Ebrei italiani dopo l'emancipazione: ne abbozza una storia Sergio Romano che, almeno sugli ebrei morti, sa informare correttamente
Testata: Corriere della Sera Data: 09 giugno 2008 Pagina: 23 Autore: Sergio Romano Titolo: «EBREI DOPO IL RISORGIMENTO TANTE FIGURE ILLUSTRI»
Sergio Romano risponde a un lettore sul ruolo degli ebrei italiani nella storia patria. Corretta e precisa, la risposta conferma una regola: degli ebrei morti si dice sempre bene. E' su quelli vivi che troppo spesso si dicono e si scrivono falsità (Romano, come sappiamo, non fa eccezione)
Dal CORRIERE della SERA del 9 giugno 2008:
Lei ha parlato della partecipazione degli ebrei tedeschi alla vita dell'impero tedesco con una altissima presenza nella vita scientifica, economica, finanziaria, produttiva e universitaria sin da Bismarck e sino alla prima guerra mondiale. Anche negli alti gradi dell'esercito non mancava qualche nome di provenienza israelita. Dopo il 1920 fra i politici che tentarono di creare una repubblica democratica a Weimar non mancava qualche nome ebreo. Solo la follia di Hitler poté pensare di annullare una presenza molto importante fra il popolo tedesco. Sarebbe interessante sapere se dopo l'emancipazione degli ebrei italiani nel 1848 gli stessi ebbero altrettanta importanza nello sviluppo dello Stato italiano nascente pur essendo gli ebrei in numero molto inferiore. Soprattutto in campo universitario, dopo le pazze leggi razziali del 1938 molti professori di chiara fama dovettero lasciare l'incarico. Alcuni furono assunti in primarie università americane. Gianfranco Pellegrini giapellegrini1@alice.it Caro Pellegrini, O gni discorso sugli ebrei italiani dovrebbe cominciare da un omaggio all'opera che Carlo Cattaneo, teorico del federalismo italiano, pubblicò nel 1836. Ha un titolo piuttosto lungo, nello stile amato dagli autori di trattati economici di quegli anni: «Ricerche economiche sulle interdizioni imposte dalle leggi civili agli israeliti». Ma divenne subito nota in tutta l'Europa con il titolo molto più sintetico di «Interdizioni israelitiche». Senza addentrarsi in questioni culturali e religiose, Cattaneo si limitò a spiegare le ragioni economiche e sociali per cui gli ebrei, privati del diritto di possedere terra ed esclusi da alcune professioni liberali, si fossero dedicati alle attività finanziarie e fossero diventati, come disse più tardi Benedetto Croce, «lirici del denaro». Anziché combattere la giudeofobia direttamente ed esplicitamente, Cattaneo preferì sgombrare il terreno dalle fumose teorie sulle colpe teologiche degli ebrei e sulla loro naturale malizia. Le loro ricchezze — sostenne — sono soltanto il risultato delle numerose interdizioni da cui sono stati afflitti nel corso della loro storia. Le tesi di Cattaneo furono indirettamente confermate dalle vicende dell'ebraismo italiano dopo la Legge dell'Emancipazione che Carlo Alberto proclamò il 29 marzo 1848 e che venne più tardi estesa a tutta l'Italia unitaria. Vi furono da allora ebrei molto attivi nell'economia e nella finanza. Ma l'aspetto più interessante della loro storia italiana è l'entusiasmo con cui si dedicarono alla vita pubblica e al servizio dello Stato. Furono risorgimentali, parteciparono alle guerre d'indipendenza, s'impegnarono in tutte le battaglie civili del Paese, ebbero posti di grande responsabilità. Era di origine ebraica Daniele Manin, restauratore della Repubblica di Venezia. Era ebreo Isacco Artom, segretario di Cavour, ministro a Copenaghen e a Karlsruhe, segretario generale del ministero degli Esteri, senatore. Era ebreo Giacomo Malvano, direttore generale degli affari politici, segretario generale del ministero degli Esteri dal 1879 al 1907, senatore, presidente del Consiglio di Stato. Era ebreo il generale Giuseppe Ottolenghi che divenne ministro della Guerra nel 1902, in un momento in cui le forze armate francesi erano ancora prevalentemente schierate nel campo di coloro che consideravano il capitano Dreyfus colpevole di alto tradimento. Aveva padre ebreo Sidney Sonnino, due volte presidente del Consiglio e ministro degli Esteri durante la Grande guerra. Era ebreo Luigi Luzzatti che realizzò la conversione della rendita nel 1906 e fu presidente del Consiglio nel 1910. Era ebreo il garibaldino Alessandro Fortis, presidente del Consiglio nel 1905. Era ebreo Ernesto Nathan, sindaco di Roma dal 1907 al 1913. Erano ebrei alcuni dei maggiori leader socialisti della democrazia prefascista, da Giuseppe Emanuele Modigliani a Claudio Treves. Ed erano ebrei molti fascisti della prima ora. Non meno interessante è la presenza ebraica nella cultura italiana fra Ottocento e Novecento. Penso a linguisti come Graziadio Isaia Ascoli, matematici come Volterra, filosofi come Enriques, editori come Treves, Bemporad e Formiggini, storici come Lopez, scrittori e poeti come Svevo e Saba, fisici come Pontecorvo. Chiedo scusa per le omissioni e mi limito a osservare che è possibile dire degli ebrei italiani ciò che Walter Ratheanu disse degli ebrei tedeschi: che erano semplicemente un'altra «tribù» nazionale.
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