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La Stampa Rassegna Stampa
31.05.2008 Titoli scorretti sul quotidiano torinese
ormai è un'abitudine

Testata: La Stampa
Data: 31 maggio 2008
Pagina: 17
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Nati a Gaza ? Niente Laurea»

NATI A GAZA ? NIENTE LAUREA, è il titolo della STAMPA, a pag.17, al servizio di Francesca Paci.  Estremamente scorretto, come anche l'occhiello " Israele non dà visti ai palestinesi. E gli Usa revocano le borse di studio ", scorretto soprattutto per quanto sottace, come il lettore può ben verificare leggendo il pezzo. Noi non sappiamo se la mancata concessione del visto sia una misura giusta da prendere, quel che sappiamo è però che i finaziamenti americani vanno all'Anp di Abu Mazen e non ad Hamas a Gaza. Forse da ciò è dipeso il no di Israele. Altra osservazione: Il pezzo contiene una fotografia di una cerimonia di laurea all'università di Nablus, che non ci risulta essere a Gaza. Come mai non è stata pubblicata una immagine di una università di Gaza ? Non sarà perchè è opportuno accreditarne la fama di una < fogna a cielo aperto >, in modo da suscitare solidarietà con i lanciatori dei missili contro Israele ? A Gaza ci sono università, e anche valenti studenti se vincono borse di studio americane, perchè non scriverlo ? e perchè non scrivere che a Gaza ci sono pure i grattacieli, come chiunque può verificare anche stando a pochi kilometri al confine con lo Stato ebraico ? Non sarà che le fogne a cielo aperto appartengono al millenario disinteresse verso l'ambiente e che dirlo non sarebbe politicamente corretto ? Ecco l'articolo:

Fatima Zaharat è appena tornata a Ramallah da Washington, dove ha seguito un corso di due settimane in comunicazione politica. Meno di 100 chilometri a sud, stessa terra e destini estremi, la sua connazionale Hadeel Abu Kawik, preparata ingegnere informatico di 23 anni, dovrà rinunciare al sogno a stelle e strisce perchè gli Stati Uniti le hanno revocato la Fulbright, la prestigiosa borsa di studio che aveva vinto insieme ad altri sette studenti di Gaza. Secondo il portavoce del Dipartimento di Stato Tom Casey, la resistenza israeliana a concedere il visto ai palestinesi di Gaza City, Jabalya, Rafah, avrebbe convinto gli americani a «dirottare» i soldi in Cisgiordania «anzichè perdere i finanziamenti del 2008». Hadeel e gli altri, concede Casey, «potranno riprovare il prossimo anno».
La storia, svelata ieri dal New York Times, ha scatenato un finimondo negli uffici della Knesset semivuoti per la vigilia di shabbat. Sollecitato da Condoleezza Rice «profondamente colpita dalla notizia», il Dipartimento di Stato si è messo in moto per persuadere il governo israeliano a un dietrofront. «Un tentativo in extremis», a detta di Casey, che lascia intravedere una via d’uscita. I tempi però sono ridotti. Hadeel è delusa: «A gennaio, quando è caduta la barriera tra Gaza e l’Egitto, ho represso il desiderio di fuggire dai miei genitori a Dubai per non compromettere la Fulbright». Ci sono frontiere invisibili invalicabili come quella che Israele ha costruito intorno alla Striscia di Gaza controllata da Hamas. Muri reali e politici contro i quali non serve neppure l’amicizia di ferro tra Gerusalemme e Washington, che ieri hanno siglato l’ennesimo accordo per lo scambio di tecnologie antiterrorismo.
Nel 2006 un quinto dei 45 mila neodiplomati palestinesi ha chiesto informazioni per andare a studiare negli Usa. Secondo Amideast, ong americana con sede a Ramallah, «scelgono gli Usa per la qualità della formazione». Da mesi la Casa Bianca investe palate di dollari nella Cisgiordania «moderata» del presidente Abu Mazen. Il nuovo esercito palestinese addestrato in Giordania e nella West Point di Gerico, ma non solo. Novanta borse di studio dal 2000 a oggi nell’ambito del progetto Usaid’s Master Degree Scholarship, di cui 32 a Gaza; 70 corsi postlaurea finanziati dal Presidential Scholarship Programm; 280 palestinesi selezionati per il Fulbright. E’ stata l’editrice palestinese Nibal Thawabteh a ricevere l’International Women of Courage Award 2008, il premio Donna Coraggio, consegnato a marzo dalla stessa Condoleezza.
La revoca delle Fulbright a Gaza è un brutto colpo per l’America. Abdullah Abdulrahman, uno degli 8 palestinesi rifiutati, non concede attenuanti: «La massima superpotenza cede al veto israeliano? Detesto Hamas, ma mi chiedo chi costruirà lo Stato palestinese se i migliori sono trattati da estremisti».
Il governo israeliano tace. Un portavoce dell’esercito ha precisato l’autonomia della decisione americana confermando però che i visti d’uscita da Gaza «sono concessi solo per seri motivi umanitari». Lo studio non rientra nella casistica.
«La linea dura può essere letta come una punizione collettiva», paventa Rabbi Michael Melchior, responsabile del Comitato Educazione del Parlamento israeliano e deputato del Meimad, un piccolo partito vicino al Labour. Una rigità in contrasto con l’etica ebraica: «Per primi siamo stati allontanati dalla scuola, dall’educazione». Il ministero della Difesa ritiene che l’assedio stia fiaccando Hamas ma il deputato conservatore Natan Sharansky dissente, «la Fulbright seleziona talenti, non guerriglieri». Israele discute, a casa di Hadeel l’eco del dibattito giunge fioca, impalpabile e vaga come il sogno americano

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