "anche nella que­stione della razza noi tireremo diritto".

A Rocca delle Caminate, di fronte a ignari e attoniti avanguardisti in campeggio, Mussolini sente poi il bisogno di ribadire l'originalità assoluta del suo pensiero razzista: "Dire che il fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa è semplicemente assurdo". Ma evita di spiegare perché è così assurdo, visto che Hitler lo ha preceduto di cinque anni e gli ha additato il cammino.

Queste parole del Duce sollevano, chissà perché, "gli entusiastici commenti ungheresi", come scrive un quotidiano romano. In Ungheria "il nome del Duce è diventato ormai un concetto incon­fondibile come quello dei geni che di tempo in tempo brillano nei cieli della storia". Forse la gratitudine per questi sentimenti unghe­resi determina la scelta di tanti produttori e registi italiani, di am­bientare in Ungheria molti film, specie quelli detti dei "telefoni bianchi".

Curioso che mentre infuria la campagna contro gli ebrei, qualche giornale affermi: "Non si dica che si va verso l'antisemitismo". Ma chi lo penserebbe mai.

Ma la gente, tra le notizie dalla Cecoslovacchia, che ora incomin­ciano a creare qualche preoccupazione, e la campagna della stampa e della radio a sostegno delle leggi contro gli ebrei, continua la sua vita. Lavora, guadagna generalmente poco mentre sale il costo della vita, e un po' si diverte, anche se questo non è visto di buon occhio dal regime che vorrebbe gli italiani sempre più duri.

E gli italiani continuano ad andare al cinema, dove danno "Il pic­colo lord Fauntleroy" con il piccolo e bravo Freddie Bartolomew, "San Francisco", che vede insieme Clark Gable, ormai arruolato a vita tra i simpatici mascalzoni che però alla fine si ravvedono, Spencer Tracy e l'ugola d'oro Jeanette Mac Donald. E poi "L'impareggiabile Godfrey" con William Powell.

Evasioni dalla realtà. Evasioni di cui le persone sembrano avere più bisogno di prima. Così si canta una improbabile "Campagnola bella", un vagamente surreale "E' arrivato l'ambasciatore" che con la sua "piuma sul cappello" mette in moto la caccia alle allusioni. E maggiori allusioni, questa volta nemmeno tanto celate, le porta "Maramao perché sei morto", che infatti verrà presto tolta dalla cir­colazione a causa di quell'allusivo "pane e vin non ti mancava".

Mussolini non vuole restare indietro a Hitler ed eccolo rivendicare Biserta, Tunisi, la Corsica

Se Mussolini ha finito per capire e subire (non sarà l'ultima volta) l'iniziativa pirate­sca di Hitler in Cecoslovacchia, ha però imparato la lezione. A bluff - perché tale è an­cora quello vincente tedesco - contrappone un suo bluff non altret­tanto fortunato.

 In una nota diplomatica del 17 novembre vengono "chiaramente stabiliti i problemi italiani nei confronti della Francia: problemi di carattere coloniale (che) si chiamano Tunisi, Gibuti, Canale di Suez".

Mussolini mette quindi le mani avanti. Non si sa mai. Probabilmente pensa che alla Germania potrebbe continuare ad andar bene come è andata finora, cioè appagare i suoi appetiti insaziabili senza pagare mai il conto.

Uno scoraggiato e titubante Premier britannico, Neville Chamberlain, torna in patria dall'incontro quadrangolare che ha sancito la brutale vendita della Cecoslovacchia a Hitler, vantando un "Peace in our time", pace nel nostro tempo, che non persade più nessuno e meno di tutti in Gran Bretagna il Primo Lord dell'Ammi­ragliato Winston Churchill.

La guerra, che tutti cercano di evitare a qualunque prezzo, finirà però per essere scatenata dall'ultima ribalderia di Hitler appena un anno dopo. Il bluff finirà per essere "visto" all'inizio di settembre del 1939, quando le truppe tedesche attaccheranno proditoriamente la Polonia. Ma non sarà più un bluff. Forse le carte in mano a Htiler continueranno a non essere altissime, militarmente parlando, ma francesi e inglesi non avranno proprio nulla. Fuori di metafora pokeristica, è la voglia di combattere, di "morire per Danzica" che manca agli alleati occidentali, mentre l'Unione Sovietica si spartisce il bottino.

Dalla guerra per ora Mussolini prudentemente si terrà fuori, proclamando tuttavia, con un gioco di parole di cui è maestro, non la "neutralità" dell'Ita­lia, dato che la neutralità è dei "borghesi", ma la molto più virile "non belligeranza".

Quando vedrà i clamorosi trionfi delle armi tedesche, l'impensa­bile crollo di una Francia, più forte in uomini e in mezzi della Germania nazista, ma corrosa dal di dentro dalla duplice e robusta quinta colonna fascista e comunista (l'URSS è stretta da un impre­vedibile,  innaturale patto di alleanza con la Germania che le consente di occupare mezza Polonia), Mussolini finirà per puntare sul cavallo sbagliato, aggiungendo al palmarès del regime l'infamia del "coup de poignard dans le dos", la pugnalata alla schiena alla Francia in ginocchio.

Di fronte alla tragica grandezza degli eventi, anche le leggi razziste imposte dal fascismo all'Italia, possono sembrare poca cosa perché apparentemente riguardano soltanto un italiano su mille, quasi un nulla, la popolazione di una cittadina minore.

 La ferita però non riguarda solo il piccolo nucleo ebraico, ma l'Italia tutta, se onore, giustizia, etica, sono ancora parole con un senso.

Agli ebrei vengono addebitate "talune solidarietà internazionali sinistramente attive ai danni della civiltà e nelle quali gli ebrei hanno spesso una parte preponderante".

Parole scritte in Italia un sabato 6 agosto 1938, anno XVI dell'Era Fascista.

Parole che rappresentano un contributo allo sterminio di un quarto degli ebrei italiani e di gran parte dell'ebraismo dell'Europa orientale.

Luciano Tas


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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