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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.06.2008 Ma Israele non vuole governare i palestinesi
vuole solo garanzie per la sua sicurezza: problema che Sergio Romano non prende in considerazione

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 giugno 2008
Pagina: 42
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Indignazione degli idealisti, prudenza dei conservatori»

Rispondendo a un lettore, Sergio Romano, sul CORRIERE della SERA, spiega perché non vede contraddizione tra il suo essere contrario sia a un "grande Kurdistan" indipendente sia al perdurare dell'"occupazione" israeliana dei territori "palestinesi":  "La prospettiva di un grande Kurdistan indipendente" scrive "mi sembra pericolosa perché potrebbe realizzarsi soltanto grazie al cambiamento dei confini di quattro Stati — Iraq, Turchia, Iran e Siria — dove vivono, complessivamente, alcuni milioni di curdi. E il prolungamento dell'occupazione israeliana di territori palestinesi mi sembra altrettanto pericoloso perché non credo che cinque milioni di ebrei possano continuare a governare cinque milioni di arabi senza provocare reazioni e resistenze che già ora minacciano gravemente la stabilità politica dell'intera regione.
Come vede, il giudizio, in ambedue i casi, non è fondato sui miei desideri e sulle mie convinzioni morali, ma sulle possibili conseguenze di un evento"
Contrariamente a quanto pensa Sergio Romano, Israele non vuole governare gli arabi nei territori occupati.
E' proprio Israele a volere fortemente la nascita di uno Stato palestinese.
I fatti lo confermano: Israele non ha mai annesso la Cisgiordania, né Gaza, dalla quale ora si è ritirata. Ha annesso il Golan (territorio che come Cisgiordania e Gaza è stato conquistato durante una guerra difensiva9, dove non si è trovata a governare cittadini siriani.
Naturalmente, Israele vuole delle garanzie per la sua sicurezza. Chi pretende di fondare i suoi giudizi sulla valutazione delle "conseguenze" degli eventi dovrebbe essere sensibile a queste preoccupazioni. Infatti, quali conseguenze avrebbe uno Stato palestinese terrorista, base di lancio per attacchi a Israele, e per un ennesimo tentativo di distruggere lo Stato ebraico ? Peccato che Romano non se lo chieda.

Ecco il testo completo:


Resto spesso basito di fronte a certe sue risposte tutte schierate in favore della ragion di Stato, anche quando sono in campo pesantissime violazioni dei diritti umani. Lei si è recentemente pronunciato contro la nascita del nuovo Stato del Kosovo, a favore della repressione russa in Cecenia («tutto bene in Cecenia», sic, nonostante milioni di morti e una città praticamente distrutta!), a favore della Cina contro il Tibet, la cui battaglia sarebbe «antimoderna».
A quest'ultimo riguardo vorrei citarle una frase del monaco in esilio Rimpoche Samdhong, pubblicata proprio sul Corriere il 3 maggio: «La Cina non è moderna. Modernizzazione significa democratizzazione. Significa rispetto dei diritti umani e una società aperta con diritti individuali. Nulla di tutto questo esiste oggi in Cina». L'unica eccezione lei l'ha fatta per il Kurdistan, solo perché sul suo diritto di esistere si erano pronunciati a suo tempo vari Stati dopo la caduta dell'Impero ottomano. Lei è uno strenuo difensore dello status quo: anche quando questo «status» dei vari Stati è basato su violenze, nefandezze e sapraffazioni intollerabili per ogni persona civile. Dimentica che la Storia, così come il diritto, sono in continuo movimento, così la nascita di nuovi Stati, che si spera non sia inevitabilmente affidata solo e sempre alle guerre (o alla caduta degli imperi). E che gli Stati, più e prima ancora che dai loro spesso indegni governanti, sono composti da milioni di persone, spesso vilipese, umiliate e sofferenti. Seguendo il suo ragionamento, ormai anche Israele avrebbe diritto a tenersi i territori sottratti ai palestinesi: giusto per «usucapione».
Giovanni Frigerio
gioveva@alice.it Caro Frigerio,
P
rima di rispondere alla sua domanda debbo fare qualche precisazione. Mi capita spesso di essere considerato favorevole o contrario a questa o a quella prospettiva politica semplicemente perché cerco di descrivere i fatti senza indignarmi, arrabbiarmi, scandalizzarmi, e cercando anzi di capire le ragioni dei contendenti. Comunque, a scanso di equivoci, debbo dirle che non sono né per la nascita di un grande Kurdistan indipendente né per il continuo dominio israeliano dei territori occupati. Sono due posizioni contraddittorie? Non credo. La prospettiva di un grande Kurdistan indipendente mi sembra pericolosa perché potrebbe realizzarsi soltanto grazie al cambiamento dei confini di quattro Stati — Iraq, Turchia, Iran e Siria — dove vivono, complessivamente, alcuni milioni di curdi. E il prolungamento dell'occupazione israeliana di territori palestinesi mi sembra altrettanto pericoloso perché non credo che cinque milioni di ebrei possano continuare a governare cinque milioni di arabi senza provocare reazioni e resistenze che già ora minacciano gravemente la stabilità politica dell'intera regione.
Come vede, il giudizio, in ambedue i casi, non è fondato sui miei desideri e sulle mie convinzioni morali, ma sulle possibili conseguenze di un evento. Posso commettere un errore, naturalmente, e prevedere sviluppi che non si verificheranno. Ma penso che l'osservatore delle vicende internazionali dovrebbe sempre chiedersi se alcune soluzioni apparentemente virtuose non siano destinate a provocare conflitti e lacerazioni, con un tragico seguito di vite perdute, città distrutte, popolazioni in fuga. È certamente vero che il realista finisce per essere conservatore e dare minore importanza ai fattori ideali. Ma credo che tutti, anche gli idealisti, debbano chiedersi quali potrebbero le conseguenze delle loro generose istanze umanitarie.
Ho riletto con interesse nella sua lettera le parole del monaco tibetano in esilio secondo cui la modernizzazione dovrebbe essere democratizzazione. Rispondo che molto dipende dalle condizioni del Paese, dalla sua consistenza demografica, dalla sua storia, dalla sua cultura, dalle sue condizioni economiche sociali. Dopo avere inutilmente tentato la strada della modernizzazione comunista, la dirigenza cinese ha scelto quella della modernizzazione capitalista. La formula di Den Xiaoping ha dato buoni risultati. Esiste ormai una borghesia cinese, forte di alcune centinaia di milioni di persone, che ha un livello di vita comparabile a quello delle borghesie occidentali. Esistono ceti sociali che stanno acquisendo, insieme alla prosperità, alcuni elementari diritti civili. Ma la crescita accelerata dell'economia ha avuto altri effetti. Ha esasperato il divario fra ricchi e poveri. Ha alterato vecchi equilibri ambientali. Ha creato criminalità e corruzione. Ha strappato i contadini alle campagne e li ha bruscamente inseriti nel clima ruvido e inospitale delle grandi città. Ha provocato la nascita di una popolazione di senza tetto che supera i cento milioni. Che cosa accadrebbe il giorno in cui a questa società in ebollizione venisse dato il diritto di formare partiti politici, condurre battaglie elettorali nello stile dell'Occidente, attaccare spregiudicatamente le pubbliche autorità? Siamo certi che questa improvvisa esplosione di libertà non avrebbe l'effetto di rompere l'unità nazionale, creare feudalità concorrenti e nuove lotte di classe?

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