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Il Foglio Rassegna Stampa
04.06.2008 Ricordare nei campi, dimenticando gli ebrei
il resoconto di una visita a Mathausen

Testata: Il Foglio
Data: 04 giugno 2008
Pagina: 0
Autore: Sergio Soave - la redazione
Titolo: «Banalità della dimenticanza, storia (senza cattivi) di un’autocensura - Ma a Mathausen c'erano gli ebrei ?»

Da Il FOGLIO del 5 giugno 2008:

Il testo qui riportato è il resoconto scritto dagli studenti di una scuola media superiore di Sesto San Giovanni al ritorno da un viaggio al campo di sterminio nazista di Mauthausen, pubblicato dal periodico locale Nuova Sesto. E’ un documento impressionante. In un reportage collettivo non brevissimo non c’è un solo accenno al martirio subito dal popolo ebraico nei lager nazisti. La considerazione contro il razzismo riguarda i Rom, l’esigenza di non dimenticare è collegata soprattutto alla deportazione degli operai antifascisti della Breda, ci sono considerazioni interessanti sull’abominevole uso della scienza per la selezione genetica e l’eutanasia, ma l’unico ebreo citato è Gesù. Lo sterminio del popolo ebraico, invece, non compare e questo desta un interrogativo angoscioso. Non c’è sicuramente alcun intento negazionista o antiebraico in un’amministrazione comunale e in organizzazioni che promuovono visite a Mauthausen. Ancora meno si può sospettare che alligni un atteggiamento di questo genere tra gli studenti, che al contrario esprimono sentimenti profondamente umanitari, né tra i loro insegnanti e accompagnatori. In questa storia non ci sono “cattivi”, ed è proprio questo che la rende tanto impressionante. Lo sterminio degli ebrei, di gran lunga l’elemento centrale del sistema dei lager nazisti, è stato tacitamente, forse inconsapevolmente, oscurato, annullato, espunto dalla memoria, proprio mentre della memoria si celebra l’importanza decisiva per trasmettere alle generazioni future l’orrore per i crimini nazisti, per il razzismo e la xenofobia. L’aggressione dei negazionisti è facile da contrastare, la loro evidente malafede stimola la reazione di tutte le persone dotate di un minimo di buon senso. Invece la rimozione subliminale, il silenzio incolpevole ma terribile che avvolge come in una nebbia e distrugge la memoria dell’evento più tragico e terribile del secolo scorso, sembra una forza distruttrice inafferrabile e impossibile da ostacolare e contrastare efficacemente. Com’è che si è creato questo clima generale che fa sì che tante brave persone, di indubbia convinzione democratica, animate da uno spirito umanitario e antirazzista, dimentichino e occultino lo sterminio degli ebrei persino in uno dei luoghi in cui è avvenuto? Si può cercare di consolarsi pensando che la centralità della Shoah è talmente evidente che non si è sentita l’esigenza di ricordarla una volta di più, che è comprensibile che si intenda collegarsi di più ai fatti che hanno una radice locale, come la deportazione degli antifascisti sestesi, o di attualità, come la questione dei Rom o quella dell’eutanasia. Queste considerazioni, però, avrebbero potuto produrre, tutt’al più, una perdita del senso esatto delle proporzioni, non l’annichilimento puro e semplice della tragedia del popolo ebraico. Si può temere, invece, che in modo più o meno consapevole, quella memoria cominci a essere sentita come un po’ imbarazzante, che potrebbe essere considerata offensiva da chi nega la discendenza dello stato di Israele da quell’immane tragedia, e che quindi sia meglio metterla tra parentesi, fino ad annullarla e dimenticarla. Eppure nessuno può credere che si possano attraversare i gironi infernali di Mauthausen senza sentire il senso preciso, quasi fisico, dell’immensa sofferenza di un popolo, nessuno può pensare che di ciò ci si dimentichi in pochi giorni o in poche ore al ritorno dal viaggio. C’è dunque da pensare che abbia funzionato silenziosamente ma in modo assai profondo una tremenda forma di autocensura, più terribile appunto perché esercitata in perfetta buona fede su persone dagli ottimi sentimenti, che non si sono neppure rese conto del significato dell’occultamento che hanno operato. Se l’occultamento della Shoah diventa senso comune, conformismo inconsapevole, come potrebbe essere accaduto per questa scolaresca, significa che il pericolo di perdere il senso della storia si annida anche nei luoghi più insospettabili, nell’educazione umanitaria e storica dei ragazzi, insomma nelle attività destinate a rendere la memoria del Novecento viva e operante come lievito della coscienza, come monito razionale, e questo non può che lasciare un senso di terribile amarezza.

 Di seguito, il testo del resoconto della visita:

Non sappiamo quanti abbiano tentato di raccontare la realtà di questo pellegrinaggio, ma per farlo adeguatamente, siamo contenti di aver intrapreso questa esperienza in compagnia e troveremo il coraggio di viverla fino in fondo, cercando di prendere da questi luoghi tenebrosi tutte le luci e i messaggi positivi che sanno offrire. Così gli studenti dell’Iis Altiero Spinelli di Sesto, del corso diurno e serale, presentano il diario del loro pellegrinaggio ai campi di sterminio di Mauthausen, che ha avuto luogo dal 16 al 19 maggio. Ecco i loro nomi. 1A: Pesce Matteo, 2C: Ceriani Giuseppe, 1B: Crisi Matteo, 1AS: Gavidia William, Obispo Andres, Soto Jorge, 3EAS: Aufiero Riccardo, 5MAS: Brancato Daniele, Dassi Davide, Intini Roberto, Lentini Nicola, Salemi Marco, Villa Andrea. Siamo in viaggio verso il campo di sterminio di Mauthausen, verso il castello di Hartheim e il sottocampo di Gusen, dove più di quattrocento operai delle fabbriche di Sesto San Giovanni furono deportati per motivi politici e dove tantissimi trovarono la morte. Questi operai avevano avuto il coraggio di organizzare uno sciopero nel marzo del 1944 in tutto il Nord Italia fino ad arrivare alle fabbriche di Prato. Lo sciopero si opponeva al nazismo, intendeva fermare la produzioni delle armi per la guerra e chiedeva pane, lavoro e pace. A seguito di questi scioperi, considerati come atti di sabotaggio dai nazisti e dai fascisti, i lavoratori furono arrestati in casa, di giorno, di notte, in fabbrica, per strada e furono costretti ad intraprendere il loro viaggio, nei vagoni piombati verso i lager nazisti. “Prima di sentire le testimonianze, non avevo mai pensato che pur di essere liberi, i nostri operai sestesi, si fossero spinti così tanto da opporsi al nazismo”. (Matteo Crisi 1B Iis Altiero Spinelli) “Il nostro viaggio in pullman, dove ci vengono assicurati tutti i confort è in contrasto stridente con il viaggio dei deportati in vagoni dove tutti i bisogni necessari per l’uomo vengono negati (spazio, cibo, pulizia, salute) e ogni segno di umanità annientato”. “Come i deportati, che non avevano coscienza del luogo a cui erano diretti, così pian piano noi ci chiariamo i perché del nostro viaggio. Ogni chilometro dall’Italia all’Austria è un chilometro guadagnato in conoscenza delle realtà storiche studiate, e di consapevolezza delle atrocità che l’uomo è capace di commettere”. (classe 5MAS) La nostra prima tappa è il castello di Hartheim, luogo della memoria e dell’eutanasia nazista. Dal 1898 istituto di cura per disabili psichici e mentali, nel 1939 fu adibito ad istituto di eutanasia dai nazionalsocialisti, qui tra il 1940 e il 1944, furono uccise circa 30.000 persone, perché classificate come “indegne di vivere”. Si trattava di disabili psichici e fisici, di persone affette da malattie, di prigionieri, e di condannati ai lavori forzati provenienti dai campi di concentramento di Mauthausen. “Eccoci ad Hartheim Schloss, il luogo della scienza esatta e di infinita disumanità, dove tutto quello che è considerato “imperfetto” viene annientato. Come è difficile mantenere l’equilibrio dell’umano anche per l’uomo di scienza. Lui che dovrebbe illuminare con il suo intelletto e garantire le vie della vita, si macchia di crimini inenarrabili. Nessuno è uscito vivo da Hartheim, ma la verità della storia è germogliata dalla terra che ha restituito le tracce dei crimini commessi, resti di istallazioni ed edificazioni, oggetti appartenuti alle vittime, le ceneri e i resti delle ossa. Ed è a queste vittime che i comuni di Sesto San Giovanni, di Cinisello Balsamo e di Monza offrono onere e rispetto. La cerimonia che si tiene al castello, le testimonianze che ascoltiamo dalle lettere di un deportato alla sua famiglia, il linguaggio della musica che accompagna la cerimonia, gonfiano di dolore il cuore e gli occhi dei deportati e diquanti comprendono il dramma delle loro vite. Si va sempre più chiarendo l’obiettivo per cui noi siamo qui. Siamo qui per vedere la storia così come è, per recuperare la memoria vera di questi morti, che finalmente hanno un nome. La memoria diventi uno stile di vita che vuole superare e mai ripetere gli errori e gli orrori del passato”. (5MAS) Seconda tappa: Sottocampo di Gusen Nell’area del Memorial del Lager Gusen assistiamo alla cerimonia della liberazione, presenti delegazioni di diversi paesi. Per la prima volta vediamo un forno crematorio e uno scolatoio, su questo tavolo di pietra i corpi dei morti venivano mutilati delle mani e dei piedi, così privi di sangue potevano essere bruciati nei forni con il minimo dispendio di combustibili. Su di esso si celebra la messa in memoria di questi martiri. Il loro sangue si unisce in unico sacrificio a quello di Gesù, e per i credenti presenti è sangue di vita eterna. “Non capiremo mai fino a dove può spingersi la mente umana, ma abbiamo la possibilità di prendere in considerazione il passato. Penso sia nostro dovere non dimenticare e non estraniarci da quella che è stata la realtà. Questo per le persone che hanno perso tutto della loro vita. Il futuro non si acquista, si costruisce ed è la parità tra gli uomini che garantisce la sua solidità”. (studentessa Erasmo da Rotterdam) Mauthausen Finalmente la visita a Mauthausen. La struttura del campo è quasi interamente conservata. Abbiamo non solo la possibilità di ascoltare la storia, ma anche di vederla con i nostri occhi. Vediamo gli alloggi delle SS, le baracche dei deportati, nel museo possiamo osservare le foto originali di quei tempi, testimonianze strappate dai prigionieri con vari stratagemmi, dalle foto di propaganda del laboratorio fotografico del campo. Camminiamo lungo i luoghi della morte, lungo la scala della morte, 186 gradini che portavano i deportati alla cava, dove scavavano il granito, che serviva ad edificare le grandi città tedesche e austriache. Il lavoro era inteso come mezzo di annientamento dell’umano. “Mai come oggi, la resistenza degli operai di Sesto alla dittatura in nome di condizioni di vita e di lavoro migliori, di libertà e democrazia, può indicare i valori a cui ispirare il lavoro. Il lavoro non può essere asservito al potere politico o commerciale, non deve essere mai più uno strumento di annientamento, ma deve essere sviluppo della propria formazione e creatività, luogo di realizzazione delle luoproprie potenzialità, delle opere necessarie al benessere delle famiglie, delle comunità e della società. Come non pensare ancora oggi a lavori umilianti, spersonalizzanti, tutti votati alla produzione o al marketing? Mai abbassare la guardia: il nostro slogan è lasciarsi guidare sempre dai valori di libertà, di giustizia e solidarietà”. (5MAS) Durante la visita al campo, veniamo a conoscenza del rito dell’appello, delle punizioni a cui erano sottoposti, sentiamo dei loro pasti che procuravano la dissenteria, vediamo i loro letti. In ogni letto dormivano 4 uomini, tanto erano magri. Entriamo nelle camere a gas, dove la morte saliva dal basso e uccideva prima di tutto i bambini. Guardiamo raggelati i forni crematori, sentiamo da quelle pareti il grido dei disperati “ ma Dio dove sei? Dio dovrai rendermi conto di questa morte?” Oggi “A 63 anni dal 1945, questi fatti sembrano così lontani, tra i giovani si alternano idee contrastanti, ancora oggi non si crede a queste atrocità, o quasi si vuole nasconderle, quali fossero invenzioni. Il contatto con i testimoni, deportati, figli di deportati conserva e rende viva la memoria. Questi saranno gli ultimi decenni in cui potremmo abbracciare queste fonti dirette della storia, occorre passare la staffetta della memoria alla sensibilità dei giovani, occorre istruire i giovani perché dovranno imparare a vigilare sempre e a bloccare i segni della xenofobia, della negazione delle libertà, delle discriminazioni e dei razzismi e a scegliere i valori del cuore. Dr Johann Gruber, prete di Linz, insegnante e patriota, assassinato a Gusen il venerdì santo del 1944, afferma che l’istruzione può aprire una strada, una prospettiva per il proprio futuro a tutti coloro che partono da una situazione svantaggiata, agli orfani, ai ciechi e ai prigionieri nel lager come mezzo di sopravvivenza”. (un’insegnante) Qui a Mauthausen abbiamo deposto varie corone a monumenti dei vari paesi. In particolare è stata deposta una corona al monumento dei Rom. La diversità della cultura di questo popolo ancora sembra “scandalizzare” alcuni. I segni del razzismo ricominciano a serpeggiare in Europa. “Non ripetere gli errori del passato. E’ questo il messaggio del nostro viaggio. Purtroppo il passato non può essere considerato chiuso e a se stante, né tanto meno ininfluente sul presente, sulla nostra vita. Metter piede in questi luoghi che hanno ospitato crimini e nefandezze ignobili e subdole, sentendosi terribilmente paralizzati e impotenti di fronte alle testimonianze a noi pervenute: è questo lo stato d’animo che ha caratterizzato la mia esperienza. Il solo pensiero che degli esseri umani, come noi, abbiano avuto il coraggio di sterminare dei loro simili col semplice scopo di realizzare il piano di una mente perversa, ma pur sempre umana, non può che provocare una reazione di agghiacciante vuoto e paralisi di fronte a questa cruda realtà. Solo cooperando e mettendo da parte per una volta, un po’ di egoismo ed orgoglio si può evitare di perseverare negli errori del passato e si possono gettare le basi per un futuro diverso e soprattutto pieno di felicità e di amicizia, sentimenti sempre anelati dal cuore degli uomini”. (5MAS e studentessa Erasmo da Rotterdam) A Mauthausen partecipiamo alla celebrazione internazionale per cui le delegazioni dei vari stati europei e del mondo arrivano qui per rendere omaggio a questi morti. Anche noi siamo qui per testimoniare che i valori di libertà, di giustizia, dei diritti umani, per cui i nostri italiani sono morti, sono e dovranno diventare la bussola della nostra esistenza. I valori della resistenza sestese orienteranno e costruiscono “i giovani resistenti”. Un grazie di cuore a tutta l’organizzazione del Comune di Sesto San Giovanni, all’associazione “Ventimila leghe” che ha curato con attenzione tutto il pellegrinaggio. Un ringraziamento speciale alle testimonianze dei deportati e dei loro figli, che hanno donato a noi il loro dolore, maturato e forgiato dal tempo, nella forma di testamento spirituale a noi giovani, eredi prediletti dei valori di libertà, giustizia, uguaglianza e di cooperazione tra tutti i popoli.

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