PANORAMA del 05/06/2008 ospita il settimanale commento di Sergio Romano. Il titolo lascia persino sperare che l'autore ne condivida le finalità, " Come separare Damasco da Teheran ", ma l'occhiello ci riporta subito alla realtà. " C'è un prezzo da pagare: restituire alla Siria le alture del Golan e riconoscere Hezbollah e Hamas come rappresentanti di una parte dei libanesi e dei palestinesi ". Come si vede, non è tanto la separazione della Siria dall'Iran che preme a Romano, quanto piuttosto la resa di Israele ai suoi nemici. Hamas e Hezbollah non riconoscono lo Stato ebraico e ne auspicano la fine nei loro statuti ? E che sarà mai, dice Romano, Israele si affetti a riconoscerli, conceda loro quello che vogliono. E'la linea di Romano non da oggi, che espone non sul MANIFESTO ma su PANORAMA e sul CORRIERE della SERA. Chissà cosa avrebbe scritto Sergio Romano negli anni '30 sulle < trattative di pace > con la Germania nazista.
Ecco l'articolo:
Il compromesso che ha permesso la soluzione della crisi libanese è soltanto uno dei tre negoziati avviati nelle ultime settimane in Medio Oriente. Vi è una trattativa in corso per una sorta di cessate il fuoco tra Hamas e Israele. E ve n’è un’altra fra Israele e Siria per la restituzione a Damasco delle alture del Golan, occupate dagli israeliani nel 1967.
Il compromesso libanese potrebbe essere effimero e le altre due trattative potrebbero fallire. Ma vi è in queste tre vicende una novità importante. Il mediatore non è, come in passato, una potenza geograficamente estranea alla regione: Stati Uniti, Russia, Unione Europea, o uno dei suoi membri. I mediatori di oggi sono stati musulmani: Lega araba nella crisi di Gaza, Egitto in quella palestinese e Turchia in quella israelo-siriana. Vi sono stati altri casi in cui i musulmani hanno cercato di sbrogliare le matasse delle loro vicende regionali, ma spesso con scarso impegno e mediocri risultati. Oggi il clima è cambiato.
A Doha, in Qatar, dove è stato negoziato il compromesso libanese, il segretario della Lega araba, Amre Moussa, ha messo i contendenti con le spalle al muro e li ha costretti a firmare l’accordo. La causa di questo maggiore impegno sta probabilmente in un’altra crisi, provocata dalla politica estera di George W. Bush, a cui l’eurocentrismo occidentale ha prestato minore attenzione: il dissidio politico e confessionale fra sciiti e sunniti.
Con la guerra afghana e l’occupazione dell’Iraq, gli Stati Uniti hanno sbarazzato l’Iran di due fra i suoi peggiori nemici (i talebani e il regime di Saddam Hussein) e gli hanno offerto l’occasione d’imporsi come potenza regionale. Il suo presidente, Mahmoud Ahmadinejad, dispone oggi di tre alleati: Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina e il governo dello sciita Nuri al-Maliki a Baghdad. Grazie all’America, paradossalmente, l’Iran è oggi più forte di quanto fosse all’inizio della presidenza Bush. La sua ascesa preoccupa gli stati arabi sunniti anche perché Ahmadinejad ha fatto del suo meglio per apparire come il migliore paladino del patriottismo islamico. Le sue filippiche contro Israele non minacciano di estinzione uno stato che potrebbe difendersi con l’arma nucleare. Servono per dimostrare alle masse arabe che l’Iran è più sensibile ai loro sentimenti di quanto siano i loro impotenti governi sunniti.
I negoziati delle scorse settimane sono la risposta sunnita alla minaccia iraniana. Gli stati arabi e la Turchia hanno capito che il miglior modo per controllare la crescente potenza del regime degli ayatollah è disinnescare le crisi regionali che hanno permesso a Teheran di arruolare alleati. Occorre separare la Siria dall’Iran. Occorre impedire che Hezbollah e Hamas divengano strumenti della politica estera iraniana. Questo è possibile soltanto restituendo a Damasco le alture del Golan e riconoscendo Hezbollah e Hamas come legittimi rappresentanti di una parte importante delle società libanese e palestinese. L’operazione è stata favorita dalle traversie del premier israeliano. Indagato per corruzione, Ehud Olmert ha intravisto nel negoziato con la Siria la possibilità di assicurare, con un successo diplomatico, la propria sopravvivenza.
Questa nuova intraprendenza dei paesi arabi e della Turchia non piacerà né agli Stati Uniti né all’Iran. I primi non controllano più il governo di Beirut, il secondo potrebbe perdere le sue quinte colonne in Libano e in Palestina. Ma l’Ue ha interesse a incoraggiare questi negoziati e può farlo riconoscendo che Siria, Hezbollah e Hamas sono protagonisti necessari di qualsiasi trattativa di pace.
Per inviare la propria opinione a Panorama, cliccare sulla e-mail sottostante.