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Libero Rassegna Stampa
06.06.2008 Khaled Sheik Mohammed chiede il patibolo
è sotto processo per l''11 settembre

Testata: Libero
Data: 06 giugno 2008
Pagina: 23
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «La mente dell'11 settembre: «Uccidetemi»»
Da LIBERO del 6 giugno 2008:

Con circa tremila omicidi sulle spalle, al quarantaquattrenne pachistano Khaled Sheikh Mohammed non rimane che rassegnarsi. Al processo che si è aperto ieri a Camp Justice, all'interno della base militare statunitense di Guantanamo Bay, è accusato di essere la mente degli attacchi a New York e Washington dell'11 settembre 2001, dove morirono 2.973 persone. Difficilmente la spunterà, non solo perché è reo confesso, ma anche per ragioni strettamente legali e procedurali: degli avvocati (del diavolo, direbbe lui) non sa proprio cosa farsene. Si ritiene tenuto a rispondere solo alla sharia, la legge islamica: «Il team di avvocati che mi avete dato può anche essere il migliore, ma la mia unica difesa è Allah», annuncia sprezzante, con il capo coperto da un turbante, gli occhiali e una lunga barba regolata come da prescrizione coranica. Poiché non riconosce l'auto rità dei nemici americani, ne anticipa il giudizio chiedendo di morire. Anzi, si dice convinto che la condanna a morte la renderà un «martire». Come premio celeste, secondo la mitologia dell'ultrafondamentalismo islamico, avrà la felicità eterna con annessi e connessi di numerose vergini a sua disposizione. Così, quando il capo della corte marziale, colonnello Ralph Kohlmann, lo informa che rischia la pena capitale, avvertendolo di non rigettare la difesa d'ufficio, l'ex numero tre di Al Qaeda risponde risoluto: «È quello che voglio». NEMICI COMBATTENTI Del resto, anche se lui e gli altri quattro suoi coimputati, Ramzi Bin al-Shibh, Mustafa Ahmad al-Hawsawi, Ali Abd alAziz Ali, conosciuto anche come Amar al-Balochi, e Walid bin Attash, fossero riconosciuti innocenti dai giudici, rimarrebbero comunque dietro le sbarre. Sono considerati "nemici combattenti" e la prudenza impone che non si rimettano in circolazione delle mine vaganti. Altrimenti, accade come a quei 36 ex detenuti del Camp Delta, tornati alla loro precedente attività di terroristi islamici subito dopo il loro rilascio, fortemente voluto da alcune organizzazioni umanitarie internazionali. TRATTATO COI GUANTI Pressioni che renderanno ipergarantista proprio quel processo che, per il suo valore simbolico, è quanto di più simile a una Norimberga moderna contro la minaccia principale alla civiltà. Così, sapendo di avere gli occhi di tutto il mondo - in particolare di quello ostile all'America - puntati addosso, il generale di brigata Thomas Hartmann, consigliere legale della Difesa Usa, assicura che una delle massime priorità per il Pentagono è che il processo di Camp Justice sia giusto e trasparente. Lo tratteranno con i guanti, insomma, magari anche per dimostrare che la civiltà giuridica delle nazioni cristiane è su un'altro pianeta rispetto al diritto coranico. Chissà se saranno in grado di accorgersene i giornalisti e gli osservatori - una sessantina in tutto - a cui è stato concesso di assistere al dibattimento davanti alla commissione militare. Diversamente occorrerà leggere gli atti per costatarlo, perché dall'udienza sono state «per errore» escluse le famiglie delle vittime dell'11 settembre. Non sarà ovviamente un processo a porte aperte, sia per ragioni logistiche sia perché a discrezione del giudice sarà disattivato l'audio dell'udienza nella sala stampa per secretare testimonianze o prove che pregiudicherebbero la sicurezza nazionale. Quel che si consente di rendere pubblico, sebbene in forma scritta, è lo show di Ksm, il nomignolo che gli hanno affibbiato i militari americani. A lui è concesso diritto di tribuna per accusare il presidente George W. Bush di essere impegnato in «una crociata» in Iraq e in Afghanistan. Ne approfitta per pronunciare un sermone contro l'America responsabile di varie «illegalità», compresi i matrimoni gay, per concludere intonando versi del Corano e invocando la protezione divina: «Il mio unico scudo è Allah l'al tissimo». SPOT PER LA JIHAD L'evento riempirà di orgoglio gli assenti e i contumaci, fra tutti Osama Bin Laden e Ayman Al Zawahiri, suoi diretti superiori nella rete del terrore. E non saranno i soli a considerare i suoi proclami farneticanti come lo spot di un "eroe" della guerra santa. L'unico limite è il divieto, del resto comune a tutti i procedimenti giudiziari statunitensi, di scattare fotografie in aula o di riprendere con le telecamere le fasi del dibattimento. Altrimenti, se ne sarebbe fatto un oggetto di culto da mandare su Youtube come il "testamen to" dell'ultimo shahid, per esortare i credenti a emularne le gesta. Chi ne ha seguito l'esempio, del resto, è andato incontro alla stessa sorte. Così è accaduto anche al successore di Ksm, l'iracheno 47enne Abdul Hadi, che attualmente si trova rinchiuso a Guantanamo.

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