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Tra i giusti.
Storie perdute dell’Olocausto nei paesi arabi Robert Satloff
Marsilio Euro 19,50
I figli di Abramo – ebrei cristiani e musulmani – hanno spesso mostrato nel corso del tempo di avere ben scarsa consapevolezza di questa loro radice comune, giungendo a sviluppare talvolta forme di tensione e di conflittualità anche estreme, sfociate in drammatiche conseguenze delle quali, come sempre accade, hanno pagato il prezzo i più deboli e indifesi, ossia chi si è trovato di volta in volta a essere il diverso, la minoranza, l’infedele di turno. Da questo punto di vista, la Shoah ha rappresentato senza dubbio la manifestazione più parossistica di come, prendendo a pretesto l’appartenenza di un presunto nemico a una determinata religione, si possa giungere alla totale negazione dei caratteri costitutivi e imprescindibili della stessa umanità.
Non sarebbe tuttavia onesto dimenticare che, proprio in quella tenebrosa pagina della storia, taluni hanno saputo davvero eroicamente rendersi testimoni di valori assoluti, non certo a dispetto ma in forza della propria fede vissuta senza ambigui particolarismi. Gli stessi discendenti delle vittime della Shoah hanno avvertito l’esigenza di salvare dall’oblio queste storie straordinarie, come dimostrano i nomi dei circa ventiduemila “Giusti tra le nazioni” censiti dallo Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme, tra i quali figurano anche quelli di settanta musulmani. Essi, in nome dei principi stessi dell’Islam, si adoperarono per salvare la vita ad alcuni ebrei durante la persecuzione. La celebre frase del Talmud “Chi salva una vita salva il mondo intero” compare infatti anche nel Corano.
Per far conoscere queste vicende anche al pubblico italiano, il Pime ha realizzato quest’anno una mostra intitolata “Giusti dell’Islam”, che in 25 pannelli ne ricorda i protagonisti: due bosniaci, tre albanesi, due diplomatici turchi e un iraniano, ma anche un arabo (il tunisino Khaled Abdelwahhab) che lo storico ebreo americano Robert Satloff ha proposto di includere nei “Giusti tra le nazioni”. La sua ricerca è cominciata dopo l’11 settembre e lo ha condotto a soggiornare a lungo nei Paesi arabi per raccogliere testimonianze di una realtà che paradossalmente sembra imbarazzare entrambe le parti in causa. Dopo la nascita dello Stato d’Israele e in seguito al conflitto che ne è derivato, infatti, potrebbe sembrare stonato enfatizzare simili episodi che invece, a ben guardare, dimostrano che non si tratta affatto di una guerra di religione, ma di una disputa tra due nazionalismi che solo incidentalmente si rifanno a fedi diverse, del resto strettamente imparentate. Nel libro e nella mostra sono inoltre documentati avvenimenti recenti che si pongono sulla stessa linea: la realizzazione di un museo della Shoah aperto a Nazareth da un avvocato musulmano, il pellegrinaggio interreligioso ad Auschwitz promosso nel 2003 dal sacerdote greco-melkita Emile Shoufani e la donazione degli organi di un ragazzo palestinese ucciso a Jenin a favore di beneficiari israeliani.
Anche nell’altro senso sono accaduti fatti analoghi, ben poco rimbalzati sui media, come altre donazioni di organi o l’impegno dell’organizzazione umanitaria ebraica di Sarajevo “La Benevolencija” che ha aiutato con cibo, medicinali e vestiario tutti, indipendentemente dalla loro confessione religiosa, e ha assistito nell’evacuazione ben millecinquecento persone non di religione ebraica, molte delle quali musulmane. I testi sono di Giorgio Bernardelli, giornalista della rivista “Mondo e Missione”, e la mostra è aperta fino all’8 giugno a Torino (Cittadella Politecnica, corso Castelfidardo 39), arricchita da Sherif el Sebaie di ulteriori elementi (fotografie dell’Egitto Ebraico di Zbigniew Kosc e Collezione Gaia di manufatti ebraici tunisini) e intitolata “Islam e Ebraismo, Arte, Storia, Convivenza”. L’allestimento, finanziato dal Politecnico di Torino, Compagnia di San Paolo, Regione Piemonte e Città di Torino, è stato visitato anche da Colette Avital, Vice Presidente della Knesset, assieme ad una delegazione femminile israelo-palestinese, Elazar Cohen, Ministro plenipotenziario presso l’Ambasciata Israeliana a Roma, David Bustamante, Console generale Usa a Milano per la Stampa e la Cultura, nonché da rappresentanti della Città e delle comunità ebraica e islamica.
Paolo Branca
Il Sole 24 Ore
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