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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.06.2008 Sergio Romano, benevolo interprete di Ahmadinejad
suggerisce con l'Iran la strategia dell'appeasement

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 giugno 2008
Pagina: 33
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Invettive di Ahmadinejad Le possibili interpretazioni»

Sergio Romano risponde a un lettore sull'Iran, mimizzandone le minacce a Israele come tentativi di guadagnare consensi nei paesi arabi.
Ignorando (volontariamente) il ruolo di Teheran nel promuovere la crisi israelo-palestinese con il sostegno al terrorismo, l'ex ambasciatore indica nei tentativi dei paesi sunniti di "spegnere i focolai di crisi" la via per contenere l'attivismo iraniano. Come esempi di questi tentativi, Romano cita gli sforzi per un accordo tra Fatah e Hamas (che allineerebbe il campo politico palestinese sulle posizioni oltranziste del gruppo islamista) e  il patto di Doha tra le fazioni libanesi, che ha consegnato il paese dei Cedri a Hezbollah... un' estensione terroristica dell'Iran.

Per fermare l'Iran  (che minaccia di distruggere Israele, ma non c'è da preoccuparsi), facciamo vincere l'Iran. E' la strana logico di Sergio Romano  

Ecco il testo:

Nel suo intervento a Roma per il vertice Fao, Ahmadinejad ha rinnovato le sue solite accuse a Israele, minacciandolo prima direttamente e poi in modo più velato («Israele scomparirà, indipendentemente dalla volontà dell'Iran»). Tuttavia, penso che Ahmadinejad non sia uno stupido, e che sicuramente la sua dura presa di posizione in un palcoscenico di tale livello risponda a una ben precisa logica politica che va ben oltre la semplice propaganda volta all'acquisizione di qualche consenso in più negli ambienti del fondamentalismo islamico.
Anzi, potrebbe essere una strategia che mira a potere un giorno, magari non lontano, partecipare a un ipotetico tavolo delle trattative con i Paesi occidentali portando con sé una dote per lui tutto sommato poco significativa, ma che fa molta presa sull'Occidente (la sua aggressività), da usare come merce di scambio per ottenere concessioni su altri versanti (vedi tecnologia nucleare) a cui il presidente iraniano tiene particolarmente, per evidenti motivi di potere e di egemonia territoriale.
Insomma, uno «specchietto per le allodole» da consegnare all'Occidente quale prova sacrificale di distensione e di riavvicinamento. Fra l'altro, Ahmadinejad ha comunque, per altri versi, mostrato una certa propensione, sia pure di comodo, per l'Occidente e per l'Italia in particolare, quando ha sostenuto che siamo il Paese occidentale più accreditato come partner commerciale e quando ha lanciato un generale invito a effettuare investimenti in Iran («siamo il Paese più sicuro della Terra, venite a investire da noi»). Qual è il suo parere su questo controverso personaggio e sulle finalità che persegue con i suoi comportamenti apparentemente incoerenti?
Enzo Chiné
enchin61@hotmail.com
Caro Chiné,
N
on so se le invettive di Ahmadinejad contro gli Stati Uniti e Israele possano essere spiegate razionalmente. Ma non escludo che lei abbia almeno una parte di ragione quando sostiene che il leader iraniano alza la posta per meglio trattare con i suoi nemici quando verrà (se verrà) il momento dei negoziati. Esistono tuttavia altre considerazioni di cui è utile tener conto.
L'Iran è ormai, grazie alla politica della presidenza Bush, una grande potenza regionale. L'invasione americana del-l'Iraq lo ha sbarazzato del suo maggiore nemico, Saddam Hussein, e gli ha offerto uno straordinario spazio d'influenza fra la maggioranza sciita del Paese vicino. È uno Stato sciita abitato prevalentemente da persiani, ma dispone di utili alleati nelle due zone arabe che maggiormente insidiano la stabilità della regione: la Palestina e il Libano. Noi parliamo spesso delle preoccupazioni che l'Iran suscita negli Stati Uniti e in Israele. Ma tralasciamo di ricordare che i Paesi maggiormente preoccupati dalla sua irresistibile ascesa sono gli Stati arabi e sunniti, dall'Egitto all'Arabia Saudita: per ragioni politiche, naturalmente, ma anche per l'antica ostilità che contrappone sunniti a sciiti nella storia dell'Islam. Qualche anno fa, allorché denunciò l'apparizione di una mezzaluna sciita nel cielo del Medio Oriente, Abdallah, re di Giordania, disse ad alta voce ciò che altri leader arabi riservavano ai loro colloqui confidenziali. Con le sue sfide contro Israele e l'America, il presidente iraniano non parla soltanto agli israeliani e agli americani. Parla soprattutto a quella parte delle società arabe in cui esistono forti risentimenti nazionalisti contro l'occupazione israeliana dei territori palestinesi e contro gli Stati Uniti di Bush. Colpisce Israele e l'America per dimostrare agli arabi che i loro governi sono pavidi, impotenti, succubi degli israeliani e degli americani, e che soltanto lui, Ahmadinejad, ha il coraggio di prendere posizioni forti contro le presenze straniere nella grande patria musulmana. Questo non significa che europei e americani debbano ignorare le parole del leader iraniano. Ma queste considerazioni permettono di comprendere perché i Paesi sunniti della regione, per difendersi dalla crescente influenza iraniana, stiano cercando di spegnere i focolai di crisi che consentono ad Ahmadinejad di lanciare le sue invettive. È accaduto qualche tempo fa quando il re dell'Arabia Saudita cercò di promuovere la riconciliazione fra Hamas e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina. Ed è accaduto recentemente, con maggiore successo, quando l'emiro del Qatar è riuscito a negoziare il patto di Doha tra le fazioni politiche libanesi.

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