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La Stampa Rassegna Stampa
08.06.2008 Come si discute in un paese libero
anche quando certi accostamenti sono ripugnanti

Testata: La Stampa
Data: 08 giugno 2008
Pagina: 34
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Israele come i nazisti ? Yehoshua contro Littell»

Sulla STAMPA di oggi, 08/06/2008, a pag.34, con il titolo " Israele come i nazisti ? Yehoshua contro Littell " . un titolo come sempre forzato, che non rispecchia il contenuto dell'articolo - un servizio di Francesca Paci sulla pubblicazione in Israele del controverso romanzo di Jonathan Littell " Le Benevole". Sembra che gli israeliani corrano a comprarlo, ma noi non vediamo il motivo di tanto stupore. Israele è un paese libero, dove la parola censura non esiste, se il libro di Littell  è riuscito ad essere un best seller in tutti paesi nei quali è stato tradotto, non vediamo perchè lo stesso non debba accadere in Israele. Pensiamo a quanti giornalisti vi lavorano stabilmente, scrivendo su Israele accuse simili, senza che nulla accada. Continuano tranquillamente a disinformare come se nulla fosse. Israele è una democrazia forte , un paese dove gli editori scelgono i libri da pubblicare in base alle regole del mercato. E se l'argomento è controverso, meglio ancora, il libro si venderà di più.  Che è quello che è sta accadendo con Littell. Poi, essendo la vita culturale molto vivace, ecco le critiche di A.B.Yehoshua, come avviene, vogliamo ripeterlo, in un paese senzà tabù e censure.

Ecco l'articolo:

Un ufficiale delle SS che racconta la Shoah nella lingua delle sue vittime è una bella provocazione» ammette Amir, il giovane commesso della libreria Akademon, nel cuore della Hebrew University di Gerusalemme. Le benevole, il discusso best seller di Jonathan Littell, è stato appena pubblicato in ebraico dalla Kinneret Zmora Dvir e va a ruba, soprattutto tra gli studenti. Trenta copie in meno di quarantott'ore. L'editore Dov Alfon, che un anno fa ha comprato i diritti dai colleghi francesi della Gallimard, non si è curato troppo delle possibili critiche dei connazionali. «Era importante che il romanzo uscisse in ebraico», spiega. Ma al voluminoso tomo intitolato Notot Hachesed, come la prima traduzione delle Eumenidi uscita in Israele quarant'anni fa, ha allegato un fascicoletto, The Polemic, con l'introduzione ai personaggi, le note dell'autore, le tappe della polemica che ha accompagnato il debutto del libro in Francia, Germania, Italia.
I lettori israeliani impiegheranno un po' di tempo a digerire le 900 pagine di dettagli sul backstage dell'Olocausto. A far scoppiare il caso, però, ha provveduto già l'intervista pubblicata dal quotidiano Haaretz nella quale Littell illustra la sua predilezione per i carnefici, «assai più interessanti delle vittime perché cambiano la realtà anziché subirla». E lascia intendere che, ironia macabra della Storia, gli eredi dei crimini nazisti del secolo scorso indossano oggi le divise dell'esercito israeliano: «Tutti ripetono “guardate cosa facevano i tedeschi agli ebrei prima della Shoah: gli tagliavano le barbe, li umiliavano, li costringevano a pulire le strade”. Non dico che si possa comparare... ma è esattamente quel che accade ogni fottuto giorno nei territori palestinesi».
Lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua è arrivato in fondo all'articolo con le dichiarazioni raccolte a Berlino dal corrispondente di Haaretz Assaf Uni, si è tolto gli occhiali, ha respirato a fondo e ha cominciato a pensare una risposta. «Sono assolutamente sconvolto» dice alla Stampa. Passi per il libro, che ha cominciato a leggere da poco e tiene sulla scrivania dello studio nel suo appartamento a Haifa. L'argomento è ostico ma interessante: «È un lavoro molto serio, documentato, anche se non credo potrà svelarci più di quanto sappiamo già». Le opinioni dell'autore invece, l'hanno fatto infuriare: «È incredibile. Littell scrive delle peggiori atrocità naziste e poi si abbandona al paragone tra la Germania di Hitler e l'esercito israeliano. Dice che usiamo l'Olocausto a fini politici. Come se non sapesse che siamo in guerra mentre i tedeschi massacravano gente che non li combatteva. Come se ignorasse che la seconda Intifada ha fatto 4000 morti palestinesi e mille israeliani in 4 anni, lo stesso numero di vittime che le SS uccidevano in un'ora».
Secondo lo spagnolo Jorge Semprún, sopravvissuto a Buchenwald e membro della giuria che ha premiato Le benevole con il prestigioso Goncourt, «nei prossimi vent'anni ogni lavoro sull'Olocausto dovrà confrontarsi con il testo di Littell». Yehoshua è più preoccupato dal sottotesto: «L'idea che la politica d'Israele nei territori palestinesi sia giustificata dalla Shoah è assurda. Ho scritto mille volte contro l'occupazione ma lo sterminio di sessant'anni fa non c'entra nulla, è unico, imparagonabile, Littell lo sa». O almeno, mormora l'autore di Fuoco amico, «dovrebbe saperlo».
Jonathan Littell è nato nel 1967 a New York da una famiglia ebrea di origine russa emigrata negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo. Suo padre Robert, esperto di spionaggio, gli parlò dell'Olocausto ma «non in modo eccezionale». Lui comunque non si sente ebreo, ha rivelato ad Assaf Uni: «Mio padre dice che sei un ebreo perché le persone che vogliono ucciderti ti hanno definito tale. Be’, se uno stupido idiota vuole tagliarmi la gola chiamandomi ebreo questo non farà di me un ebreo». Il tono provocatorio e un po' snob che in Germania gli è valso la qualifica di dandy non impressiona Yehoshua: «Chiunque è libero di rinnegare le proprie radici. Trovo però bizzarro che in alcune interviste Littell si riconosca ebreo e in altre no». In quella di Haaretz intitolata «Killer instinct», istinto omicida, pare voglia a tutti i costi scandalizzare il lettore israeliano: «È chiaro che Littell ha un problema con la sua identità religiosa e culturale, basta guardare come racconta il protagonista del romanzo, senza rimorsi, senza rimpianti, senza catarsi. Dal punto di vista letterario è ineccepibile, da quello psicologico un po' meno».
Una ragazza esce dalla libreria Akademon con Notot Hachesed sotto il braccio. Sa che l'autore ha definito Israele un Paese paranoico? Sorride: «Infatti facciamo la fila per comprare il suo libro»
Altre notizie sull'autore:
Con il suo bestseller
ha vinto il Goncourt


 

Jonathan Littell era un caso già prima di pubblicare, due anni fa da Gallimard, Les bienvieillantes, il suo monumentale romanzo d’esordio. Americano di New York, nato il 10 ottobre 1967, detesta gli Stati Uniti e si sente francese, tanto da scrivere nella lingua dell’Esagono e da ottenerne, qualche mese fa, la cittadinanza (sebbene adesso viva a Barcellona). Les bienvieillantes (tradotto da Einaudi, Le benevole) racconta in prima persona la storia di Max Aue, orribile e seducente ufficiale delle SS, un cattivo non pentito e soddisfatto della violenza ribollente in cui è immerso. Previsto in una tiratura iniziale di appena 5 mila copie, il discusso romanzo, grazie anche al traino delle polemiche, si è rivelato un clamoroso successo di vendite, ottenendo inoltre due importanti riconoscimenti come il Gran Prix du Roman de l'Accademie Française e il Goncourt.

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