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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.06.2008 Troppo teneri con Teheran e Damasco, sbagliato appoggiare le elezioni palestinesi, gestito male il vertice di Annapolis
le critiche di Liz Cheney, figlia del vicepresidente Dick, all'amministrazione Bush

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 giugno 2008
Pagina: 13
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «Liz Cheney, un falco più falco del papà vicepresidente»
Dal CORRIERE della SERA dell'11 giugno 2008:

WASHINGTON — Buon sangue non mente. A Liz Cheney, figlia del vice presidente americano ed ex funzionario al Dipartimento di Stato, l'attuale politica dell'amministrazione Bush non piace. La vorrebbe più energica, determinata, senza troppe concessioni. Parlando qualche giorno fa davanti all'Aipac — potente gruppo di pressione filo- israeliano — Liz si è tolta i guanti per criticare le recenti mosse diplomatiche. Un attacco alle scelte di Condoleezza Rice — peraltro mai nominata — e alle iniziative del suo ex ufficio. Per la Cheney il summit di Annapolis è stato gestito male e l'appoggio alle elezioni a Gaza, vinte da Hamas, ha rappresentato «un errore fondamentale». Washington, secondo Liz, avrebbe dovuto essere più severa con la Siria usando diverse carte. Damasco poteva essere denunciata «per il coinvolgimento nell'omicidio dell'ex premier libanese Hariri, per l'uccisione dei soldati americani in Iraq (attraverso il sostegno ai ribelli,
ndr), per l'appoggio all'Hezbollah libanese». Invece la Siria è riuscita a conservare, sia pure tra difficoltà e pressioni, il proprio ruolo di influenza.
«A mio giudizio questa amministrazione era nel giusto quando siamo stati coraggiosi, determinati, concentrati e quando abbiano usato la nostra forza militare», sono state le sue parole durante una tavola rotonda all'Aipac con ospiti americani e israeliani.
L'analisi di Liz Cheney — in particolare il riferimento alla Siria — coglie il dissenso di ambienti statunitensi davanti ai recenti contatti, via mediazione turca, tra Damasco e Gerusalemme. Israele pragmaticamente guarda la Siria dal suo ombelico e dunque è disposto a parlarle se può servire a mantenere una certa stabilità al confine nord. I colloqui, dicono a Gerusalemme, non fanno male, nel breve periodo hanno un valore tattico e, come in passato, sono uno strumento di pressione nei confronti dei palestinesi.
Da Washington hanno lasciato trapelare qualche nota di irritazione — affidata a qualche commento ispirato sulla stampa — e non sono mancati piccoli dispetti. Le rivelazioni al Congresso, ad esempio, sul raid israeliano del 6 settembre in Siria. O l'arresto, dopo vent'anni di una spia israeliana negli Stati Uniti.
Calcetti sotto il tavolo preceduti da due episodi misteriosi, indizio di manovre in corso. L'uccisione, in febbraio, a Damasco del numero due dell'Hezbollah Imad Mugniyeh ha scatenato le interpretazioni più strane. Una eliminazione attribuita un po' a tutti (dagli israeliani ai siriani passando per i sauditi) e considerata da alcuni come la moneta di scambio per qualche accordo segreto.
Altrettanto fumose le voci di faida nella nomenklatura di Damasco con il presunto siluramento di Assif Shawkat, cognato di Bashar Assad e onnipresente capo degli 007 militari. Una giubilazione legata ad un possibile tentativo di golpe filo-americano. Storie smentite con sdegno da Damasco ma che hanno continuato a sollevare questioni nei palazzi della diplomazia.
Ma le differenze di vedute israelo-americane si sono ricomposte sul caso iraniano, con i due alleati alla ricerca del «proiettile d'argento» per fermare i piani atomici dei mullah. Un dossier che Liz Cheney conosce assai bene. Prima di congedarsi — per maternità — dal Dipartimento di Stato, la figlia del vice presidente ha animato per diversi mesi lo speciale ufficio — composto da funzionari dell'intelligence e diplomatici — che elaborava la strategia sull'Iran. Una posizione che le ha permesso di rimarcare la sua linea di fermezza contrapposta a coloro che pensano che ci sia ancora per negoziare. Anche da «fuori» il suo pensiero non è mutato: se Ahmadinejad non si adegua alle risoluzioni Onu rischia il blitz militare. «Non ci possiamo permettere il lusso di perdere tempo. L'ora della diplomazia sta per finire».

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