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Informazione Corretta Rassegna Stampa
12.06.2008 1938: le mine su cui ha finito per saltare l’Europa, di Luciano Tas
terza puntata

Testata: Informazione Corretta
Data: 12 giugno 2008
Pagina: 1
Autore: Luciano Tas
Titolo: «1938: le mine su cui ha finito per saltare l’Europa»
 14 luglio: come una bomba il "Manifesto degli scienziati razzisti" che spiega come esistono "grandi razze e piccole razze", "gli ebrei non appartengono alla razza italiana" ed è tempo che "gli italiani si proclamino francamente razzisti"
Il 24 giugno i giornali pubblicano una notizia che è un vero e pro­prio scoop a saperla leggere: l'agenzia tedesca d'informazione, la Deutsche Allgemeine Zeitung, "smentisce la voce circolante nella stampa estera circa le trattative russo-tedesche per un patto di non aggressione". Se è vero che una smentita è una notizia data due volte, questa è solo un'anticipazione di quanto accadrà poco più di un anno dopo e quindi niente affatto campata per aria.
L'Unione Sovietica sospetta con qualche ragione che Francia e Gran Bretagna non abbiano alcuna voglia di fermare una Germania le cui intenzioni e le prossime mosse sono chiare agli occhi di tutti. Così Mosca si tutela e incomincia a sondare il terreno per evitare di trovarsi sotto tiro in un futuro molto ravvicinato.
Lo stesso 24 giugno altra notizia, di diverso tipo ma abbastanza curiosa.
Sotto il titolo "L'antisemitismo nel Messico" i giornali scrivono: "Il malcontento antisemita che da qualche tempo serpeggiava in tutto il Messico è sboccato in modo clamoroso nel passo compiuto ieri dalla socialista federazione dei lavoratori messicani (che) ha chiesto l'espulsione immediata degli ebrei che esercitano la piccola indu­stria serica del paese". Come mai tanta attenzione per un fatto abbastanza secondario, specie se paragonato a quanto avviene in Germania e alle manife­stazioni di antisemitismo ben altrimenti concreto della Polonia? E poi, perché i piccoli industriali ebrei della seta avrebbero messo in crisi tutta l'industria serica messicana? E come mai gli ebrei, che di volta in volta vengono accusati di essere capitalisti, bolscevichi, massoni, ora sono messi sul banco degli imputati come "piccoli in­dustriali"?
Non è dietrologia notare come a questa notizia dal Messico faccia seguito, in sordina come si conviene alle note diplomatiche, la "Informazione diplomatica N° 14", nella quale sorprendentemente si legge che il governo fascista non ha intenzione di perseguitare gli ebrei, cosa di cui, agli occhi delle persone civili, non c'era da dubi­tare, tanto da far ritenere superflua (o agli occhi di qualcuno so­spetta) la precisazione.
Ma ecco, a confermare i peggiori sospetti, il 14 luglio è pubblicato da tutti i giornali il "Manifesto degli scienziati razzisti".
E' un tempo, questo 1938, che ad essere razzisti non ci si vergo­gna, come giustamente succede oggi, ma se ne mena vanto.
Che dicono i dieci punti (i dieci nuovi comandamenti?) del Manifesto?
Al primo punto si afferma che "le razze umane esistono" e che (punto secondo) si dividono in "grandi razze e piccole razze", "l'esi­stenza delle quali è una verità evidente". Terzo: "Il concetto di razza è puramente biologico" e non c'entrano quindi concetti diversi, quali "popolo e nazione, fondato essenzial­mente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose".
Al quarto punto si afferma perentoriamente che "La popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana", visto che "questa popolazione e civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola".
Ne deriva che per l'Italia "è una leggenda l'apporto di masse in­genti di uomini in tempi storici" perché "dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli", per cui "i quarantaquattro milioni di italiani di oggi rimon­tano quindi nell'assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da un millennio".
E allora è evidente (punto 6) che "esiste ormai una pura ", un enunciato basato "sulla purissima parentela di sangue che unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popo­lano l'Italia" e che dimostra come "questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione Italiana".
Ma allora: a un millennio o a più millenni data la continuativa presenza di una popolazione che per tale motivo è diventato "razza"?
E gli ebrei che, tratti in cattività da Tito dopo la distruzione del­l'ultimo regno ebraico in Palestina nel 70 E.V., erano stati portati a Roma e qui hanno poi sempre vissuto? E i 4000 giovani ebrei che dopo questa deportazione a Roma furono mandati in Sardegna a combattere il banditismo sardo?
E no, questi no. Perciò (punto 7) "è tempo che gli italiani si pro­clamino francamente razzisti". E avvalorano questa affermazione con inoppugnabili dimostrazioni scientifiche. "Tutta l'opera che ha fatto finora il Regime è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza". E allora, se lo dice Lui...
Ma Lui ha detto tante cose. Nel 1919 scriveva che se la rivolu­zione bolscevica era vincente in Russia, era perché "così vogliono i grandi banchieri ebraici di Londra e di New York, legati da vincoli di razza cogli ebrei che a Mosca come a Budapest si prendono una rivincita sulla razza ariana che li ha condannati alla dispersione per tanti secoli... Il bolscevismo non sarebbe, per avventura, la vendetta dell'ebraismo contro il cristianesimo?". Ma ecco che appena un anno dopo Mussolini scrive: "Il bolscevi­smo non è, come si crede, un fenomeno ebraico. E' vero invece che il bolscevismo condurrà alla rovina totale gli ebrei dell'oriente euro­peo. Questo pericolo enorme e forse immediato è avvertito chiara­mente dagli ebrei di tutta Europa".
Ora è il Mussolini "uno" che predilige il Manifesto e al suo punto ottavo premette che bisogna distinguere "tra i mediterranei d'Europa (occidentali) da una parte e gli orientali e gli africani dal­l'altra" e sono "pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza medi­terranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo re­lazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili".
Questa premessa serve per giungere al punto nove dove si afferma ancora apoditticamente che "gli ebrei non appartengono alla razza italiana".
Dice questo punto che "dei semiti che nel corso dei secoli sono ap­prodati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rima­sto" e comunque "gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani".
Si capisce che con tutta questa purezza - forse un pizzico di Longobardi, come azzarda il Manifesto della Razza, ma nulla più - si concluda al punto dieci con una invo­cazione: "I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli ita­liani non devono essere alterati in nessun modo".
Vale la pena di citare per nome gli "scienziati" firmatari di questo Manifesto: Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco, Edoardo Zavattari.
La stampa, ancorché allineata al regime, appare sconcertata e scalpita per un paio di giorni. Ci vogliono le pressioni del Minculpop per metterla in riga. Qualcuno che resiste ancora c'è. Uno è il direttore del "Piccolo" di Trieste, Rino Alessi, di sicura fede fascista, che però  rifiuta di ade­guarsi. Ci rimetterà il posto, salvo ottenere più tardi il generoso perdono del regime.
E gli intellettuali? Non battono ciglio. Ah, sì, uno c'è ed è fascista. Si tratta di Filippo Tommaso Marinetti, che alla campagna antie­braica subito scatenata dal governo ed a cui non per caso il Manifesto degli scienziati fascisti ha dato il "la", non aderisce.
Intanto, in questo stesso mese di luglio, si riuniscono a Evian, in Francia, i rappresentanti di 31 paesi europei, latino-americani, oltre all'Australia e agli Stati Uniti, i quali ultimi avevano convocato la conferenza dedicata al problema dei profughi. In pratica si tratta del destino dei 350.000 ebrei rimasti in Germania (gli altri 150.000 tra il 1933 e il 1938 erano riusciti a emigrare) e dei 180.000 ebrei che vivono nell'Austria ora annessa al Terzo Reich. La conferenza si chiude però con il sostanziale rifiuto delle 31 potenze di accogliere un numero significativo di ebrei. Ne accette­rebbe 15.000 l'Australia, ma scaglionati in tre anni. Qualcuno può essere ospitato da paesi latino-americani. Gli Stati Uniti sono di­sposti ad accogliere un certo numero di ebrei, ma entro la "quota" destinata alla Germania. Quasi una beffa mettere gli ebrei tra i te­deschi che ora dal canto loro rifiutano di considerare gli ebrei che vivono in Germania come loro compatrioti e anzi li trattano da stranieri nemici senza nemmeno un governo proprio in grado di difenderli. La trappola si chiude così sugli oltre 500.000 ebrei tede­schi e austriaci, come si chiuderà più tardi su quelli dell'Europa oc­cupata, segnandone il destino. 
 Luglio '38, i giornali sono un po' imbarazzati quando vengono cacciati dalle scuole del regno d'Italia tutti i docenti e gli studenti ebrei, poi si adeguano e verrà il resto
Di nuovo in Italia. Il 16 luglio 1938 il maggiore quotidiano romano titola asetticamente il suo "fondo" "Una nota del Popolo d'Italia", che è notoriamente il giornale di Mussolini. L'"occhiello" reca: "Fascismo e razza". Niente di troppo compromettente. Non si sa mai.
E spiega al popolo le fatiche degli scienziati firmatari del Manifesto: "Storicamente, con molta oppor­tunità, gli autori del documento non hanno risalito i millenni per fissare la remotissima origine e la incorrotta continuità della razza italiana. E' bastato precisare che essa proviene da quella razza ariana che fu la portatrice della civiltà nel mondo e che nell'ultimo millennio la sua purezza non ha subito alterazioni e contaminazioni di incroci".
In tanto equilibrismo si può ancora vedere la prudenza. Non sarebbe la prima volta - l'ultima giusto quattro anni prima - che una cam­pagna antiebraica, lanciata dal regime, dal regime stesso venga di colpo fermata.
Il giornale, che forse non ha ancora ricevuto istruzioni precise o appunto vuole aspettare conferme, lascia parlare un foglio francese, secondo il quale "pare poco probabile che nelle teorie esposte così abilmente il governo abbia incluso i germi di misure politiche, eco­nomiche, morali, contrarie agli israeliti presi come tali".
Passano altri due giorni ed ecco che il 18 luglio, insieme all'impor­tante notizia che "una speciale divisa per il personale statale è allo studio per ordine del Duce" perché, chiosano i giornali, "l'Italia è nazione militare e tale deve apparire in ogni sua manifestazione individuale e collettiva", ecco un'altra notizia annunciare, in cinque righe, che l'Ufficio Demografico Centrale del ministero dell'Interno è stato trasformato in una "Direzione generale per la Demografia e la Razza".
Il 1° agosto 1938, apparentemente per dissipare le inquietudini che tutti questi inequivocabili segnali sollevano soprattutto all'e­stero, nei paesi democratici, ecco la "Informazione diplomatica N° 18". "Negli ambienti responsabili romani  - vi si legge - si fa notare che molte delle impressioni e deduzioni estere sul razzismo italiano sono dettate da una superficiale cognizione dei fatti e in qualche caso da evidente malafede".
In realtà, dice con qualche affanno la nota diplomatica, "il razzi­smo italiano data dal 1919" (evidentemente la retrodatazione lo nobilita) e Mussolini, riporta ancora la nota, ebbe a dire nel novembre 1921 ("ripetiamo 1921") che "i fascisti devono preoccuparsi della salute della razza con la quale si fa la storia". Beh, se è per la salute, allora...
E poi, aggiunge l'"Informazione diplomatica N° 18", "discriminare non significa perseguitare. Questo va detto ai troppi ebrei d'Italia e di altri Paesi, i quali ebrei lanciano al cielo inutili lamentazioni, pas­sando con la nota rapidità dalla invadenza e dalla superbia all'ab­battimento ed al panico insensato (...) il Governo Fascista non ha al­cuno speciale piano persecutorio contro gli ebrei in quanto tali. Si tratta di altro. Gli ebrei in Italia nel territorio metropolitano sono 44.000, secondo i dati statistici ebraici che dovranno, però, essere controllati da un prossimo speciale censimento; la proporzione sa­rebbe quindi di un ebreo su mille abitanti. E' chiaro che, d'ora innanzi, la partecipazione degli ebrei alla vita globale dello Stato dovrà es­sere, e sarà, adeguata a tale rapporto...".
Non è che questa nota tranquillizzi molto i destinatari.
Tanto per cominciare, appena sedici giorni dopo, il 3 agosto, un provvedimento governativo stabilisce che "a datare dall'anno sco­lastico 1938-39 è proibita l'ammissione alle Scuole italiane di ogni ordine e grado degli studenti ebrei stranieri, anche se dimoranti in Italia".
Discriminare non significa perseguitare, diceva l'"Informazione diplomatica N° 18". Basta intendersi sul significato delle parole.
Il 5 settembre 1938 la Gazzetta Ufficiale pubblica il decreto N° 1930 che in sette articoli rende più chiara la differenza tra discri­minazione e persecuzione, quest'ultima esclusa dalla volontà fasci­sta.
Il decreto allontana dall'insegnamento "nelle scuole statali o para­statali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative ai cui studi sia riconosciuto effetto legale (...) le persone di razza ebraica".
Nelle stesse scuole inoltre "non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica".
Con lo stesso decreto gli ebrei vengono espulsi da "Accademie, Istituti e Associazioni di Scienze, Lettere e Arte".
Non sono solo gli ebrei a chiedersi in ogni tempo "chi è ebreo". Lo decide questo decreto del governo fascista. "E' considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica". 
 Poco dopo il concetto di "appartenenza alla razza ebraica" verrà allargato e comprenderà anche i figli di coppie miste, dove cioè un coniuge sia ebreo e l'altro cattolico. Qui il concetto di razza è davvero audace. Infatti i figli di matri­monio misto (però se uno dei due coniugi è cristiano ma non catto­lico le cose saranno un po' più complicate) saranno considerati "ariani" se "professanti" la religione cattolica, ma di "razza ebraica" se "professanti la religione ebraica".
Ora, come fa uno a cambiare "razza" se segue una religione piut­tosto che un'altra è piuttosto singolare, ed è tanto più singolare che sia considerato di "razza" ebraica il figlio di matrimonio misto che professi la religione cattolica, ma ove il genitore cattolico non sia italiano.
Prendono così l'avvio, in questo cadere dell'estate del 1938, le co­siddette "leggi razziali", che in realtà sarebbe più aderente al vero chiamare "leggi razziste".
Una serie di provvedimenti persecutori (altro che "discrimina­tori") estromettono gli ebrei dalla società, cacciandoli dagli impieghi pubblici, dall'esercito, dalle banche, dalle assicurazioni, dalle corsie degli ospedali, dai tribunali, dai giornali, dal cinema, dal teatro e naturalmente dal partito fascista. E dagli elenchi telefonici.
Questi decreti limitano il diritto di proprietà e persino quello di patria potestà. I matrimoni misti sono proibiti. E non mancano provvedimenti grotteschi e umilianti: divieto per gli ebrei di tenere alle dipendenze personale domestico "ariano", di avere apparechi radio, di frequentare luoghi di villeggiatura e termali.
Molti luoghi pubblici - non per obbligo ma per libera scelta - espongono cartelli con la scritta "Vietato l'ingresso agli ebrei". I più moderati si limitano ad esporre un "Questo negozio è ariano".
Tutto questo sembra che non possa essere definito persecuzione e violenza nemmeno nell'anno 1998, almeno a parere del ministero del Tesoro che nel respingere alcune richieste di risarcimento da parte di cittadini ebrei motiva il rifiuto negando il carattere di vio­lenza alle persecuzioni dello Stato italiano contro una parte di suoi cittadini.
Decreti persecutori che, sottolinea una pubblicazione del Senato presieduto allora da Giovanni Spadolini, hanno atteso fino al 1987 per vedere cadere l'ultimo degli effetti.
Ed ecco le "leggi razziali" che estromettono degli italiani dalla società italiana. Che dice al proposito il Vaticano? 
 Come reagisce il Vaticano alle leggi razziste?
In un rapporto riservato del 10 ottobre 1938, XVI dell'Era Fascista, il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano informa Mussolini e il ministero dell'Interno (sia la Direzione Culti che quella della Demografia e Razza) che "negli ambienti Vaticani si tiene un atteg­giamento di riserva intorno alle deliberazioni prese dal Gran Consiglio circa la difesa della razza. Si notano alcuni lati buoni delle deliberazioni stesse, mentre non si nasconde qualche preoccupa­zione circa le disposizioni per il matrimonio".
Quali sono questi "lati buoni"?
"In particolare si apprezza il comma della dichiarazione nella quale . Anche nella elencazione dei mo­tivi di discriminazione per gli ebrei di cittadinanza italiana si è no­tato un grande spirito di moderazione e così pure per le limitazioni poste all'attività degli ebrei".
Le "preoccupazioni" sono invece dirette al "divieto di matrimonio di italiani e italiane con elementi appartenenti alla razza camita, semita ed altre razze non ariane". Razze ariane? La Chiesa? Pare di sì.
Il rapporto di Ciano continua. Anche la Chiesa, osservano in Vaticano, è molto severa nell'impedire i matrimoni misti e "del re­sto la Chiesa nel concedere o negare dispense matrimoniali tiene sempre in debito conto delle cause d'impedimento contemplate dalla legislazione civile dei singoli Stati".
Ma "quando si tratta di ebrei convertiti (...) in questo caso la proibizione del matrimonio imposta da questa legislazione si trove­rebbe direttamente in contraddizione con la dottrina e la disciplina della Chiesa. E' questo l'unico punto nella proclamazione razzista del Gran Consiglio sul quale la Chiesa formulerebbe obbiezioni".
E i mezzi d'informazione, cioè giornali e radio?
Sono costretti ad aggiornarsi e a giustificare le leggi razziali per­ché, scrivono i giornali, "attraverso l'internazionalismo ebraico mas­sonico bolscevico, demoplutocratico si tendeva a distruggere i valori della razza italiana".
Ma che avranno fatto mai quei quarantamila ebrei italiani contro i quaranta milioni di altri italiani?
Beh, si legge sulla stampa nazionale, avevano "cura di dimenticare il distintivo del Partito sempre nell'altra giacca (...) avevano in orrore le divise, le adunate, i con­tatti collettivi e ogni disciplina". E poi sono "dei meticci, degli as­senti, dei deviati".
Assenti ma non dai luoghi d'istruzione. Infatti "le nostre univer­sità sono invase da professori ebrei". Per cui "bisogna veramente tagliare netto".
Un ebreo, scrivono, "prima di essere questo o quest'altro è ebreo, vale a dire è di un'altra razza e non può avere i diritti di un ita­liano", anche perché gli ebrei "vivono parassitariamente sopra una pianta che non ha motivi di nutrirli".
L'uomo della strada e la "casalinga di Voghera" sono certamente sconcertati.
Da Roma in giù, cioè in mezza Italia, non ci sono ebrei. La gente del Meridione non ha visto un ebreo dalla fine del 1400, quando gli ebrei erano stati espulsi dai possedimenti spagnoli.
A Roma, dove c'è il massimo e più antico concentramento ebraico vivono nel 1938 12.799 ebrei.
A parte Milano, dove ne sono censiti 10.219, se ne contano 6.085 a Trieste, 4.060 a Torino, poco più di 2.000 a Livorno, Firenze, Genova e Venezia, 1.000 a Bologna e Ancona. Nelle altre città italiane gli ebrei si contano a centinaia piut­tosto che a migliaia. Si distinguono dagli altri italiani perché alcuni di loro il sabato vanno talvolta in sinagoga, mentre i cattolici vanno in chiesa la domenica. Ma proprio per nient'altro.
Come gli altri italiani - e con qualche motivazione in più - hanno partecipato alle guerre d'Indipendenza, poi alla prima guerra mon­diale, mossi da ebbrezza di neofita, visto che soltanto da pochi de­cenni gli ebrei si erano visti riconoscere la parità di diritti (o quasi) con tutti gli altri cittadini.
Non occupano, gli ebrei italiani, posizioni di particolare rilievo: sono in Parlamento, qualcuno al governo, altri abbracciano, sempre con l'ebbrezza del neofita, la carriera militare (e si contano tra loro anche generali e ammiragli), è piuttosto alta la presenza ebraica nelle assicurazioni, ma niente che possa indurre a grandi invi­die.
Quelli che andranno a occupare i posti rimasti vacanti per la cacciata degli ebrei non si cospargeranno di sicuro il capo di cenere. Al sorgere e all'affermarsi del fascismo, gli ebrei, come tutti gli altri italiani, si erano divisi all'incirca in tre gruppi: i fascisti convinti, gli antifascisti militanti e in mezzo una grande maggioranza di indif­ferenti, proprio come tutti gli altri italiani.
A partire dall'estate-autunno del 1938, gli italiani ebrei si pongono automaticamente e comprensibilmente nel campo antifascista e di questo verranno imputati (come farà molti anni dopo lo storico tedesco Nolte: negli anni del nazismo gli ebrei, scriverà, erano contro la Germania)
Ma gli altri italiani, in pratica tutti gli altri italiani, quando ven­gono emanate le leggi razziste magari dentro di sé nutrono qualche perplessità e comunque non sembrano salutare con entusiasmo i provvedimenti che il regime cerca di fare apparire come il meglio che poteva darsi all'Italia, ma neanche protestano. C'è forse scon­certo, ma anche molto timore. La dittatura fascista non sarà quella nazista o comunista, però si può finire in prigione e poi al confino per una barzelletta. Figuriamoci per un atto di opposizione politica.
Gli intellettuali non si limitano a tacere. Fanno invece a gara a chi intona i più squillanti peana e sciorinano uno zelo nell'esalta­zione delle leggi razziste persino superiore a quanto richiederebbe il regime, dove peraltro ai più alti livelli, vale a dire al Gran Consiglio del Fascismo, non sono mancate voci contrarie, come quelle di Italo Balbo, Luigi Federzoni, Emilio De Bono.
Non bastano le vittorie italiane al Tour de France per rendere lieta l'estate 1938: non lo è per gli ebrei, presto non lo sarà per nessuno
Passano dunque le leggi che colpiscono gli ebrei.
Gli ebrei non possono appartenere al partito nazionale fascista (e fin qui non ci sarebbe niente di male se quella fascista non fosse chiamata dalla gente con buona ragione "la tessera del pane"); sono espulsi dall'esercito e da tutti gli impieghi pubblici, Stato e para­stato; sono cacciati dalle assicurazioni, dalle banche; non possono "essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che impieghino cento o più persone"; non possono "essere possessori di oltre cinquanta ettari di terreno" (legge del 17 novembre 1938), non possono esercitare le profes­sioni libere (medico, avvocato, ingegnere, architetto); infine, e un po' alla volta, gli ebrei verranno privati delle licenze per esercitare il commercio e l'artigianato.
Come accadrà in altri momenti della storia d'Italia, anche ora, estate 1938, vi sono motivi di distrazione. Il Tour de France e le grandi imprese di Gino Bartali che domina sui grandi colli, l'Aubi­sque, il Tourmalet, l'Auspin, sbaraglia gli avversari, si fascia di giallo e vince il Tour.
Ci sono i campionati del mondo di calcio, che l'Italia, ancora gui­data da Vittorio Pozzo, vince per la seconda volta consecutiva.
E ci sono tante altre buone notizie, come quella che annuncia "pane ottimo a prezzo unico".
Minore attenzione si pone per ora all'aggravarsi delle tensioni in­ternazionali. Monta quella che vede il lupo-Hitler accusare l'agnello-Cecoslovacchia di ogni sorta di prepotenze e nefandezze.
L'Unione Sovietica intanto si prepara a stabilire il campo dalla  parte opposta a quella che era sembrata finora scegliere. La manovra sconcerta la Gran Bretagna e la Francia che sull'URSS avevano fatto conto come antemurale contro la pressione della Germania nazista.
Al contrario, Mosca ora"ha inviato una protesta al governo di Varsavia contro i sistemi intollerabili adoperati dalla polizia polacca verso l'amba­sciata e i rappresentanti diplomatici sovietici in Polonia".
Anche qui "superior stabat lupus". Hitler ha fatto scuola, ma Stalin non aveva molto da imparare in proposito.
Trascorre agosto, arriva settembre. E a settembre succede quello che ormai molti prevedevano e paventavano: la Germania presenta il conto alla Cecoslovacchia.
Con il famosto e famigerato "Patto di Monaco", firmato da Germania, Gran Bretagna, Francia e Italia (Mussolini non fa che girare le richieste tedesche a francesi e britannici, spacciandole come il suo compromesso), il 30 settembre 1938 le potenze europee  lasciano mano libera a Hitler.
La Germania si annette così la regione dei Sudeti senza colpo fe­rire, visto che Praga, tradita dai suoi alleati, pure vincolati alla sua difesa da un patto preciso, non può o non osa prendere le armi contro il potente (ma meno di quanto i ripetuti bluff di Hitler vo­gliano far credere) vicino tedesco.
Molto presto Hitler - marzo 1939 - occuperà il resto della Boemia e della Moravia, che non avranno più a protezione naturale la catena montuosa dei Sudeti, e darà vita allo Stato-fantoccio della Slovacchia. Né Francia, né Gran Bretagna né Unione Sovietica muoveranno un dito.
Muovono più di un dito invece a settembre i polacchi, che si an­nettono Teschen e gli ungheresi che si ritagliano un pezzo di Slovacchia.
Intanto in Italia, dopo che Mussolini, di ritorno da Monaco, è ac­colto da trionfatore e salvatore della pace, l'impegno del Gran Consiglio del Fascismo è ancora diretto a difendere, scrivono i giornali dell'epoca, "la civiltà di Roma contro tutte le minacce corro­sive e le insidie". Insomma, contro gli ebrei.
"I residuali cuoricini dolci che ancora languono in Italia, affetti da umanitarismo filosemita, si sono mai domandati quale sarebbe la sorte e quali i posti riservati a 44.000 cattolici in una Nazione che avesse 44 milioni di ebrei? La risposta è a Tel Aviv, dove, su 156.000 abitanti, non ce n'è uno solo, diciamo uno solo, che non sia ebreo".
Il Gran Consiglio del fascismo difende dunque l'Italia dalle mi­nacce corrosive. Il 6 e il 7 ottobre "dichiara l'attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una coscienza razziale".
Per cui come primo provvedimento "stabilisce: a) Il divieto di matrimoni di italiani e italiane con ele­menti appartenenti alle razze camita, semita e altre razze non ariane; b) Il divieto per i dipendenti dello Stato e da Enti pubblici - personale civile e militare - di contrarre matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza....d) Dovranno essere rafforzate le mi­sure contro chi attenta al prestigio della razza nei territori dell'Im­pero".
Subito dopo e con qualche disinvoltura logica "Il Gran Consiglio del Fascismo ricorda che l'ebraismo mondiale - specie dopo l'abolizione dalla massoneria - è stato l'animatore dell'antifascismo in tutti i campi e che l'ebraismo estero o italiano fuoruscito è stato in taluni periodi culminanti come nel 1924-25 e durante la guerra etiopica, unanimemente ostile al Fascismo".
Tanto è vero che "tutte le forze antifasciste fanno capo ad ele­menti ebrei; l'ebraismo mondiale è in Spagna, dalla parte dei bo­scevichi di Barcellona".
Non mancano altre curiosità come la definizione di "appartenenza o meno alla razza ebraica".

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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