L'Italia e il gruppo "5+1", le dichiarazioni di Ahmadinejad, il fallimento dei negoziati con gli ayatollah cronache e analisi sulla crisi iraniana
Testata:La Stampa - Il Sole 24 Ore - Il Giornale - L'Opinione Autore: Maurizio Molinari - Alberto Negri - Mario Cervi - Cristiano Bosco Titolo: «L’Italia dentro il “5+1”? Gli Usa gelano il governo - L’America mi teme - Pacifisti double face -I negoziati sono falliti. Aiutiamo gli iraniani a liberarsi dal regime»
Da La STAMPAdell'11 giugno 2008, una cronaca di Maurizio Molinari
La Casa Bianca si aspetta da Silvio Berlusconi più truppe per l’Afghanistan ma frena le attese di Palazzo Chigi sull’entrata dell’Italia nel gruppo «5+1» - composto dai Paesi che negoziano con l’Iran sul nucleare - in ragione dell’opposizione tedesca. Da bordo dell’Air Force One in rotta da Berlino verso Roma è Judy Asley, vice assistente del presidente, ad anticipare l’agenda dei colloqui che avranno luogo nel pomeriggio fra i due leader a Villa Madama. «Discuteremo sicuramente di Afghanistan», dice Asley, spiegando che Bush ribadirà «la richiesta dei comandi Nato di aumentare le truppe» e «attende con interesse di conoscere quali sono le opinioni di Berlusconi in proposito». «Speriamo che vi sarà un incremento delle truppe da parte di tutti i Paesi Nato e crediamo che il governo italiano sia aperto a dare maggiori contributi», aggiunge, precisando però di non sapere se questi arriveranno «in termini di truppe o di assistenza». Il tono ottimista sull’Afghanistan di Asley, che ha il grado di vice consigliere per la sicurezza nazionale sugli Affari Regionali, coincide con quanto detto dal ministro della Difesa Ignazio La Russa sul fatto che le truppe italiane «risponderanno alle emergenze entro 6 ore» e non più le 72 ore del caveat che veniva applicato dal governo Prodi, restringendo di molto le capacità operative, con il conseguente nervosismo dei comandi Nato. Ma nel caso del gruppo 5+1 le parole della Casa Bianca coincidono meno con quelle del governo italiano. Asley diventa infatti assai più prudente quando si tratta di parlare delle attese italiane sull’adesione al gruppo composto dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania. «Bush discuterà con Berlusconi della richiesta italiana come ha già fatto con i precedenti governi ma non so quanto questa aspettativa sia realistica», sottolinea l’assistente del presidente. Incalzata dalle domande sul perché di tale prudenza Asley, affiancata dalla portavoce Dana Perino, osserva: «I tedeschi hanno detto pubblicamente che vogliono mantenere il format del gruppo come è adesso» ovvero senza l’Italia. Le dichiarazioni della Casa Bianca appaiono in contrasto con quanto affermato dal ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, che si è detto sicuro di «poter contare sugli amici americani» per una rapida entrata nel gruppo 5+1, esprimendo fiducia su quanto «dirà in proposito Bush» durante il soggiorno romano. L’interrogativo ruota attorno al ruolo svolto da Bush per convincere la cancelliera tedesca Angela Merkel a far venir meno il «niet» all’adesione italiana. Se gli auspici del capo della Farnesina nascono forse dalla convinzione che il presidente Usa stia esercitando forti pressioni su Berlino, Asley mette le mani avanti: «Non so se l’argomento è stato trattato» nei colloqui Bush-Merkel, premunendosi solo di specificare che «la discussione è stata molto a tu per tu» e dunque resta un legittimo margine di dubbio. Dietro le ambiguità di Washington c’è il fatto che Bush ha bisogno tanto di Merkel quanto di Berlusconi per rendere più efficaci le sanzioni bancarie e commerciali all’Iran. Ma nel carnet romano di Bush c’è dell’altro. Il presidente scommette sulla partnership con l’amico di vecchia data per chiudere il mandato con un risultato che ha molto a cuore: stabilire l’intesa necessaria con il nuovo leader russo Dmitri Medvedev per siglare entro fine anno solide intese su sanzioni all’Iran e la protezione del clima, scongiurando crisi nel Caucaso. A svelare l’importanza strategica che la Casa Bianca assegna al ruolo di Berlusconi negli ultimi sei mesi della presidenza Bush è il fatto che nell’amministrazione si guarda con interesse ad un possibile ritorno dello «spirito di Pratica di Mare», quando nel 2002 proprio Berlusconi ospitò il primo summit Nato-Russia, grazie ai suoi rapporti con Vladimir Putin. Il ruolo di Roma ruota attorno alla presidenza italiana del G8 che partirà de-facto dopo il summit di luglio in Giappone sommandosi, fino a gennaio, al seggio non permanente nel Consiglio di Sicurezza: sarà un doppio cappello internazionale che consentirà a Berlusconi di avere numerose carte da giocare fra Mosca e Washington.
Molinari dedica un altro articolo alle nuove dichiarazioni di Ahmadinejad. Mahmud Ahmadinejad irride le minacce di attacco da parte di George W. Bush che da Berlino gli risponde per le rime: «Tutte le opzioni restano sul tavolo». L’arroventato botta e risposta a distanza è iniziato al mattino di ieri quando Ahmadinejad parlando a un comizio a Shar-e-Kord, nell’Iran centrale, si è fatto beffa dell’intesa Usa-Ue sul varo di nuove sanzioni per spingere Teheran a bloccare l’arricchimento dell’uranio. «I nostri nemici non sono stati in grado di fare nulla per fermare il programma nucleare e ora non possono fermarci - ha detto il leader di Teheran - perché abbiamo raggiunto il vertice di questa tecnologia, siamo noi i vincitori». Se Bush nel castello sloveno di Brdo aveva giustificato le «misure addizionali» con il fatto che «Teheran ha raggiunto l’arricchimento dell’uranio e dunque sa fare la prima parte di un ordigno», Ahmadinejad si vanta di tale risultato, guardando le sanzioni dall’alto: «Hanno cercato di bloccare le arterie economiche, di usare minacce militari e di fare guerre psicologiche ma hanno fallito». L’ipotesi di un attacco militare Usa non lo spaventa: «Bush non ci può dare neanche un pizzicotto, pensa di invaderci da quando ha occupato Afghanistan e Iraq ma in gennaio chiese un’opinione ai suoi comandanti in Medio Oriente e le risposte ricevute lo spaventarono al punto da farlo fuggire in Australia». Le parole di Ahmadinejad sembrano celare tanto la certezza di essere riuscito a rendere inattaccabili gli impianti che la convinzione di avere un deterrente militare in grado di scongiurare attacchi. Quando Bush e la cancelliera tedesca Angela Merkel si sono incontrati nel castello di Meseberg erano a conoscenza delle parole di sfida arrivate da Teheran, ne hanno discusso a lungo, e le hanno sfruttate per sottolineare «l’isolamento dell’Iran». «Riceviamo dall’Iran segnali che non fanno ben sperare per l’esito della missione che Javier Solana» ha detto Bush, riferendosi all’imminente viaggio che l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue farà a Teheran per offrire un piano di incentivi «rinfrescati» in cambio del blocco dell’arricchimento. «Metteremo sul tavolo altre offerte ma se l’Iran non rispetterà le risoluzioni Onu vi saranno nuove sanzioni» ha aggiunto la Merkel. Incalzato dai giornalisti sull’ipotesi dell’attacco, Bush non ha fatto passi indietro: «La priorità è la diplomazia ma tutte le opzioni sono sul tavolo». Quella fra i due leader assomiglia a una partita a scacchi: se Ahmadinejad irride Bush per rafforzarsi in patria, dove le fronde aumentano, il presidente Usa punta a consolidare il patto con l’Ue per dare risalto all’isolamento di Teheran al fine di fomentare proprio il dissenso interno. Proprio l’intenzione di ottenere il massimo consenso nella Ue lo spinge all’autocritica sull’Iraq affidata alle colonne del Times: «Usai un linguaggio troppo brusco sulla guerra». Merkel plaude alle convergenze, arrivando a prevedere un forte impegno civile in Iraq ma sull’Iran solleva una eccezione: «L’Ue può decidere misure bancarie ma è meglio che le sanzioni siano varate dall’Onu» anche delle dubbiose Russia e Cina.
Sul SOLE 24 ORE Alberto Negri riporta altre dichiarazioni del presidente iraniano: "Gli industriali che ho incontrato mi hanno supplicato di aiutarli a poter esprimere liberamente le loro opinioni sull'Iran, visto che in Italia domina un clima di forte repressione e una totale carenza di libertà d'espressione". Negri, naturalmente, non mostra di credere alle farneticazioni di Ahmadinejad: "non c'è bisogno di nessuna lobby per fare pressione sull'Italia: sarà lo stesso presidente Bush a chiedere la fine degli aiuti italiani Sace all'export verso Teheran, che avrebbero toccato i 4 miliardi di euro. Non bisogna pensare male, a intrighi, manovre occulte: tutto è così chiaro (...) si tranqullizzi Ahmadinejad, in Italia c'é una libertà che in Iran si sognano". Una smentita a chiare lettere della "supplica" degli industriali, però, nell'articolo non c'é. Per Francesco Ripandelli, l' "ambasciatore" di Mediobanca all'incontro romano con Ahmadinejad, i veri problemi sono altri; dichiara che "I problemi del business con l'Iran risiedono neir apporti economici e finanziari, nella mancata copertura delle lettere di credito, nella moltiplicazione delle sanzioni che aumentano i costi delle transazioni, anche se noi abbiamo continuato a lavorare con tutte le principali banche iraniane". Inoltre, a Negri "non è sembrato di vedere giornalisti o imprenditori supplicanti per le trame della lobby ebraica. Una non meglio definita "lobby ebraica" per Negri esiste davvero, ma rispetto alle sue "ingerenze" è più frequente la sfiducia dei paesi arabi e islamici verso chi fa affari con Israele. Inoltre la "lobby americana" è "ancora più potente" di quella ebraica. Espressioni ambigue che andrebbero circostanziate. Chi, quando, e dove ha esercitato "pressioni", e con quali argomenti ? Se qualcuno ha fatto notare che fare affari con un paese che vuole cancellare Israele dalla faccia della terra ed esportare nel mondo la rivoluzione khomeinista non è proprio una buona idea, la sua è stata davvero un'illegittima "ingerenza" ?
Sul GIORNALE Mario Cervi, in un editoriale di prima pagina, segnala il fatto che coloro che hanno contestato Bush durante la visita a Roma non hanno manifestato durante la presenza di Ahmadinejad
Sulla crisi iraniana Cristiano Bosco intervista per L'OPINIONE Michael Ledeen:
Per l’analista dell’American Enterprise Institute i negoziati con l’Iran (compreso quel “5+1” in cui l’Italia vuole entrare) sono tutti falliti. Per fermare il programma nucleare degli ayatollah, le democrazie devono aiutare gli iraniani a liberarsi dal loro regime. Ma i nostri governi sono inerti. A Roma, nel 2001, Ledeen incontrò alcuni dissidenti. Per salvare le vite dei militari in Afghanistan, non per organizzare un golpe. Michael Ledeen, membro del think tank American Enterprise Institute, giornalista e storico, è uno dei massimi esperti in materia di Iran.
In una recente intervista alla televisione italiana, il presidente Bush ha dichiarato di essere favorevole all’aggiunta dell’Italia al tavolo dei negoziati con l’Iran, il cosiddetto “5+1”. È d’accordo? Credo che i negoziati abbiano fallito, e sono convinto che essi continueranno a fallire anche in futuro. Di conseguenza, penso che ogni governo, incluso quello italiano, farebbe meglio ad evitarli: sarebbe una cosa saggia.
Il Financial Times è scettico riguardo all’ipotesi che l’Italia possa applicare sanzioni all’Iran, del quale è uno dei primi partner commerciali al mondo: dal punto di vista della realpolitik, per quale motivo l’Italia dovrebbe imporre sanzioni, di pari passo con le altre potenze? Perché l’Iran è il principale sponsor mondiale del terrorismo, ha dato il proprio sostegno a cellule terroristiche presenti in Italia e ha minacciato attacchi alla Città del Vaticano.
L’Iran prosegue con il suo programma nucleare e Mahmoud Ahmadinejad continua a minacciare Israele. Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per fermare l’Iran? La soluzione della “Lega delle Democrazie” proposta da John McCain potrebbe funzionare? Non sono a conoscenza di alcun serio sostegno dei dissidenti iraniani che sono a favore della democrazia, che rappresentano la maggioranza della popolazione iraniana. Questo sostegno non arriva da alcun Paese occidentale e, non serve neanche ricordarlo, nemmeno dalle Nazioni Unite, o da Organizzazioni Non Governative delle quali sia a conoscenza. Se le cosiddette “democrazie” volessero davvero sostenere la libertà in Iran, lo potrebbero già fare oggi, con o senza la “Lega delle democrazie”. Ma esse non lo fanno. E nessuna struttura o organizzazione potrà compensare la loro mancanza di volontà.
Con il governo Berlusconi l’Italia è tornata ad essere uno dei primi alleati degli Stati Uniti, dopo i due anni di governo Prodi? Possono cambiare i rapporti, dopo le elezioni di novembre? Senza dubbio il rapporto tra Bush e Berlusconi rafforza i legami tra Stati Uniti e Italia. Ma l’Italia occupa ora una salda posizione quale uno degli alleati più vicini all’America, e questa relazione può sopravvivere a momenti di conflitto personale. Certamente Massimo D’Alema non era molto amato a Washington, ma i rapporti erano buoni anche all’epoca. Per questo motivo, chiedersi chi tra McCain o Obama possa essere “migliore” per le relazioni tra i due Paesi è questione piuttosto marginale.
Stando a un recente rapporto della Commissione Intelligence del Senato americano, Lei organizzò un meeting, nel 2001 a Roma, tra due esperti del Pentagono e un iraniano di nome Manucher Ghorbanifar, allo scopo di discutere un piano relativo al rovesciamento del regime iraniano. È così? L’incontro in questione fu con alcuni iraniani, i quali fornirono, tra le altre cose, informazioni accurate relative a operazioni ordinate dal governo di Teheran contro forze armate americane di stanza in Afghanistan. Ghorbanifar non era la fonte di tali informazioni che, come mi fu riferito in seguito da funzionari del Pentagono, furono determinanti per salvare vite americane. Quello fu l’argomento princiale degli incontri. Pertanto, avendo portato la proposta di Ghorbanifar al governo americano, con l’approvazione sia della Casa Bianca che del Dipartimento dpella Difesa, sono orgoglioso di aver sostenuto i nostri soldati. Per quanto concerne gli sforzi di Ghorbanifar per trovare sostegno al fine di rovesciare il regime iraniano, si tratta di qualcosa che va avanti da più di venti anni. Come ho detto prima, non credo che alcun governo occidentale gli darà mai il sostegno richiesto, ma sono sicuro che lui continuerà a provarci.
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