Le metamorfosi di Israele Vittorio Dan Segre
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Come si definisce la legittimità di uno Stato? Di solito è una questione quasi astratta. Superata dal principio dell’autodeterminazione nazionale. Se dotato di un presente, di una storia e di una coscienza nazionale, uno Stato esiste e il suo diritto all’esistenza non viene dibattuto né esige conferme. Quante volte ci si sente in dovere di dichiarare che l’Italia, lo Sri Lanka, la Lituania, il Botswana hanno il diritto di esistere? Per Israele la questione è diversa.
“Lo Stato d’Israele è il risultato del sionismo, non dell’Olocausto”, scrive Vittorio Dan Segre nella nuova edizione aggiornata di un libro indispensabile: “Le metamorfosi d’Israele”. Il sionismo, dal canto suo, è un movimento di rinascita nazionale che ha un costrutto storico e uno politico. La sua vicenda “politica” prende le mosse dall’ultimo scorcio dell’Ottocento. Quella storica si declina in un’aspirazione nazionale che, per quasi duemila anni di Diaspora, ha alimentato la letteratura, il pensiero e la vita degli ebrei. L’idea del ritorno alla propria terra guida lo spirito d’Israele non meno dell’”adattamento” alle condizioni diasporiche. Radicata nei quasi infiniti luoghi dell’esilio, la storia ebraica si è sempre fatta anche attraverso il senso d’appartenenza a quella terra. In parole povere, il sionismo è intrinseco all’anima ebraica.
In quella che gli ebrei chiamano da sempre Eretz Israel e che fino alla fine della Prima Guerra Mondiale era stata una provincia dell’Impero ottomano tradizionalmente nota come Palestina, aveva vissuto da sempre una piccola comunità di ebrei – divisa sostanzialmente fra Gerusalemme e Safed. Poi, con i primi passi del sionismo politico per un verso e le ventate di pogrom per l’altro, dalla seconda metà dell’Ottocento questa regione comincia a popolarsi di ebrei. Che vi costruiscono a poco a poco strutture economiche, sistema scolastico, ospedali, organismi rappresentativi, rete di trasporti – tutto ciò che in sostanza definisce, regola una società. Questa società si chiamava yishuv.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa